MONDO

No lo van a hacer

Un reportage sul progetto del Canale Interoceanico che rischia di devastare il Nicaragua. 278 chilometri di tracciato che dovrebbe collegare l’Oceano Atlantico al Pacifico, attraverso un ecosistema unico al mondo che rischia di scomparire.

La signora Maria punta lo sguardo davanti a sé, alle acque del lago Nicaragua che si intravvedono tra il verde degli alberi e i fiori rossi di hibiscus di questo angolo di foresta umida sull’isola di San Fernando del gruppo delle isole Solentiname. Non mi guarda mentre mi dice, con voce risoluta, che no, il canale non lo faranno. Maria appartiene a una famiglia che ha fatto, insieme a tanti altri, la storia delle isole Solentiname, un arcipelago di 17 isole a sud est del lago Nicaragua. Nel 1966 padre Ernesto Cardenal fonda sulle Solentiname la sua piccola comunità cristiana rivoluzionaria. Nella sua chiesa semplice, abbellita dai disegni naif dei tanti pescatori e contadini che diedero vita a uno stile di pittura primitivista assolutamente unico, si celebrava la famosa Misa Campesina, una celebrazione collettiva in cui la comunità tutta cantava e commentava il vangelo e la parola di dio, trovando linfa e materia che alimenterà la rivoluzione sandinista contro la dittatura di Somoza, sul fronte sud del paese. Nel 1977 il fratello diciottenne di Maria, che era nel gruppo di guerriglieri sandinisti che attaccarono la città di San Carlos, rimase ucciso negli scontri, dopo i quali, la Guardia Nacional per ritorsione, diede fuoco a tutte le case e le strutture presenti sulle isole, costringendo alla fuga e all’esilio centinaia di famiglie, che poterono tornare a casa solo dopo il trionfo sandinista nel 1979.

Mentre ci lasciamo andare ai racconti, cullate dal dondolio delle sedie sulla splendida veranda della sua casa ostello, mi tornano in mente le altre voci che in questo viaggio in Nicaragua mi hanno ripetuto questa stessa frase ogni volta ho chiesto pareri sul progetto del canale: no, no lo van a hacer. Me lo aveva detto già Juan, guida naturalistica di grande professionalità e competenza, che ci ha accompagnati sul Rio Bartola e all’interno della foresta primaria della Riserva Biologica Indio-Maiz, che si estende per 2606 km al confine con il Costa Rica. Un patrimonio immenso di biodiversità e riconosciuto sito Ramsar, la convenzione internazionale che promuove azioni per la conservazione e l’uso razionale delle zone umide del pianeta, riconoscendole come gli ambienti più produttivi del pianeta. Lo stesso no, no lo van a hacer della guida della riserva Los Guatuzos, una riserva di 44.000 ettari di territorio, attraversata da 18 fiumi, che formano una fitta rete di paludi e foreste umide che non solo ospitano una ricchissima fauna di anfibi, rettili, mammiferi e uccelli, ma contribuiscono in modo sensibile, fungendo da filtro, alla pulizia delle acque del lago Nicaragua, il più grande del Centroamerica, e il secondo di tutto il continente americano.

Sono ben 4 le riserve naturalistiche nominate siti Ramsar che saranno interessate dal progetto del canale interoceanico di 278 km che dovrebbe collegare l’oceano Atlantico al Pacifico attraverso il lago Nicaragua: Indio Maiz, la baia di Bluefields, San Miguelito, Los Guatuzos. Queste aree di grandi ricchezze biologiche, vitali per il sistema idrico dell’intero paese, sono state per assurdo preservate dalla guerra che ha messo in ginocchio il paese per decenni. E sono diventate negli ultimi anni, un occasione di sviluppo sostenibile grazie alla diffusione del turismo naturalistico. Sono tanti e preparati i giovani che incontro come guide o assistenti all’interno dei parchi e delle riserve, orgogliosi della bellezza della loro terra e accoglienti verso un turismo non predatorio e che abbia un impatto compatibile con il territorio. E’ questo il futuro che vedono per loro e per la loro terra e il canale rappresenta la minaccia più grande.

