Nella capitale del rigore facciamo l’Europa

A Bruxelles prende corpo l’Europa: non quella della governance, ma dei movimenti e dei cittadini postnazionali.

*Eva Gilmore, Claudia Mancini, Lorenzo Sansonetti, Shendi Veli

La capitale politica di un’Unione sempre più in crisi si presenta gelida come il rigore e fredda come il potere, ma calda come il suo melting pot di lingue e provenienze, dove nessuno si sente pienamente né cittadino né straniero. Qui i movimenti si sono dati appuntamento dal 13 al 15 marzo, in occasione dell’importante vertice di primavera dei primi ministri, tra la bocciatura elettorale di Monti e le prossime elezioni tedesche.

Un appuntamento importante innanzitutto per i movimenti e i collettivi belgi, che si sono ritrovati nella cornice ampia della coalizione “For a European Spring”, ma in cui è emerso un protagonismo soggettivo delle generazioni cresciute dal movimento 15M in poi. Una composizione, quella belga, già di per sé post-nazionale (in particolare a Bruxelles), ricca del contributo di giovani migranti spagnoli, greci, tedeschi, italiani. A sentire i Precarious United di Liegi e altri, grazie alle mobilitazioni di questi giorni è cresciuto un nuovo spazio relazionale e politico che da tempo in Belgio cercava occasioni di azione comune.

A livello europeo le giornate di Bruxelles nascono dalla convergenza di alcuni collettivi e reti presenti al meeting Agora99 di Madrid e alcune organizzazioni e associazioni presenti al FSE di Firenze10+10. All’appello comune “For a European Spring” ha seguito, tra le altre cose, la call di alcune esperienze italiane, tedesche, slovene, spagnole e finlandesi, che hanno dato vita anche un primo esperimento di blog comune (europa99.cc). Una settimana di mobilitazione partita il 9 marzo a Lubiana, con la partecipazione di movimento al corteo dell’opposizione sociale slovena, passata per iniziative in Germania, Italia, Olanda, Finlandia, Svizzera, Austria, Spagna e terminata con la manifestazione di sabato 16 marzo a Madrid. Un inizio di primavera che vedrà nel mese di maggio un momento importante, con le lotte che dalla Spagna intrecciano il livello globale e la seconda edizione di Blockupy, dal 31 maggio a Francoforte.

Il vertice di Bruxelles ci consegna alcuni dati interessanti. Potremmo dire che, seppure da punti di vista differenti, a volte opposti, il dogma tedesco dell’austerità a tutti i costi comincia a segnare il passo. Dopo la bocciatura da parte del Parlamento europeo del bilancio settennale approvato dalla Commissione e dal Consiglio, siamo allo stallo istituzionale e politico. Tra la paura per l’ingovernabilità italiana e le prossime elezioni in Germania, il vertice è stato una somma di attendismi a fronte di una crisi profondissima. L’illusione socialdemocratica di attenuare il rigore con una certa “flessibilità” sul debito pubblico non risponde al processo di deindustrializzazione e finanziarizzazione violenta dell’economia europea, che sta generando disoccupazione e impoverimento generalizzato. Al massimo c’è chi punta sull’allarme sociale, come l’ex presidente dell’eurogruppo Jean-Claude Juncker: “Dobbiamo trovare una nuova intersezione tra le politiche di crescita e quelle di consolidamento”, pena “il rischio di una ribellione sociale”. Risultati del vertice? L’esplosione del caso Cipro, dove l’Eurogruppo per salvare i crediti delle banche rapina i cittadini.

Fuori dai palazzi del vertice, e tenuta a debita distanza, l’opposizione alle politiche di austerità si fa sempre più evidente. A fronte di una disoccupazione senza precedenti (oltre 20 milioni in Europa), e una recessione che non accenna a diminuire, la Confederazione europea dei sindacati (CES-ETUC) è stata costretta a indire la manifestazione del 14 marzo. La mobilitazione della CES, promossa dopo che i movimenti avevano lanciato l’appello alla “primavera europea”, ha visto una grande partecipazione e un’apparente chiarezza di posizioni. “Le misure di austerità fanno sprofondare alcuni paesi nella recessione”, ha tuonato il segretario generale Bernadette Ségol. “L’austerità è un fallimento. Ha accresciuto le diseguaglianze e la precarietà”. Peccato che simili parole rimangano dichiarazioni d’intenti, a cui fin qui non segue alcun conflitto adeguato su scala europea. Quasi del tutto assenti i sindacati italiani e molti sindacati europei, più preoccupati di gestire la compatibilità con i governi a guida o a partecipazione socialdemocratica. Ma la distruzione del modello basato sul welfare procede troppo rapidamente per essere leggermente moderata. Qualche sindacato in Europa (la Fiom in Italia, V.erdi in Germania) sembra averlo capito, praticando, tra tentativi e fallimenti, un’interazione virtuosa con i movimenti sociali, come nel caso della coalizione tedesca Blockupy.

