EUROPA

Perché in Italia non si parla della «lavanderia azera»?

Un’inchiesta rivela un fiume di denaro che collega l’Azerbaijan a uomini politici, giornalisti e imprenditori europei . Un sistema di regali e favori funzionale a rappresentare l’Azerbaijan come uno Stato democratico e un partner affidabile. Sullo sfondo gli affari tra il Paese del Caucaso e quelli del Vecchio Continente. Uno su tutti: il Trans Adriatic Pipeline (TAP).

La scorsa settima, alcuni tra i principali giornali europei hanno pubblicato i risultati di una mega inchiesta portata avanti dalla piattaforma di giornalismo investigativo OCCRP (Organized Crime and Corruption Reporting Project) e da una coalizione di più di 15 giornali sparsi tra Europa, Stati Uniti e Russia. Titolo: The Azerbaijani Laundromat. La lavanderia azera, cioé «una complessa operazione di riciclaggio di denaro e fondi neri che in due anni ha gestito 2,9 miliardi di dollari attraverso quattro società di comodo registrate in Gran Bretagna».

L’inchiesta ha tutti gli elementi per costituire una vera e propria bomba, chiamando in causa strutture portanti della governance europea, insieme ad attori politici di primo piano. Un fiume di soldi, infatti, sarebbe transitato attraverso le filiali estoni di una delle più importanti banche del Vecchio Continente, la danese Danske Bank, sui conti di quattro società britanniche. Da qui – sfruttando la scarsa regolamentazione del mercato UK, già finita sotto accusa in passato – i soldi sarebbero finiti direttamente nelle tasche di membri influenti dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE), di importanti giornalisti e di potenti uomini d’affari. L’obiettivo? Migliorare l’immagine del Paese caucasico in Europa, per agevolarne gli affari.

L’Azerbaijan è uno dei 15 Stati nati dal crollo dell’URSS nel 1991. Ufficialmente si definisce una repubblica, sebbene di reppublicano abbia ben poco: subito dopo l’indipendenza, infatti, è finito sotto il controllo di una famiglia molto potente già al tempo dei sovietici, gli Aliyev. Questi governano l’Azerbaijan in modo praticamente dinastico: nel 1993 Heydar Alyev prese il potere, trasmettendolo dieci anni dopo al figlio Ilham, che è l’attuale presidente.

Nel 2001 L’Azerbaijan è entrato a far parte del Consiglio d’Europa, un’organizzazione internazionale che dovrebbe avere lo scopo di promuovere democrazia e diritti umani. Il CdE è un dispositivo esterno all’Unione Europea e include molti più Stati. In teoria, un prerequisito di accesso è avere un ordinamento democratico. Ad esempio, Portogallo e Spagna entrarono a farne parte solo dopo la caduta dei rispettivi regimi e la Grecia si ritirò durante il periodo della Giunta, per evitare preventivamente di essere espulsa. Per questo, ai tempi dell’ingresso dell’Azerbaijan si sollevò un grosso dibattito, date le condizioni politiche che difficilmente potevano definirsi democratiche. Alla fine, prevalse l’idea che accogliendo questo giovane Stato nel club delle democrazie europee se ne sarebbe favorito lo sviluppo liberale. Un altro argomento a sostegno dell’ammissione fu che non si poteva concedere l’ingresso soltanto alla rivale Armenia, per evitare squilibri nell’area.

Con l’ingresso nel CdE, inizia una lunga e travagliata storia di amore, odio, gelosia, corteggiamenti e tradimenti tra membri dell’elite azera e numerosi parlamentari del PACE (che sono deputati anche nei rispettivi parlamenti nazionali). A leggere le dettagliate inchieste redatte dall’European Stability Initiative (ESI)– un think tank indipendente sull’Europa del Sud Est e sull’allargamento dell’UE all’area che va dai Balcani al Caucaso – l’Azerbaijan non ha interpretato l’ingresso nel CdE come primo passo verso la democrazia. Al contrario, le condizioni relative alla libertà di stampa e di espressione, alla regolarità delle elezioni, al rispetto dei diritti umani e all’imprigionamento di giornalisti e attivisti per motivi politici sono nettamente peggiorate negli ultimi quindici anni. Specularmente, però, i rapporti redatti dagli osservatori del CdE sulle condizioni del Paese caucasico sono costantemente migliorati. Perché?

