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Norman Rockwell: il simbolico, la caricatura, i diritti civili

Si è appena chiusa la mostra American Chronicles: The Art of Norman Rockwell, presso Palazzo Sciarra a Roma.

Rockwell è conosciuto per lo più come il pittore della realtà americana del Novecento, della sua “normale” quotidianità, l’interprete del sogno americano e di una società in divenire che iniziava a conquistarsi un perdurante primato mondiale. Dobbiamo però ricordare che ha lavorato per circa quarant’anni come illustratore per alcune riviste (in particolare il Post e Look) quando queste, prima dell’arrivo massiccio della televisione, erano il veicolo più potente del gusto e dell’informazione. Il legame fra creatività, rappresentazione e comunicazione ci fa riflettere su una complessità celata da una lettura veloce e take away delle immagini su una rivista.

La florida carriera artistica di Norman Rockwell iniziò fra le mura domestiche dove suo padre, Jarvis Warning, trascorreva il tempo libero copiando illustrazioni dalle riviste e suo nonno, Howard Hill, si guadagnava da vivere dipingendo cani da caccia, animali domestici, case e paesaggi.

Rockwell nacque a New York il 3 febbraio 1894 e crebbe in un ambiente creativo e sereno. Rimase affascinato dalle immagini evocate dai racconti di Charles Dickens che tutte le sere venivano letti a lui e a suo fratello. Continuò a leggere Dickens per tutta la vita adottando la sua visione letteraria. Affermerà in seguito: «Tutto quello che c’era in Dickens, la varietà, la tristezza, l’umorismo, la felicità, il tradimento, le vicissitudini della vita; le impressioni nitide di sporcizia, cibo, locande, cavalli, strade; e la gente – Micawber, Pickwick, Dombey e il figlio, Joe Gargery – mi sconvolgeva e mi deliziava. Insomma, il mondo è fatto così, pensavo. Iniziai a guardarmi attorno; diventai insaziabilmente curioso».

Erediterà dallo scrittore inglese la meticolosa caratterizzazione dei personaggi e gli spunti di vita quotidiana, incarnando così nelle sue illustrazioni il “sogno americano” e, più in generale, quell’american lifestyle in cui tutti i cittadini potevano e volevano identificarsi.

Ne è un esempio l’illustrazione Merrie Christmas eseguita per il Post nel 1929, in cui i sentimenti natalizi risvegliati dalla narrativa vittoriana di Dickens si traducono in un cocchiere che altri non è che Tony Weller, il padre “straordinariamente grasso” del domestico di Pickwick nel Circolo Pickwick.

A livello stilistico non fu influenzato da un movimento o da uno stile artistico ma dalla fotografia. Fotografare modelli in posa gli consentiva di lavorare con più calma e di essere ancora più vicino alla realtà. Ammise di usare questa tecnica solamente dopo quattro anni.

Nel 1938, a metà strada del suo percorso professionale, Rockwell vinse il premio “High Hat” assegnato dalla rivista Judge, prefigurando così il successo che avrebbe avuto negli anni a seguire. Il premio gli fu assegnato «per essere diventato in età ancora giovane una tradizione in campo artistico […]; per aver sviluppato un occhio per il particolare, dimostrando con ciò che la modernizzazione sciatta non fa parte di una sapiente maestria[…]; per il fedele e grato attaccamento al Saturday Evening Post e alle sue tradizioni; per la sua bravura di narratore; per l’entusiasmo e anche la curiosità giovanile con cui guarda a tutte le cose; per l’energia inesauribile; per lo splendido senso dell’umorismo e per la sua bella vita privata».

Le motivazioni addotte alla sua premiazione consentono di comprendere quale immaginario caratterizzasse l’America di inizio Novecento, i suoi valori di riferimento e le sue aspettative. La capacità, dunque, di aprire forme di comunicazione competitive e possibiliste, il legame con la linea editoriale e politica della rivista Saturday Evening Post, il rispetto delle tradizioni, l’energia e l’entusiasmo (al servizio del lavoro o della creatività?) e un’esemplare vita privata. Tutti elementi, questi, che influenzeranno la produzione artistica di Rockwell negli anni a venire.

