ROMA

Roma dietro i numeri: il bilancio e i diritti negati

#Romanonsivende raccoglie realtà e reti sociali, sindacati conflittuali e cittadini. Giovedì 19 sarà in piazza dal Colosseo al Campidoglio per far sospendere la discussione del bilancio e obbligare il comune ad aprire un confronto pubblico sui reali obiettivi delle politiche della giunta.

Da anni il Comune di Roma ripete la stessa litania: non ci sono soldi. Taglio dei trasferimenti statali, Patto di stabilità interno, Piano di rientro dal debito, Piano di rientro strutturale. Sono queste le camicie di forza che, accettate supinamente dall’amministrazione, costringerebbero il Comune a tagliare i servizi, ridurre gli stipendi, vendere il proprio patrimonio, aumentare le tariffe.

E’proprio così ?

Non è vero. Il comune ha altri strumenti per “far quadrare” il bilancio sociale del comune – questo sì profondamente in deficit – e prendere i soldi là dove ci sono. Roma è una città ricca, ma la ricchezza si è concentrata in poche mani. Roma è infatti anche la città più disuguale d’Italia. A Roma il 10% dei cittadini più ricchi possiede quasi il 50% di tutte le ricchezze. Si tratta di coloro che si sono arricchiti in questi anni, mentre la città sprofondava nella povertà. Ma il comune non se ne accorge e si accanisce sui lavoratori e sulle fasce più deboli della popolazione. Si tratta di una scelta politica, non di una necessità.

Perchè?

Il Comune di Roma ha rinunciato a finanziare gli investimenti con l’istituzione di una Imposta di scopo (mini-patrimoniale comunale) che, se applicata alle grandi ricchezze, potrebbe dare un gettito superiore a quello ricavato dalla svendita del patrimonio immobiliare e delle aziende. Il Comune di Roma ha rinunciato ad applicare la progressività delle imposte applicando ai super-ricchi le stesse aliquote Irpef, Imu e Tasi, che devono pagare i cittadini normali, uscendo così dal dettato costituzionale. Il Comune di Roma ha rinunciato alla lotta all’evasione fiscale, mentre paga interessi da usura alle banche e alla Cassa Depositi e Prestiti.

Cosa serve al contrario ?

Serve una svolta politica: tassare i ricchi per garantire i servizi, a cominciare dalla istituzione di una patrimoniale comunale sulle grandi ricchezze immobiliari e dalla progressività delle imposte comunali, lotta alla evasione fiscale e ricontrattazione del debito con banche e CDP.

Perchè il patto di stabilità è il killer degli enti locali ?

Uno degli strumenti piu’ importanti usati per ricattare gli EELL è il Patto di Stabilità interno, ovvero le diverse misure stabilite annualmente per far concorrere gli EELL agli obiettivi di stabilità finanziaria decisi dallo Stato in accordo alla UE.

Gli Enti Locali (EELL) sono al centro del mirino delle politiche governative, che puntano alla valorizzazione finanziaria del territorio, attraverso la vendita del patrimonio pubblico e la privatizzazione dei Servizi Pubblici Locali. E’ in atto un’azione politica autoritaria che punta a ridurre la democrazia di prossimità e la scomparsa della funzione pubblica e sociale degli EELL. Roma Capitale, con il decreto “Salva Roma”, è nel pieno di questa manovra, che subisce passivamente, secondo i diktat del governo, accettando di tagliare diritti e servizi, con la sola disponibilità a tirare la coperta ora da una parte ora dall’altra, ma lasciando comunque scoperte parti vitali del tessuto sociale romano.

Occorre chiedere con forza ai rappresentanti politici di Roma Capitale di assumere la piena consapevolezza di questa “aggressione alla democrazia” e conseguentemente di prendere l’impegno per rovesciarla, a partire da un nuovo rapporto con la città, in piena discontinuità con Mafia Capitale. E’ infatti improrogabile una radicale modifica dei parametri relativi al Patto di Stabilità interno, per consentire una nuova capacità di investimento nel campo del Beni Comuni, dei SPL, nel wellfare locale, nelle nuove opportunità di economia sociale territoriale, attraverso investimenti svincolati dal patto di stabilità.