In due lughe inchieste basate su numerose fonti, testimonianze e documenti (questa del 2012 e questa del 2016), l’ESI sostiene che questa divaricazione tra peggioramento delle libertà politiche e civili e relazioni positive presentate al CdE dipenda da un articolato sistema di corruzione. È la «democrazia del caviale», dal cibo di lusso di cui, insieme a gas e petrolio, il Paese è particolarmente ricco e con cui ha omaggiato decine di esponenti politici europei e di personalità influenti. Tra loro, ci sono Eduard Lintner, un ex deputato tedesco della CSU, cioé il gemello bavarese del partito di Angela Merkel, che ha ricevuto almeno 800mila euro. Il primo bonifico risale a due settimane dopo il voto azero del 2013. In quell’occasione Lintner aveva «monitorato» le elezioni esprimendo un giudizio molto positivo, a differenza di altre delegazioni ufficiali. «Il voto ha rispettato gli standard tedeschi», dichiarò in quell’occasione. Altro beneficiario del denaro azero, è Eckart Sager, ex giornalista della CNN di Londra, autore di numerosi articoli funzionali a promuovere un’immagine positiva e democratica del governo azero. Per questo lavoro di pubblicità nascosta da giornalismo, Sackert ha ricevuto 2 milioni di euro. Molti di più di quelli individuati sui conti di Kalin Mitrev, attuale presidente della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, che ha ricevuto tra il 2012 e il 2014 «solo» 400mila euro. All’epoca Mitrev era un uomo d’affari privato, ma era già sposato con Irina Bokova, direttrice generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura. Come alta dirigente UNESCO, Bokova ha sempre supportato la classe dirigente azera. Ad esempio, organizzando una mostra fotografica nel suo quartier generale di Parigi dal titolo Azerbaijan, una terra di tolleranza o insignendo di un premio UNESCO, la medaglia di Mozart, la first lady azera. In cambio, Meriban Aliyev ha lautamente finanziato il fondo fiduciario dell’organizzazione delle Nazioni Unite con circa 5 milioni di euro.

Un ruolo di primo piano all’interno della complessa trama di relazioni tra Europa e Azerbaijan è quello giocato da un italiano, Luca Volontè. L’ex deputato dell’UDC è finito al centro di una puntata di Report andata in onda a gennaio di quest’anno. A febbraio 2015 era stato raggiunto da un avviso di garanzia del Tribunale di Milano: presso la sua banca, il Credito Cooperativo di Barlassina, erano arrivate alcune centinaia di migliaia di euro che l’esponente politico non era riuscito a giustificare. Tra dicembre 2012 e dicembre 2014, Luca Volontè ha ricevuto circa 2,5 milioni di euro: donati generosamente alla sua fondazione Novae Terrae da alcune aziende registrate in Gran Bretagna (Metastar Investment LLP, LCM Alliance LLP, Polux Managemente, Hilux Service LP). Il denaro è transitato attraverso le filiali estoni della Danske Bank, seguendo minuziosamente lo schema della «lavanderia Azera». Secondo la ricostruzione dell’ESI si tratta solo di una parte dei 10 milioni complessivi che Volontè avrebbe dovuto ricevere dall’Azerbaijan. Il politico italiano, infatti, avrebbe svolto dei compiti molto importanti nel rapporto tra gli Aliyev e il CdE, della cui assemblea parlamentare era membro. Uno dei suoi grandi successi sarebbe stato quello di affondare il Rapporto Strasser, che denunciava la detenzione nelle carceri azere di numerosi detenuti politici. Gli Aliyev avevano giudicato la bocciatura di quel documento strategica per la loro immagine. E alla fine riuscirono a ottenerla. Quando nel 2013 il CdE respinse l’approfondita relazione presentata da Cristoph Strasser, gli Aliyev si sentirono legittimati a lanciare un’ondata di arresti di giornalisti e attivisti per i diritti umani attivi nel Paese caucasico. Nell’occasione del voto al Consiglio d’Europa, Volontè avrebbe avuto il ruolo di far schierare il gruppo conservatore contro Strasser, cioé contro un suo stesso deputato. Il Gup di Milano aveva decretato il non luogo a procedere nei confronti di Volontè, facendo valere la relativa immunità parlamentare, ma a luglio di quest’anno la Corte Costituzionale ha accolto il ricorso della Procura di Milano. Andrà dunque a processo.

