PRECARIETÀ

Passeggiate romane

Cronache dalle macerie della concertazione. Un evento così, non si ricordava da un pò di tempo.

Un evento del genere qui, nella sede Laurentina di Poste italiane (600 dipendenti), non si ricordava da un bel po’ di tempo. L’attesa è vissuta come l’apparizione di un’eclissi lunare. Il volantino della Slc-Cgil di Roma e Lazio, distribuito ieri pomeriggio, invita “tutti i lavoratori e le lavoratrici a discutere, dalle 9 alle 11, di manifestazione del 25 ottobre, situazione aziendale, Fondo poste, varie ed eventuali”.

Negli ultimi due anni, l’unica parvenza di sindacato è stata quella di una riunione indetta da una minuscola organizzazione corporativa che ha visto la partecipazione di dicei-persone-dieci. Il resto, sono volantini penzolanti sulle bacheche sindacali che informano di premi di risultato, mensa, Fondi pensione, insulti anonimi, scooter da vendere, gatti e cani da salvare.

Diversi impiegati si muovono verso la sala mensa, si chiacchiera del contratto scaduto da due anni, del bilancio aziendale 2013 in attivo di oltre un miliardo di euro, dei possibili effetti del Jobs Act, della freschissima legge di stabilità presentata, in stile televendita, da un presidente del consiglio sempre più prigioniero di se stesso: giovanile, scamiciato, informale, pronto a distribuire battute e allusioni alla platea di giornalisti. Come se stesse ancora negli studi del Biscione, con il vecchio Mike, a girare la Ruota della fortuna.

La sala stenta a riempirsi. Dopo una ventina di minuti si presentano una sessantina di lavoratori. Molti quadri, tanti impiegati e pochi operai del recapito. Prende la parola la segretaria locale della Slc (di non si sa quale livello). Giusto un minuto per dare prova della propria esistenza che subito passa la parola alla segretaria nazionale Cinzia Maiolini. Dopo una premessa biografica, relativa al suo impegno nelle fabbriche torinesi, con piglio severo ed esperto, la sindacalista regala all’uditorio una pedante descrizione dell’assetto societario di Poste, la divisione interna tra il servizio recapito e le attività commerciali-finanziarie, il progetto di privatizzazione, il ritardo sul contratto, la scelta “obbligatoria” della previdenza integrativa, le ipotesi “partecipative” del cda sdegnosamente smentite.

“Un sindacalista – afferma ad alta voce – non può avere conflitti di interessi: o stai con i lavoratori o con il padrone”. Lo smash a campo aperto va fuori, l’applauso cercato non scatta. La segretaria non demorde e prosegue attaccando le politiche del governo “non eletto”, il Jobs Act e l’art.18, condito da un vago e rapido accenno alla riforma Fornero. A un certo punto, nel diluvio di parole, emerge la figura di Renzi, descritta come una sorta di meteora imprevista precipitata da Marte, che in modo diabolico e inaspettato complotta per smantellare diritti e salario. Non c’è storia, né economica né politica né sindacale, che possa spiegare il presente.

Sono le 10 e 20. Il comizio si interrompe sulle sorti magnifiche e progressive del corteo del 25 ottobre. “Sfida complicata – dice Maiolini – Quel giorno in molti misureranno l’opposizione sociale di questo paese. In un periodo di crisi è faticoso organizzare la partecipazione dei lavoratori. I treni speciali non ci sono più”. Peccato però, fa notare qualcuno, che sia stato proprio l’ex sindacalista Cgil, Mauro Moretti, nella sua nuova versione padronale di a.d. di Trenitalia, a imporre tanti anni fa questa decisione. Imbarazzo tra i banchi della presidenza.

La parola passa a un altro sindacalista, candidato alle elezioni del Fondo pensione, ma la sua campagna elettorale viene interrotta subito con veemenza. “Dopo un’ora e mezza di introduzione – dice un impiegato, ex iscritto alla Cgil – ora ci venite a vendere la previdenza integrativa? Nel ’95 ci siamo fatti prendere in giro dal governo Dini. La riforma delle pensioni fu impostata su dati fasulli, per giustificare il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo. L’Inps, d’altronde, lo sanno tutti, vanta un bilancio positivo nella parte previdenziale; è il carico dell’assistenza sociale che determina il saldo negativo”.

Subito dopo, altri due interventi per ricordare qualche capitolo di una storia sindacale raccontata con troppi omissis: l’accordo sulla politica dei redditi del 1992 che ha bloccato solo i salari, la truffa ventennale delle privatizzazioni dei gioielli di stato, la svendita della natura pubblica del servizio postale, il recente golpe sulla democrazia sindacale. E, soprattutto, il rinnovo del contratto e i livelli salariali fermi da tempo immemore.Il contratto scaduto nel 2012, infatti, prevedeva aumenti medi di circa 30 euro lordi al mese. Una mancia, subito divorata dagli aumenti di tariffe e tasse locali, oltre che dal taglio delle detrazioni fiscali.

“Sono un ‘quadro’, un privilegiato rispetto a tanti altri lavoratori – spiega Antonio, sulla cinquantina – Se ripenso agli ultimi vent’anni mi chiedo a cosa serve l’attività sindacale per come l’ho conosciuta. I confederali svolgono sostanzialmente un ruolo di collaboratori dell’azienda, gestiscono le scelte sul personale e i livelli. La concertazione dentro Poste si è trasformata in subalternità alla direzione. Già abbiamo perso tempo durante la riforma Fornero – chiude Anotnio – che aveva già incrinato e di brutto l’articolo 18. Sarebbe ora di fare uno sciopero generale, vero”. Alcuni applaudono, altri borbottano, molti si scambiano occhiate di complicità rassegnata.

Le risposte di Maiolini sono una difesa nervosa delle scelte fatte, uno smarcarsi dalle “timidezze” di Camusso e soci, il presidio orgoglioso di un corteo che non scalda nessuno. L’assemblea finisce, tre persone provano ad applaudire, ma è evidente che oggi non è aria di claque. Si formano crocicchi fatti di domande sullo “scivolo” pensionistico, richieste di spiegazioni sul contratto, titoli di resa in stile “so’ tutti uguali”.

Si avvicina Fabrizio, del settore Banco posta, “simpatizzante” dei sindacati di base, ora orfano di militanza: “E’ difficile scalfire la rappresentazione main stream della crisi e inventare un nuovo modo di fare sindacato – racconta – La gente, come si dice, tiene famiglia e le organizzazioni politiche e sindacali ‘collaborazioniste’ sembrano offrire maggiori garanzie. Intanto, però, concorrono a cancellare posti di lavoro, privatizzare beni comuni, devastare il territorio, togliere diritti acquisiti, che i figli di quella famiglia non potranno godere. E’ dura, ma serve un nuovo inizio”.