Il faraonico progetto del Gran Canal è stato presentato in una conferenza stampa a luglio del 2014 da Daniel Ortega, presidente del governo sandinista dal 2011 e dal magnate cinese delle telecomunicazioni Wang Jing, intimo amico di Laureno Ortega figlio del presidente, in cui è stato reso noto anche il percorso definitivo del canale. Il costo si aggira sui 40 miliardi di dollari, finanziati dalla società fondata ad hoc da Wang Jing: la HK Nicaragua Canal Development Investment, con sede ad Hong Kong, che ha iniziato lavori di misurazione nel mese di dicembre del 2014, e che prevede di terminare i lavori in soli 5 anni. La commissione governativa creata ad hoc che ha analizzato il progetto, ha già dato in concessione alla società cinese i diritti di sfruttamento del canale per 50 anni, rinnovabili per altri 50. Durante la conferenza stampa sono stati resi noti i dettagli tecnici del progetto del Canale, che avrà un’ampiezza tra i 230 e i 520 mt e una profondità di almeno 30 (quasi il doppio di quello di Panama) e attraverserà per 105 km il lago Nicaragua, consentendo quindi, a differenza di quello di Panama, il transito di navi come le nuove petroliere “Carabobo” da 320.000 tonnellate. Nella stessa conferenza stampa il presidente Ortega ha parlato del canale come di un progetto storico per lo sviluppo del paese che porterà, a detta del governo, 50.000 posti di lavoro, il miglioramento delle reti viarie e delle infrastrutture di buona parte del paese, e un impatto limitato sull’ecosistema della zona. Nessuno studio approfondito sul reale impatto del canale è stato in realtà presentato durante la conferenza stampa, tanto meno sono stati mai attivati strumenti di consultazione e condivisione sul progetto, chiesti dalle popolazioni locali. La realizzazione del canale interesserà i territori di 277 comunità in totale e il 52% della sua rotta attraverserà terre indigene, soprattutto nella baia di Bluefields, dove vivono gli afro-discendenti di etnia rama. La maggior parte di questi territori saranno espropriati velocemente per consentire l’inizio dei lavori e le comunità costrette a traslochi forzati.

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Un gruppo di giornalisti del settimanale “Confidencial” ha promosso uno studio approfondito di misurazione della profondità delle acque lungo il tracciato del canale, rilevando che solo un tratto di circa 15 km sui 105 previsti, ha la profondità tra i 27 e i 30 mt necessaria per la realizzazione del progetto. Sui restanti 90 km del tracciato l’impresa realizzerà un’opera di dragaggio massiccio di circa 400 milioni di metri cubi di materiale. Non risulta esserci alcun progetto su dove sarà sversata questa quantità enorme di materiale di risulta, né sembra che l’impresa abbia promosso studi approfonditi sulla composizione del fondo lacustre. Dalle indagini promosse da Confidencial risulta che la rimozione della parte superiore fangosa del fondo, produrrà un’alterazione importante sui componenti delle acque del lago rendendole inutilizzabili per la potabilizzazione e per uso agricolo. Il fondo al di sotto del fango è invece composto da strati rocciosi, soprattutto basalto, per la cui rimozione sarà necessario l’utilizzo di esplosivi. I risultati dei primi studi indipendenti promossi da giornalisti, reti sociali e studiosi, pur andando ad indagare solo su alcuni degli aspetti del progetto, rendono da subito evidente l’impatto mostruoso che avrà il canale sull’ecosistema. A cui vanno aggiunti i costi sociali in termini di espropri di terre e allontanamento forzato di comunità.

La ONG Alexander von Humboldt, che si occupa di sviluppo equo e gestione ambientale, ha promosso studi approfonditi sul disastroso impatto ambientale e sociale che avrà il canale, promuovendo contemporaneamente forum territoriali per invitare alle discussione e alla partecipazione le persone interessate dalla mega-opera. La Ong von Humboldt è parte, insieme a movimenti popolari e sindacati, della rete Cocibolca, mare dolce, come è chiamato il lago dai suoi abitanti in lingua nahuatl. Dal 18 dicembre scorso, nei giorni in cui tecnici dell’impresa hanno iniziato ad aggirarsi nelle comunità coinvolte nel progetto, sono iniziate le mobilitazioni delle reti di cittadini che si oppongono al progetto. Migliaia di persone hanno partecipato ai cortei e ai blocchi stradali organizzati in 5 municipalità, che sono stati duramente repressi dal governo sandinista. Grandi striscioni accusavano il presidente Ortega di essere un vendepatria, e un traditore degli ideali sandinisti. L’opposizione alla costruzione del canale cresce di giorno in giorno così come la disillusione nei confronti del governo sandinista, e del sistema di potere creato dal presidente e dalla moglie Rosario Murillo, distribuito tra una stretta cerchia di fedelissimi e familiari.

Ero in Nicaragua nell’anniversario dell’entrata dei sandinisti a Managua, il 19 luglio 1979. Le celebrazioni per i 35 anni da quell’evento, trasmesse in diretta, le ho potute vedere dalla sedia sulla veranda dell’isola di San Fernando, sul lago Nicaragua, accanto a Maria, sandinista e sostenitrice del movimento di padre Cardenal. L’ho spiata mentre Ortega iniziava il suo discorso ringraziando prima dio e poi il suo popolo, e l’ho vista ridere di gusto mentre in tv compariva un orrendo busto di bronzo dell’amico Chavez. “Ma noi non abbiamo lottato per questo, per quei 4 cretini ingessati con quel busto ridicolo a fianco, non abbiamo lottato per veder svendere la nostra patria al capitalismo cinese. Si sbaglia Ortega se pensa di venderci il suo progresso, questo che vedi intorno a te è l’unico progresso che è per sempre, no, il canale non lo faranno.”