ROMA

Roma adesso, Roma daccapo #13D Diritto alla Città

Lì dove i soldi non girano, si fanno. Nell’ altracittà, là dove la rendita immobiliare sembra imballata. L’imprenditoria serve alla mafia per i propri affari per farsi governo, per costruire il dominio della finanza sulla città, sulla nostra vita.

Roma adesso 1. Ci sono tre asili finiti. Pronti per essere aperti,sono chiusi. Siamo a Ponte di Nona. Prima le case e poi,quando arrivano,i servizi. 900 bambini sono fuori dalle aule e 600 mamme murate in casa. Impossibilitate anche a pensare di poter cercare un lavoro. Chi all’asilo,quando c’è,ci va deve fare lo slalom tra le scorribande dei numerosi topi.

Si muore spostandosi in bicicletta. Così si prendono pennelli e si disegna una ciclabile. Pochi euro e qualche minuto di tinteggiatura stradale. Un sollievo per chi,in bici,passa sotto l’arco di S.Bibbiana da San Lorenzo all’Esquilino. Dura poco. Ecco i vigili,mandati dal Municipio,a cancellare tutto e a far continuare il pericolo. Gli stessi vigili e gli stessi operai mai incontrati per colmare il cratere continuo di quelle strade,di quei marciapiedi.

Dalle televisioni vieni a sapere che la casa popolare per cui hai aspettato anni ed anni,che non vede nessuna manutenzione,che,come nei libri che leggevi da bambino,pensi dovrebbe essere incatenata a terra per evitare che il vento di tramontana la sollevi in aria e che,quando piove,ti fa stare come dentro una lavatrice,verrà venduta. Perché,dicono,costa troppo mantenerla. E’ messa,per legge,sul mercato libero,sempre che tu non possa acquistarlo al prezzo determinato dall’asta di vendita.

Tu sai bene che non potrai farlo. Che ti aspetta la deportazione. Sbattuto fuori lì dove converrà tenerti. Capisci che la tua vita,la tua storia,te stesso non valgono assolutamente nulla. Niente,ma ora vieni a sapere che anche il tuo essere niente,una volta sbattuto fuori di casa,diventa immediatamente un “emergenza” e ,come tale,acquisti valore per chi dovrà occuparsi di darti un tetto.

La parola emergenza te la sei sempre sentita cucita addosso. Hai già vissuto condizioni simili,come sfrattato,come occupante abusivo,come abitante di un residence. Nuovamente buttato in mezzo ad una strada? Non parlano però di te, quando mai ? Parlano di dove vivi, del “fuoco” delle periferie. Di luoghi distanti da chi questa storia racconta.

Il 508 è una linea di autobus che conosci e ti stupisci che ora sembra interessare altri,oltre chi è costretto a servirsene. Il viaggio sulla quella linea è ormai un cult. Sono molti, giornalisti e cameraman,a prenderla d’assalto. Un tragitto a varcare l’ altracittà. Salgono e puntano i loro occhi di vetro su corpi e mani che quei percorsi conoscono a memoria. Per te quel muoversi avanti e indietro rappresenta un film giornaliero i cui orari di programmazione sono fissati,ma in realtà cambiano sempre. Così quando l’autobus arriva ci si aggrappa quasi increduli per esserci riusciti ancora una volta. Per chi il film televisivo è venuto a girarlo è uno stupore continuo. Giù a prendere nota: quanti immigrati,quante puttane ai bordi delle strade,quanti palazzi a pezzi,quanti cancelli,strade divelte,buche… allora la periferia è proprio come ce la raccontano.

Ma dove abita tutta questa gente? In quella grande corte che sta cadendo a pezzi appoggiata su una collina. In quelle case alte,lunghe e strette con i grandi occhi di vetro disegnati nei suoi piani alti,con scale tenute sull’esterno del’edificio come se all’interno non ci fosse posto? Andando avanti,spingendosi fino a Corcolle,lì dove il posto alcuni sembrano poterlo trovare affittando un letto solo in umidi scantinati sprofondati per terra?

Sta piovendo e molti dei viaggiatori,più che delle telecamere e dei taccuini,sembrano preoccupati per quando dovranno scendere. Faranno in tempo a “guadare” le strade che certo si riempiranno d’acqua? Succede sempre così e c’è sempre qualcuno pronto a raccontarti che lui si ricorda quando,nel 1984, arrivarono i pompieri con i canotti a tirar via le persone dai tetti delle case. Si perché le case allora erano basse ed abusive.

Questo per chi le poteva tirar su facendosele da solo e con molti debiti,dopo essersi ritagliato un fazzoletto di terreno con cui il proprietario dell’area era andato a suddividere la sua proprietà. Un rettangolo disegnato con riga e squadra,che sembrava facile da trasformare in una casa,ma,magari dopo aver passato tutta la settimana a tirar su i muri delle case degli altri,fare un tetto o un muro la notte o la domenica era proprio un’impresa. Poi mancava tutto. Tutto ancora manca.