Guardare le sue illustrazioni significa immergersi nella società americana– nei suoi sogni, paure e desideri – in un momento in cui il paese spostava verso di sé, a poco a poco, l’asse della storia e dell’economia in un mondo ancora eurocentrico.

Rockwell ha saputo interpretare drammi, tragedie, paure e consapevolezze cogliendo gli umori del presente. Ha compreso tempestivamente il passaggio di un’epoca, distinguendo sempre la sua cifra stilistica: la complessità concettuale e la raffinatezza linguistica sono “alleggerite” dall’impianto narrativo e iconografico, dall’immediatezza delle immagini. Il piano simbolico è sdrammatizzato da una costante cornice ludica; la caricatura addolcisce la durezza del dato simbolico (cosa che farà anche Warhol con la ripetizione seriale).

Prima di lavorare per il “Post” Rockwell aveva illustrato la rivista mensile Boys Life e ne divenne Art Editor dopo soli sei mesi. In questi suoi primi lavori già si intuiva la volontà di caratterizzare ogni singolo personaggio per la sua specifica soggettività, sfuggendo dal rischio di creare dei “tipi”. Aveva studiato con il pittore realista Charles W. Hawthorne, ispirato da Tiziano e Frans Hals. Elementi questi che ritroviamo, ad esempio, nell’uso di uno strato di violetto di Marte che rendeva le tonalità dell’incarnato più calde. Si formò poi con altri grandi artisti fino a quando non propose i suoi lavori al Saturday Evening Post, la vetrina più scintillante per tutti gli illustratori americani (nell’era pre-televisiva in cui la gente attendeva con ansia la pubblicazione delle vignette umoristiche del Post, gli illustratori divennero delle vere e proprie celebrità). Iniziò così una collaborazione durata quarantasette anni.

Forse a causa della sua collaborazione con Boys Life gli adulti iniziarono a popolare il suo scenario timidamente e con molta lentezza, ma i bambini non usciranno mai del tutto dal suo repertorio (sebbene, nel dopoguerra, più disincantati).

La collaborazione con il Post lo rese un personaggio noto e di successo, ma non fu sempre rosea. Con alcuni dei direttori della rivista non si trovava a proprio agio (ad esempio con Wesley Winans Stout, direttore a partire dal 1937), sentendosi costantemente sotto pressione, revisionato e criticato. Questa conflittualità fra creatività e ritmi di lavoro lo portò, alla lunga, a lasciare la redazione.

Nel 1952 Rockwell eseguirà il Ritratto di Eisenhower dipinto quando questi era candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti. Il Post usciva ogni settimana con un ritratto in copertina, ma per Rockwell fu una novità. Si considerava, infatti, un narratore più che un ritrattista. Dedicando la copertina ad Eisenhower e non al democratico Adlai Stevenson, la rivista rivelava le proprie simpatie repubblicane (anche se nel ’56 uscì con un ritratto di Stevenson e poco dopo di nuovo con uno di Eisenhower). La pubblicazione del resoconto della seduta di posa, The day I painted Ike scritto da Rockwell stesso, influenzò inoltre l’opinione pubblica, facendo aumentare il numero di sostenitori del candidato repubblicano e provocando qualche dissociazione.

Negli anni ’40 gli fu chiesto di interpretare gli effetti della Seconda guerra mondiale sui cittadini americani e sui soldati in patria mentre l’Europa veniva dilaniata dai bombardamenti. Iniziò a illustrare una serie di quattordici copertine che illustravano il soldato Willie Gillis (nome ispirato al racconto di Munro Leaf Wee Gillis) coinvolto nelle attività più disparate. Solamente un’illustrazione lo ritrae in battaglia, per stimolare la produzione di munizioni nelle fabbriche belliche. Rockwell scrisse in seguito che non gli «piaceva fare illustrazioni che glorificavano gli ammazzamenti, anche se era per una giusta causa».

