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Sakine: tutta la mia vita è stata una lotta

Dalla lotta nelle prigioni turche alla resistenza di oggi nelle strade di Cizre, Sur, Van. In un libro la straordinaria vita e testimonianza di Sakine Cansız, assassinata a Parigi con altre due militanti curde, Fidan Doğan e Leyla Söyleme.

È uscita in Italia la traduzione del secondo volume dell’autobiografia di Sakine Cansız (hevala Sara) “Tutta la mia vita è stata una lotta”, edizioni Mesopotamien Verlag, distribuito da UIKI onlus. Pubblicazione che arriva nel terzo anniversario dell’esecuzione di Sakine Cansız, Fidan Doğan e Leyla Söylemez a Parigi, sulla quale non si è fatta ancora piena luce nonostante numerose tracce portino ai servizi segreti turchi (MİT). Il libro è incentrato sugli undici anni che Sara ha trascorso come prigioniera nel tristemente famoso carcere di Diyarbakır e in altre carceri turche tra il 1979 (anno del suo arresto) e il 1990, quando venne rilasciata. Anni di torture fisiche e psicologiche brutali, golpe militari, tentativi di annientare la crescente autorganizzazione del popolo curdo attraverso lo strumento del carcere e dell’isolamento dei dirigenti del movimento, poi organizzatosi nel Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK). Anni attraverso i quali Sara incede a testa alta e da cui esce come esempio di integrità e fedeltà alle proprie convinzioni, un modello per le altre donne prigioniere, ma anche per i compagni maschi, che fornisce una solida base alla resistenza contro il nemico. Resistenza che necessariamente assume le forme percorribili in stato di cattività, da scioperi della fame a oltranza (tali da condurre anche alla perdita di valorosi compagni e compagne), al contrasto quotidiano alle forme di tortura fisica e psicologica, che includono l’omaggio alla bandiera turca o il definirsi “turche” e non curde per non essere bastonate e isolate, fino ai tentativi di fuga, definiti “un dovere rivoluzionario”.

Il senso di responsabilità che traspare dal racconto peraltro asciutto e nient’affatto “vittimista” è grandioso, ma senza retorica. Colpisce la narrazione degli incontri diretti con personaggi come Mazlum Doğan, poi sacrificatosi nel carcere di Diyarbakır, o di Cemil Bayık, ancora oggi tra i componenti più rispettati del PKK, fino al Presidente Abdullah Öcalan, così pieno di carisma e capacità analitiche da “catturare” subito Sakine, senza intaccarne lo spirito critico e le capacità di intuizione rispetto ad altri personaggi rivelatisi in seguito traditori o collaboratori dello Stato.

Soprattutto, colpisce la profondità di analisi e la capacità di critica relative alla condizione delle donne curde anche tra le fila dei rivoluzionari che aspirano a diventare modello per il popolo: come donna, anche Sakine subisce (e lo avevamo visto già nel primo volume, dove affrontava il tema della crescita e formazione di una ragazza sincera e ribelle, del matrimonio visto come naturale sbocco di vita per una donna e come “soluzione” anche da molti compagni e compagne) l’evoluzione di quell’arretratezza – si perdoni l’ossimoro – nei confronti delle donne, che in carcere e per dei rivoluzionari si traduce in disattenzione verso la sezione femminile e in mancato ascolto delle proposte e del parere delle dirigenti donne.

Tutto questo racconto è rivelato da Sara con pudore e con “normalità”: i suoi scatti d’ira, soprattutto rivolta contro se stessa, per non aver saputo assumere immediatamente una decisione giusta di fronte a nuovi eventi, per non saper tenere per sé alcune critiche ai comportamenti a volte ambigui delle compagne di prigionia, per allontanare seccamente compagni che dicono di amarla senza fare i conti con il senso feudale di possesso maschile sulle donne; il suo instancabile lavoro di difesa del partito come corpo collettivo che è l’unica strada che si apre davanti al popolo curdo per concepire, costruire e portare a compimento il riscatto e la liberazione.

Se si ama il popolo curdo, se lo si vede come una possibile avanguardia rivoluzionaria, non si può non farsi distrarre dagli eventi che precipitano nel presente, anche quando si affronta un tema particolare. Ed ecco che allora non si può non parlare dello spirito di resistenza che dalla compagna Sara, dalle sue compagne Fidan e Leyla che una mano assassina armata dallo Stato ha freddato insieme a lei tre anni fa, si trasmette ai bambini, ai ragazzi, alle donne, alle madri e alle nonne che oggi sono sotto coprifuoco a Van, a Cizre, a Nusaybin, a Sur, in tutto il Kurdistan a cui Erdoğan ha dichiarato guerra. Perchè questo è un libro che – come già il primo – aiuta a capire la forza e la determinazione, la dignità e il valore di un’idea di liberazione e di trasformazione della società che oggi crescono e si diffondono di fronte all’attacco genocida.

Per qualcuno, invece, Sara è stata una “terrorista”. Se terroristi sono – secondo lo Stato turco, il governo dell’AKP, il Presidente attualmente in carica della Repubblica di Turchia, i giornalisti, anche italiani purtroppo, che in maniera imbarazzante difendono l’indifendibile Erdoğan – coloro che rivendicano con tutte le loro forze la propria libertà, i propri diritti, la giustizia e propongono perfino una nuova via per stare insieme in quanto società, allora Sara è stata una terrorista. E forse, leggendo questo libro, vi scoprirete un po’ “terroristi” anche voi.

Come acquistare il libro.

* Associazione Senza Confine