A che città pensa Marino?

Il Sindaco Marino sembra non guardare alle voci e ai numeri del Bilancio che lui stesso presenta. In quest’anno – afferma – quasi un miliardo di euro sono piovuti sull’edilizia cittadina da parte dei Fondi mondiali d’investimento immobiliare. Questo come per dire: nel documento programmatico trovate i numeri con cui intendo mettere mano all’abitare di molti. Quello che dalla città deve uscire: la nostra vita. Nelle acquisizioni del patrimonio edilizio, sia quello da elargire con il voto della devastante delibera 88, o quello già transitato disinvoltamente dal pubblico ai privati, c’è l’indicazione di come si vuole che abiteremo. Quello che nella città deve entrare: il dominio della finanza.

Posando lo sguardo su una mappa della città e raschiando i servizi che saranno tolti, segnando le tante aree periferiche e non che continueranno a non riceverli, cerchiando le operazioni immobiliari in atto o programmate, avremo chiaro cosa avverrà: si disaggrega l’abitare, si rende costruibile Roma come “terra desolata”. Il suo spazio verrà ridisegnato secondo decisioni prese altrove, fuori dalla città. Secondo tempi scadenzati sulle convenienze economiche dei proponenti. Questo bilancio brucia le risorse della città, nega la sua riorganizzazione urbanistica basata sulla solidarietà sociale,gonfia l’edilizia privata residenziale, nega la città.

Quando “ Mafia capitale” nega la città attaccando le cooperative sociali

Circa 120 appalti finiti sotto inchiesta, un giro d’affari da centinaia di milioni di euro, un sistema ben rodato fondato su corruzione e malaffare tra politici neofascisti e dirigenti. Questa è una sintesi di quel sistema conosciuto come “Mafia Capitale”. Una storia che nasce e si sviluppa in un contesto da Romanzo Criminale, che ha messo a dura prova la tenuta della più importante fonte di welfare per la città di Roma: la cooperazione sociale, che molto spesso si è sostituita agli enti locali nell’erogazione dei servizi sociali, sia che si tratti di interventi di integrazione o di promozione sociale, con il supporto alla persona o alle famiglie, sia che si faccia riferimento a servizi domiciliari o di tutela dei diritti degli animali.

Oggi chi paga gli effetti di “Mafia Capitale” sono in primis i lavoratori e le lavoratrici delle cooperative sociali che per anni hanno garantito i servizi essenziali, nonostante le difficili condizioni di lavoro a cui sono stati sottoposti, attraverso forme di collaborazioni precarie e ricattatorie, alla mancata erogazione degli stipendi, a condizioni di tutela della salute e sicurezza praticamente nulle. Oltre i lavoratori, a pagare il conto della dilagante corruzione sono i cittadini e le cittadine, che vedono man mano peggiorare, o in qualche caso sparire servizi essenziali

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Il colpo di grazia alla cooperazione sociale verrà dato dal bilancio che Roma Capitale sta per approvare, dove l’unico obiettivo è garantire il piano di rientro imposto dal governo Renzi con il decreto “Salva Roma”, in linea con i tagli imposti dalla Troika.

Marino presenta numeri da brivido

I numeri prospettati dalla previsione di bilancio parlano chiaro: per i servizi sociali è previsto un taglio di 136 milioni di euro in meno rispetto al bilancio assestato del 2014, ovvero un -53%. Più che dimezzati i cosidetti “fondi vincolati”, provenienti sopratutto da altri enti pubblici come la Regione e l’ex Provincia, mentre dallo stato e dall’Unione Europea arriva un netto -71%. Anche i fondi ordinari, quelli provenienti dalle casse di Roma Capitale, fanno registrare un significativo ridimensionamento, con un -29%. Per quello che riguarda invece “l’emergenza sociale e assistenza ai senza fissa dimora” abbiamo un taglio del -37%, all’assistenza ai minori -55% e un vertiginoso -90% ai servizi per gli immigrati.