Nel 1942 iniziò a lavorare a Le Quattro Libertà. Illustrò il concetto delle quattro libertà fondamentali (libertà di parola, libertà di culto, libertà dal bisogno, libertà dalla paura) esposto dal presidente Franklin Delano Roosevelt come impegno nello sforzo bellico degli Stati Uniti. Hibbs, l’allora direttore del Post scrisse: «il risultato ci lasciò tutti a bocca aperta. Le quattro libertà divennero in brevissimo tempo i quadri più noti e apprezzati dell’epoca. Furono pubblicate in un momento in cui la guerra al fronte stava andando male e il popolo americano aveva bisogno del messaggio ispirato che quelle immagini comunicavano con tanta incisività e bellezza». Rockwell incarnava ormai l’artista americano.

A partire da questo momento i lettori del Post, abituati ad uno spirito più naïf, guardarono alle sue opere con occhi nuovi. I bambini non abbandoneranno mai le sue tele, ma cambieranno in modo inedito: nel dopoguerra si affacciano a un mondo in trasformazione e affrontano nuove sfide, forse con più disincanto. Sono gli anni del baby boom, dell’affermazione di un nuovo ruolo della donna, di un’apparente rise up, ma aleggiava comunque l’ombra di una nuova inquietudine: proliferava la produzione di armi nucleari e con essa la paura e la minaccia di una nuova guerra.

Nel 1961, dopo aver perso sua moglie, si sposerà in terze nozze con Molly Punderson. Questo incontro sarà decisivo per i cambiamenti che avvennero in quegli anni, per la virata stilistica e di contenuto che ebbe la sua arte. La personalità dirompente di Molly risveglierà in lui il bisogno di dedicarsi a immagini più vere, abbandonando le scene nostalgiche che lo avevano caratterizzato sino ad allora.

Nel 1963, dopo quarantasette anni di collaborazione, troncò i rapporti con il Post, liberandosi della sua linea editoriale e politica, lasciandosi alle spalle la narrazione e dedicandosi con passione ad un nuovo tema: quello del documento sociale. Non rappresentò più la nostalgia del passato ma fatti di attualità. Cambierà, di conseguenza, anche il suo stile, ora diretto, asciutto e giornalistico. Non userà più colori a olio, ma acrilici e colori a caseina.

Si dedicherà al tema dell’abolizione della segregazione razziale nei sobborghi statunitensi: realizzerà nel 1964, questa volta per la rivista Look, The problem we all live with e nel 1965 Murder in Mississippi. Nel primo caso Rockwell si ispira ad un fatto di cronaca: un bambina di sei anni si reca a scuola, a New Orleans, scortata da quattro agenti federali.

Infatti nonostante la segregazione razziale nelle scuole fosse stata abolita (sentenza Brown contro il Ministero dell’Istruzione, 1954), la Louisiana non si adeguò e i cittadini bianchi continuarono a manifestare una forte intolleranza. Nel secondo caso, invece, ispirandosi nuovamente ad un fatto di cronaca, illustrò l’omicidio di tre attivisti del movimento per i diritti civili, avvenuto il 21 giugno 1964 a Philadelphia, in Mississippi.

Rockwell si dedicò anche alla richiesta di chiarezza da parte del Governo rispetto alla guerra in Vietnam. Realizzerà per questo The Right to Know. Iniziò dunque parlando ai cuori degli americani ritraendoli con affetto e ironia caricaturale, spostandosi poi sul più ampio panorama dei temi sociali.

Con l’avanzare dell’età, ridusse sempre più il numero dei suoi lavori. Morì nel 1978 a ottantaquattro anni.