Al di là dei nomi di spicco, ci sono altre decine di parlamentari europei, uomini politici e d’affari implicati nella fitta trama di regali, caviale, favori, soldi e soggiorni-vacanza generosamente dispensati dagli oligarchi azeri. Come rivelato sia dalle inchieste dell’ESI che da quella dell’OCCRP, la posta in gioco di questo sistema è ripulire l’immagine del governo azero nel contesto occidentale. Una mossa ritenuta strategica dagli Aliyev e dai loro sodali al fine di aumentare il volume di affari nel Vecchio Continente. Tra i vari business a targa azera, ce n’è uno particolarmente consistente: il Trans Adriatic Pipeline (TAP). Il gasdotto che dovrebbe portare milioni di metri cubi di gas dal Mar Caspio in Europa, dall’Azerbaijan alla rete italiana SNAM e poi verso i Paesi più a nord. Una mega opera da 45 miliardi di euro, già al centro di numerose indagini per affari illeciti nati lungo il suo tragitto e interessi legati a organizzazioni mafiose internazionali. Il TAP non è ancora entrato nelle carte dell’inchiesta, ma sarebbe proprio il «tassello mancante» della «lavanderia azera», secondo i membri di quattro tra le più importanti associazioni europee: Platform, Re:Common, Counter Balance e Bank Watch. In una lettera inviata a The Guardian sottolineano come «l’elefante nella stanza» del sistema di corruzione azero sia proprio il corridoio del gas. Il pezzo necessario a completare il puzzle dell’inchiesta.

Un tassello che può aiutare anche a rispondere alla domanda iniziale: perché in Italia non si parla di una mega inchiesta che ha svelato il traffico di milioni di euro di tangenti in cui sono coinvolti esponenti politici italiani e un fondamentale partner commerciale dello Stato? A parte alcuni articoli apparsi sulle pagine internet di Panorama, Report e Lettera43, continua il silenzio. In particolare, sui grandi giornali, come Repubblica e Corriere della Sera, che oltre a diffondere informazioni provano a svolgere il ruolo di agenda setting della vita politica del Paese, non è stata scritta neanche una riga. I due grandi quotidiani, del resto, sono stati in prima fila a sostenere le ragioni di TAP fin dalle prime manifestazioni di opposizione al passaggio del gasdotto nella provincia di Lecce, non disdegnando di descrivere attraverso narrazioni razziste e infantilizzanti i cittadini che protestavano.

Sebbene il gasdotto non sia esplicitamente nominato nell’inchiesta, almeno per ora, la pubblicazione della «lavanderia azera» deve aver messo in agitazione i vertici di TAP. Alcuni attivisti del presidio hanno raccontato che il giorno dopo che le informazioni sul sistema di corruzione sono diventate pubbliche un ingegnere dell’azienda è comparso davanti al cantiere, sbandierando documenti e mappe che darebbero già per costruito il gasdotto. Contemporaneamente si sono moltiplicati i comunicati e le note stampa di TAP che sottolineano l’avanzato stato dei lavori: «Siamo a più di metà dell’opera», hanno detto. Nonostante diverse fonti smentiscano categoricamente queste percentuali. Forse TAP vuole accelerare i lavori perché ha paura di finire coinvolta nella mega inchiesta? Non sarebbe certo la prima volta per una grande opera costruita in Italia.