Roma adesso 2. Improvvisamente,ora,apri la televisione vedi casa tua,il tuo bar,quella donna che poco prima era sbarcata dal tuo autobus. Ti rivedi,insieme a molti,a gridare che non puoi essere dimenticato,che non ci si può ricordare di te,delle tue strade,solo come posto per parcheggiare l’emergenza di turno: dalla discarica,all’accoglienza,ai rom..

Ti accorgi che tutto quello che la città sembra non essere in grado di risolvere,e ti viene gettato in faccia,non sono singoli episodi. Servono per alimentare emergenze continue. Ti accorgi che improvvisamente ti ritrovi al centro degli affari della città. Che qui passa la ricchezza. Qui dove i soldi non girano si fanno.

Si fanno proprio facendoli saltar fuori dove ce ne sono di meno o,meglio ancora,dove ce ne sono pochi ed anche dove non ce ne sono proprio. Non riesci a capire come. Non si fabbrica nulla,le case che vengono costruite restano vuote,le serrande dei negozi si abbassano ogni giorno per non rialzarsi più,si acquista lo stretto necessario per non morire di fame… Intorno vedi gente che sta male come te e gente che sta ancora peggio. Quelli che sono qui da sempre e quelli che via via hai visto arrivare,scaricati da autobus senza numero dipinti di blu con una striscia bianca.

Oggi vieni a sapere che per quei posti,addossati a quelli dove vivi,l’Amministrazione spende decine di milioni di euro ogni anno. Ogni anno vedi questa gente vivere come sempre: male. Ti accorgi che il non fare nulla,il non cercare nessuna politica d’integrazione,ha lo scopo solo di mantenere quei corpi come numeri,perché ad ogni numero corrisponde una quota di denaro da succhiare.

Roma adesso 3. La politica dell’assistenza pensavi fosse un programma preciso. Non esiste. Così come non esiste una politica abitativa,non c’è nessuna forma di manutenzione urbana,né un progetto per la mobilità. Si tagliano le linee. E’ lo stesso per il welfare,per i diritti. Ora vieni a sapere che la regia di tutto questo non è in mano all’Amministrazione,ma imposta alla stessa. La fine della città pubblica. Dovuta,non come ti ripetono incessantemente,alla mancanza di risorse,ma alle decisioni di chi vuole fare incetta di quelle che ci sono.

Per farlo è dunque necessario distruggere il vivere in città. La rendita immobiliare da sola è insufficiente a garantire i profitti di un capitale sempre più vorace. Dovranno essere ora i corpi e il loro numero a fare rendita. I corpi di quelli che accogli e non curi ed anche il tuo corpo che dovrà,anch’esso,essere staccato dall’abitare. Sai bene che nessuno comprerà la tua casa popolare piena d’amianto,lontana da tutto. Ci sarà,invece,chi sarà disposto ad investire sulla tua condizione,ora stabilita per legge,di abitante precario. Fisserà lui quella piccola somma,per te impossibile,per acquisire la tua casa.

Si servirà di te e di tanti altri magari per riciclare,nell’acquisto,i suoi soldi. Non farà nessuna manutenzione,ti lascerà circondato dall’amianto,ma sarà pronto ad offrirti la possibilità di restare dove tu sei sempre stato,fissando un nuovo prezzo d’affitto, immettendoti sul “mercato”,che tu dovrai,indebitandoti all’infinito,corrispondere non avendo altra alternativa.

Quando manderà qualcuno a riscuotere la rata che tu non riesci a pagare,ti farà notare che quello straniero che tu vedi davanti le tue finestre,invece non ha di questi problemi. “Perché noi accogliamo tutti,a tutti diamo una casa, soldi e cibo. Non è un mistero che quelli vengono prima di noi. A loro,che non pagano,l’Acea non sigilla il contatore. A te,quando non paghi stacca l’acqua”. C’è la crisi,ma non basta per fare soldi bisogna specularci sopra,renderla continua,producendo innanzitutto il vuoto.

Roma adesso 4. E’ il vuoto il nuovo modello della città. L’articolo unico del piano regolatore che conta. Il vuoto che deve innanzitutto dividere le vite tra loro,non farle riconoscere come simili,ma lasciarle marcire sul territorio. Il vuoto ad impoverire tutti e la città con noi.

Serve a dire che quello che si spende per il sociale aumenta il debito pubblico. Per te non c’è nulla,sei destinato ad essere privato dei servizi essenziali. Devi farcela da solo ed hai un solo metodo: indebitarti. Facendo della tua miseria parte dell’ammasso bancario dopo che,proprio quelle banche,hanno ricevuto continui aiuti senza dover restituire nulla.

Con il vuoto si attua un cortocircuito in cui il welfare viene stravolto. Si privatizza ogni bene comune lasciando all’Amministrazione la funzione di pura garanzia per gli investimenti dei privati. Non è andata così per lo Stadio della Roma? Ti accorgi,ora che ne senti parlare,che il centro economico della città non era quella parte lontana,quella Roma dove non ti capita di andare se non costretto. Quella degli eventi,dei palazzi tirati a lucido,delle isole pedonali. Quella dove,una volta sceso dal 508,devi prendere,per raggiungerla,ancora un altro o più mezzi. Ti accorgi che sei diventato tu il centro.

