ROMA

Nelle strade di Centocelle, con Elizabeth, Francesca e Angelica nel cuore. Restare umani è possibile

Tantissimi scendono in strada per le tre sorelline uccise dal rogo del camion in cui vivevano . Contro l’emarginazione e l’esclusione sociale. Ieri, i 700 bambini della Iqbal Masih avevano portato un fiore e un disegno sul luogo dell’omicidio. La Roma più bella.

Tantissime persone sono scese in piazza a Centocelle e Casilino 23 per dire che «Elizabeth, Francesca e Angelica sono morti nostre». Così recitava lo striscione d’apertura, retto da decine di donne del quartiere e firmato semplicemente con un triciclo rosa, come quello rimasto accanto al camion incendiato. Le manifestanti in testa al corteo reggevano cartelli neri e colorati: «Casa e lavoro, altro che decoro»; «Siamo tutte ROMane»; «La povertà non è una colpa individuale, 100celle solidale»; «La colpa è di chi è Stato». Dietro questa fortissima presenza femminile, un fiume di persone.

La manifestazione si è mossa da piazza dei Mirti, una delle tante piazze del quartiere popolare di Centocelle, ha attraversato diverse strade e poi il viale della Primavera, concludendosi a Casilino 23, il quartiere dove si trova il parcheggio in cui è stato commesso il triplice omicidio. Durante il percorso, si sono alternati momenti di silenzio, applausi e interventi dal camion. Assenti gli slogan politici rituali, le frasi fatte e i discorsi ideologici. In tanti hanno sottolineato soprattutto l’importanza di dimostrare una presenza, umana e solidale, di riconoscere quelle ragazze come parte integranti della nostra stessa città e, dunque, come morti che ci riguardano da vicino. Al di là dell’inchiesta giudiziaria e delle indagini della polizia, il corteo ha detto che «così non si può morire, perché così non si può vivere».

Gi attivisti dei tanti spazi sociali della zona hanno sottolineato l’importanza del lavoro costante e quotidiano di tessitura di relazioni sociali per mantenere vivo, nel deserto circostante, un comune sentire e lottare, un reciproco identificarsi. Al di là di qualsiasi differenza culturale, religiosa o di provenienza geografica. «Migliaia di persone senza casa, famiglie costrette in macchina o nei camper al Verano, a Centocelle e in tanti altri quartieri di Roma, poveri senza assistenza sanitaria: questa è una faida? Ma tra chi?», è stato detto dal camion. Presenti in piazza anche molte persone di origini rom, che sono intervenute sottolineando il rifiuto delle politiche di esclusione sociale e ghettizzazione che costringono a vivere nei campi, nei parcheggi, in condizioni disumane. Hanno espresso la volontà di autodeterminazione e il rifiuto del razzismo, «la causa di morte principale nella storia dell’umanità». Dal microfono, un insegnante di una scuola del quartiere ha raccontato il lavoro quotidiano di comprensione reciproca tra rom, italiani e migranti che viene portato avanti nelle classi della Iqbal Masih e degli altri istituti di zona. Un lavoro poco apariscente, ma costante, che nei momenti difficili dimostra il suo valore.

Come ieri mattina, quando tutti i 700 alunni della Iqbal sono usciti da scuola, accompagnati da insegnanti e genitori, e hanno portato un fiore e un disegno sul luogo della tragedia. «Un fiore e un disegno che in 700 case del quartiere sono stati preparati la sera prima, discutendo di quello che era accaduto con i nostri bimbi» – racconta Luca, cantante degli Assalti Frontali e padre di due bambini che frequentano la scuola – «Abbiamo vissuto insieme delle scene commoventi. Questo non è accaduto a caso. In quelle classi, anche grazie alla inestimabile eredità lasciataci dal lavoro di Simonetta Salacone, i bambini hanno un nome e un cognome. Per noi sono Margarita, Adelina, Graziano, non “rom”. Il pulmino giallo che passa dai campi e porta gli alunni a scuola è visto come elemento di corruzione e assistenzialismo: qui sono i genitori che devono portare i figli a scuola, perché hanno diritti e responsabilità come tutti gli altri». «Quello che è successo ieri in quel piazzale, con quei bimbi così piccoli, è il tentativo di una comunità di crescere di fronte a un tragedia così grande. Se tre bambine muoiono in un modo così orrendo, a pochi passi dal cancello della scuola, ci sono diverse reazioni possibili: l’indifferenza, la chiusura, la differenziazione, oppure l’identificazione e l’assunzione di quelle vittime, che sarebbero dovute essere compagne di banco. E questo è il frutto di una presenza, dove e quando serve, di persone che fanno un lavoro prezioso, capace di mettere al centro le relazioni e i rapporti umani. In un quartiere che non è un’isola felice, ma presenta tutte le contraddizioni della città. E nonostante ciò, è in grado di regalare momenti così alti di solidarietà, di umanità».

Per tanti di quelli che hanno manifestato oggi, scendere il piazza era il minimo, di fronte a un orrore così grande. Per dimostrare solidarietà alle vittime, rifiutare i tentativi disgustosi di trasformarle in carnefici, denunciare l’abbandono delle istituzioni nei confronti dei poveri, di qualsiasi nazionalità, e ripudiare con forza quel razzismo mediatico, di Stato e diffuso che produce la disumanità che ha inondato televisioni, giornali e social network dopo il delitto. Il minimo, dicevamo, che però ha un significato enorme in questi tempi di barbarie. Un sussulto di umanità e dignità che non viene dal nulla, ma, come è stato detto, da quella presenza costante sul territorio, nelle scuole, nelle strade che in un quartiere come Centocelle resiste nonostante tutte le contraddizioni e i problemi.

Oggi, tra quelle strade che portano i nomi degli alberi e lungo il viale che si chiama come la stagione più bella, in quei luoghi che nei decenni sono stati palcoscenico di episodi fondamentali della resistenza all’orrore del nazifascismo, di rivolte per i diritti sociali e contro le forme di sfruttamento e oppressione, è stata data una potente lezione ai predicatori di odio e violenza. Restare umani è possibile.

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