MONDO

#OccupyGezi – Tregua Armata

DinamoPress da Istanbul.

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L’articolo su El Diagonal in castigliano

Ieri (4 giugno, ndr) è stato il giorno in cui è diventato esplicito che una tregua è in corso. Il parlamentare del BDP, partito di opposizione kurdo, Sirri Süreyya Önder ha avuto un colloquio inerente la protesta con il Presidente Gul, il Vice Premier Bulent Arinc ha ammesso l’eccessivo uso della forza da parte delle forze di polizia nel corso delle prime operazioni e accettato di incontrare alcuni rappresentanti della piattaforma di protesta. Da giorni a Gezi Park e Taksim l’atmosfera è rilassata, le manifestazioni diventano sempre più colorate e partecipate, aumentano gli striscioni e gli elementi coreografici delle varie realtà che compongono questa lotta, e ognuno, movimento, associazione, partito, venditore o semplice cittadino che sia, vi ha trovato un spazio anche suo da attrezzare e caratterizzare. Le tensioni arrivano solo come code dei fronteggiamenti che avvengono da altre parti, anche loro in diminuzione.

Anche per questo motivo in serata decido di fare un sopralluogo nei dintorni, scendere sul Bosforo a Besiktas, il quartiere dove fino alla notte prima si sono susseguiti fronteggiamenti pesanti con le forze di polizia, determinate a non far avvicinare nessuno agli uffici ministeriali che lì hanno sede, ma che adesso, dicono, è tranquillo. Difatti al mio arrivo la situazione così si presenta: persone, molte, che fanno avanti e indietro, barricate che rallentano l’accesso a Taksim presidiate circondate da capannelli di persone che chiacchierano, non si vedono schieramenti o fronti.

Ma all’improvviso parte l’inferno. Su di noi piovono lacrimogeni, da dove non lo so, fatto sta che in un attimo non si respira e non si vede più niente. Migliaia di persone arretrano alla cieca immersi in questa nube ardente, per una strada che è una salita ripidissima costellata di barricate e senza più pavimentazione, fiancheggiata da prati e scalinate scoscese. Sarebbe più che sufficiente ma i lanci non si fermano, i botti dei gas scoppiano vicinissimi alle nostre orecchie, la nube si intensifica, sono pazzi, rischiano di ammazzarci. Per un momento ho davvero la sensazione di essere in trappola e che finirà male.

Nonostante il panico la folla mantiene un suo ordine e spirito di solidarietà. Non vedo incespicare su altre persone o spintonare, se ti fermi perché non riesci più ad aprire gli occhi o ti si contorce lo stomaco per il veleno, qualcuno subito si ferma per spruzzarti l’antiacido negli occhi o darti dell’acqua o portarti con sé. In una quarantina di persone rifugiamo in un condominio il cui portone è stato lasciato appositamente aperto, prendiamo fiato, ma anche li dopo poco l’aria diventa irrespirabile. Usciamo, non si vedono uomini in divisa, riusciamo a ritornare al parco.

Non passa nemmeno un’ora e di nuovo odore fortissimo di lacrimogeno, questa volta nel parco, di nuovo bruciano gli occhi, di nuovo si indossano le maschere, è forte ma non sono stati lanciati lì, mi immagino il ripetersi della stessa pericolosissima dinamica. Vedo alcune persone caricate sull’ambulanza o trasportate al presidio medico autorganizzato che a piazza Taksim ha preso il posto dello Starbucks Cafè. L’utilizzo che viene fatto dei lacrimogeni è criminale. Ogni volta che si fa un passo in più del dovuto, rischia di scappare il morto. E questo mentre ufficialmente si dichiara che la polizia non sta intervenendo e, qualora serva, lo fa in maniera moderata. Tregua sì, ma a modo suo.

Istanbul, 05-06-2013