Marino vende la nostra acqua

ll bilancio previsionale 2015 contiene, oltre i numeri, molte decisioni. Tra queste: la vendita delle quote azionarie comunali di Acea Ato2 ad Acea holding. Un’operazione che sembra rientrare nella “razionalizzazione” delle partecipate e che, sull’altare del risparmio ad ogni costo, si appresta a sacrificare una delle principale funzioni di un ente locale: la fornitura dei servizi essenziali.

Con la cessione totale delle quote azionarie di Acea Ato2 il Comune di Roma uscirà di fatto dall’assemblea dei soci, rimanendo relegato ad un ruolo di “controllo” esterno della gestione dell’acqua nella nostra città. Un’operazione preparatoria per realizzare la fusione delle gestioni del centro italia sotto il logo di Acea S.p.A. iniziando proprio con l’acquisizione da parte della holding delle quote dei singoli comuni. Una gigantesca opera di finanziarizzazione, che confinerà enti locali, lavoratori e utenti ad un ruolo sempre più secondario, con lo stesso Comune di Roma che vedrà ridurre la sua attuale quota di maggioranza in Acea SpA.

Ma conviene al Comune e ai cittadini di Roma che la sua acqua sia in mano ad Acea SpA? Rimanendo in una logica puramente finanziaria, l’operazione di vendita delle quote risulterà in perdita dopo soli 6 anni, poiché in cambio dei 12.800.000 euro che la vendita secca frutterà, il Comune non incasserà più i dividendi annui di Acea Ato2, che ammontano in media a circa 2.100.000 €. Un tema, quello dei dividendi, che ogni anno sottrae risorse dalle tasche dei cittadini di Roma e provincia, per spostarle in quelle degli azionisti di Acea S.p.A., per la gioia di Caltagirone e degli altri azionisti.

Dall’analisi dei bilanci emerge infatti che l’utile prodotto da Acea Ato 2 S.p.A. (derivante dalle tariffe idriche), viene prelevato quasi interamente dai soci a titolo di dividendo. Acea Ato 2 quindi, nonostante nell’ultimo quadriennio abbia prodotto una media di circa 65 mln di euro di utili all’anno, ricorre ad Acea holding per richiedere indietro i suoi stessi soldi, sotto forma di prestito. Un prestito che Acea S.p.A. concede a condizioni peggiori di quelli che si potrebbero ottenere da normali rapporti bancari. Una beffa, ma anche un enorme danno economico per l’azienda, per gli utenti, visto che il tutto viene caricato in tariffa e per la qualità del servizio, dato che gli utili non vengono utilizzati per gli investimenti necessari, ma per estrarre profitto.

E allora a chi giovano queste operazioni finanziarie? Certo non ai cittadini di Roma, che hanno detto sì all’acqua pubblica con una percentuale di voto ben lontana da quella che ha eletto l’attuale maggioranza capitolina. Una gestione pubblica, trasparente e partecipata sarebbe senz’altro più vicina agli interessi dei cittadini e dei lavoratori dell’azienda. Una gestione che reinveste totalmente gli utili nel servizio, che non ricorre all’odiosa pratica del distacco idrico per massimizzare i profitti, che non abbia a cuore gli indici di borsa, ma la salute dei cittadini che, attraverso le bollette, sostengono interamente il costo di un servizio che meritano migliore.

Attacca gli spazi sociali

Nella ricetta che il sindaco Marino propone, non manca il tentativo di mettere alle strette gli spazi sociali della città. Si parla di canoni di affitto a prezzi di mercato, si parla di tassazioni pari a quelle di attività commerciali, si parla di vendita (ma sarebbe meglio dire svendita) del patrimonio comunale. Vogliamo ricordare a questa amministrazione e ai partiti che la compongono, che i centri sociali sono l’unica risposta alla crisi che viene offerta agli abitanti di questa città, che al loro interno ritrovano molti di quei servizi che le politiche dei tagli hanno cancellato, e che sono l’unico baluardo contro la marginalità a cui sono spinti gli abitanti delle periferie dalle politiche delle giunte degli ultimi anni. Mentre si fanno sconti a costruttori e speculatori, si chiedono conti salati a chi a cercato sempre di rappresentare un’alternativa al degrado e alla speculazione. Rigettiamo completamente le politiche economiche di questa amministrazione e chiediamo il ritiro di questi provvedimenti.