Che qui si estrae valore,che tu rendi,che rendono le case che ti vogliono togliere,che quel verde,che nessuno cura e manda alla malora,produce denaro proprio perché nessuno se ne occupa,che quei lavoratori che animano i centri di accoglienza lo fanno per una paga insultante di 5,20 euro l’ora,mentre gli appalti sono milionari. Che è questo il motivo per cui sono più di venti anni che i campi provvisori di accoglienza stanno ancora lì. Che tutto questo continua ad essere chiamato periferia,ma è il centro di tutto.

Che qui,in periferia,ora giurano di volerci venire per mettere a posto quel giardinetto,portarci i film della festa del Cinema,trovare qualcosa da far rammendare a Renzo Piano,architetto e senatore a vita,che ora c’è la metropolitana C . Non serve a nessuno perché non scambia con altre linee e chiude nel pomeriggio (?) e soprattutto non scambia con quella linea tramviaria per cui si sono costruiti viadotti e,subito dopo,si sono tappati con l’ennesima palazzina. Ti rassicurano che sarai città,anche se continuerai a chiamarti con il nome che avevi quando i tuoi nonni sono stati lì deportati dal fascismo,in quelle tante borgate. Anzi si serviranno di quel nome per dire come sono stati bravi ad arrivare fino a là.

Roma adesso 5. Ti accorgi che quel vuoto che c’è tra un insediamento e un altro,che vedi tra Tor Bella Monaca e Torre Maura,tra Ponte di Nona e Rocca Cencia,che è servito a costruire la città,spingendo le costruzioni sempre più lontano,continua. Continua all’interno del costruito,all’interno delle relazioni che l’Amministrazione spergiura di voler ricostruire. Che la città è oggi la periferia. E’ nell’altracittà che si programma la spoliazione. Chi lo fa abbandona,non abita,il centro storico. Non per nascondersi,ma per ricercare la propria grande bellezza,costruire il proprio potere,rigettando i luoghi della vetrina della politica,che disprezza ed usa a proprio piacimento per fare soldi.

Sono i soldi a valere e chi li ha. Imprenditori e politici vanno gestiti secondo quanto valgono. I primi devono essere solidi “non puoi dare un appalto a chi è pieno di buffi”, né puoi scommettere su chi non prenderà voti. Gli uni e gli altri infatti devono far uscire soldi subito “non fra un anno”, si dicono incontrandosi per i summit.

La mafia a Roma lavora con attenzione sui flussi di cassa. Come le banche. A differenza delle banche sono loro che investono. Non prestando soldi (l’usura è solo una delle loro attività) ma pianificando le opportunità. Lo fanno anche costruendo la “narrazione” delle invasioni meticcie,del degrado,della città che non può accogliere tutti,delle invasioni barbariche,di chi molesta le donne e ci toglie il lavoro…

La politica non la fanno,non vanno a cene,non festeggiano con tavolate di ringraziamento gli appalti “dovuti”; lo lasciano fare a chi è pagato per questo.

Loro si vedono,appoggiati a spazzole di lavaggio,in un distributore di benzina,affogato tra palazzine ormai slabbrate,di quella che tanti anni fa era la città della borghesia ricca, abitano in anonime ville simili a scatole di scarpe in una lottizzazione a nord della città dove qualche ulivo sopravvissuto e prati di plastica rappresentano il feticcio della campagna.

I loro uomini trasformano le architetture di Valadier o di Brasini,all’ingresso di Roma da nord che tanto amava Sthendal,in una miriade di bar e locali arredati come luna park, aprono e chiudono negozi che vendono cose “impossibili”,costruiscono intere repubbliche dello “scontrino” dell’incasso continuo e del riciclo,in quella parte della città dove serve; ritirano,ovunque,lo scontrino che ognuno di noi produce nelle sue forme di sopravvivenza. Alla politica impongono di obbedire alla finanza,al suo progetto per: gettare più gente possibile per strada,tirarci fuori dalle nostre case,renderci pronti per essere raccolti per farci stipare ed ammassare in luoghi da loro predisposti .

Non è solo un’operazione di finanza è anche un’operazione culturale. L’Amministrazione non deve avere nessuna politica culturale,chiudere le esperienze resistenti,fare il deserto tra noi.

Per restare liberi di uscire, a bordo di smart metallizzatedalla buca dove abitano, lì nella periferia,che non riconoscono come tale,ma come zona residenziale (sic),percorrendo la strada che li porta a Roma,come una volta si diceva in borgata,pronti ad invertire la marcia per tornare subito indietro per prendere il telefono. Il loro modo di rapportarsi al mondo che non vogliono vedere e raggiungere se non con questo mezzo. Vogliono stare lontano.

Lontano da quella città che saprà riconquistare la propria libertà,a partire dalla capacità di rigettare in faccia la precarietà di vita con cui ci vogliono soggiacere. Oggi riconquistare la città vuol dire riconquistare la democrazia. Roma adesso. Roma daccapo.