Vende Farmacap

Farmacap costituisce un patrimonio importante per i cittadini e le cittadine di Roma, lo dimostrano le 10.000 firme raccolte in poco in tempo a sostegno dell’azienda pubblica. Le 44 farmacie sono presidi indispensabili in quartieri periferici di Roma, nei quali i privati non avrebbero avuto alcun interesse ad essere presenti. Inoltre hanno svolto un ruolo di calmiere dei prezzi verso il monopolio dei privati.

Tali soggetti privati, tramite l’azionariato assumerebbero il controllo dell’azienda, ma non avrebbero alcun interesse a fornire servizi indispensabili per la cittadinanza, ritenuti “poco renumerativi”. I servizi di teleassistenza/telesoccorso hanno interessato fino ad oggi un bacino di 2.000 utenti, garantendo supporto a soggetti anziani e fragili. L’asilo nido nel quartiere Infernetto si è caratterizzato come un asilo di eccellenza.

Il teorema alla base della necessaria privatizzazione è un teorema basato su bilanci aziendali che per gli anni 2011 e 2012 presentano evidenti irregolarità, volte ad enfatizzare le perdite e oscurare i crediti maturati verso Roma Capitale e la Regione Lazio (complessivamente 16.000.000 €). Il sindaco Marino non è sembrato interessato a far luce su evidenti irregolarità e non ha perso occasione per fare disinformazione e screditare Farmacap. Lavoratrici, lavoratori ed Organizzazioni Sindacali hanno continuamente chiesto di potersi confrontare con gli assessorati di competenza su proposte di innovazione e rilancio, ma ad oggi non è stato avviato nessun confronto.

Ad oggi, sono stati messi in atto piani di ristrutturazione senza prospettive chiare. La giunta capitolina col furore liberista dell’assessore Scozzese e del sindaco Marino, parlano di “dismissione” dell’Azienda Speciale Pubblica Farmacap, inserita in una delibera ad hoc il 30 dicembre 2014. La minaccia di dismissione serve in realtà, a giustificare come “male minore”, la trasformazione in S.p.a. (preludio alla privatizzazione).

Tale trasformazione, avrebbe il solo scopo di preparare il terreno all’ingresso di capitali privati con una progressiva cessione delle azioni dell’azienda a tali soggetti. Tutto questo è ancor più chiaro dopo l’approvazione lo scorso 20 febbraio, del Ddl sulle liberalizzazioni che prevede importanti novità in materia di farmacie (potranno entrare nel mercato e diventare titolari di farmacie private anche le società di capitale, fino ad oggi escluse dal novero degli aventi diritto; le farmacie potranno essere anche di proprietà delle società di capitali e i soci non dovranno più essere obbligatoriamente farmacisti; viene eliminato il limite delle 4 farmacie per società proprio per facilitare l’ingresso nel settore delle grandi società di capitali come gestori di catene di farmacie; eliminato anche l’obbligo che prevede che a dirigere la farmacia sia un farmacista socio).

In ogni azienda ed in ogni città, a trasformazioni di questo genere sono corrisposti tagli salariali, licenziamenti e peggioramento della qualità dei servizi. Ricordiamo inoltre che con la trasformazione (privatizzazione) dell’Azienda Speciale, emergerebbero rischi correlati all’applicazione delle nuove norme sui contratti di lavoro (e demansionamenti) previste dal Jobs Act. E’ sconcertante che a seguito del verminaio scoperchiato a fine 2014 con l’inchiesta Mondo di Mezzo/Mafia Capitale, nonostante Raffaele Cantone, magistrato e presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione abbia invitato alla prudenza, proprio per i pericoli insiti nelle privatizzazioni, si sia proceduto imperterriti in questa direzione.