Il sindacato belga ha dovuto, dal canto suo, fare i conti con la rabbia di ampi settori operai e del pubblico impiego, a seguito dei licenziamenti di massa e dell’attacco ai salari. La tensione è alta da mesi, a causa della chiusura di importanti aziende (Caterpillar, Ford) e dello smantellamento del comparto siderurgico (ArcelorMittal). I giornali belgi da giorni parlavano di possibili fronteggiamenti, dato che molti consigli di fabbrica ultimamente erano arrivati a protestare duramente fin sotto le istituzioni e dare vita a blocchi stradali. La tensione è stata palpabile per tutta la manifestazione del 14, ma evidentemente la funzione contenitiva della CES è riuscita a impedire che i lavoratori procedessero verso il Consiglio, varcando la frontiera del quadrante UE della città.

A Bruxelles l’incontro con i movimenti sociali non era affatto scontato. Negli ultimi anni i collettivi di precari e del ciclo alterglobalista si erano più volte scontrati con le burocrazie sindacali. Le giornate del 13 e del 14 potrebbero segnare un’interessante inversione di tendenza. Lo spezzone di movimento, che ha visto la partecipazione significativa dalla Germania e dalla Danimarca, oltre al Belgio e alle altre delegazioni europee, ha dialogato positivamente proprio con gli spezzoni di lavoratori più incazzati. Parole d’ordine e slogan si sono positivamente contaminati, anche se le differenze e diffidenze, gli opportunismi dei vertici sindacali e lo spirito corporativo rischiano costantemente di mandare in frantumi una ricomposizione difficile ma necessaria, se l’obiettivo è destituire la Troika. In questo senso il dibattito su nuove forme di sindacalismo e di coalizione sociale che si è sviluppato tra la Spagna e l’Italia ci sembra importante. Sarebbe interessante affrontarlo pienamente su scala europea.

La clamorosa occupazione della Direzione Generale dell’ECFIN (equivalente funzionale del Ministero europeo delle Finanze), arrivata alla fine del corteo del 14, ha aperto uno spazio nuovo per i movimenti. Centinaia di attivisti di tutt’Europa hanno occupato gli uffici dove si elaborano i criteri dei debiti sovrani e l’efficacia dell’azione ha prodotto un interesse inaspettato. Sono stati diversi i delegati e i lavoratori dei due sindacati belgi a partecipare all’occupazione e a rimanere poi intrappolati nella morsa della polizia. Qualcuno tra di loro ci ha detto che “questa azione è giusta, andrebbe fatta tutti i giorni”, che “prima non era mai successo e potrebbe essere l’inizio di un’unione necessaria”.

Sarà bene essere chiari: le giornate di Bruxelles sono in sé insufficienti a indicare una via nella costruzione di un’opposizione sociale europea che determini nuovi rapporti di forza – questo è indubbio. Ma quelle stesse giornate ci consegnano alcuni elementi da valorizzare e tenere a mente: soprattutto, un nuovo schema delle relazioni tra gruppi, strutture organizzate e individui, ormai in tutto e per tutto contaminato dalle pratiche occupy di democrazia dal basso. Non solo le soggettività militanti, ma anche le associazioni o i partiti e sindacati eretici sono costretti a confrontarsi con una nuova ecologia relazionale che passa per assemblee aperte, per la dissoluzione delle identità rigide in piazza e la condivisione assoluta delle decisioni. L’agora di Madrid ci aveva indicato delle prospettive, Bruxelles ci riconferma che agire lo spazio europeo oggi vuol dire stare dentro processi ampi e fluidi, nell’ambito dei quali creare incontri virtuosi, geometrie variabili, progettualità comuni.

Allo stesso modo torniamo da Bruxelles con un’idea: a Bruxelles bisogna tornare. La concentrazione di poteri, la fitta trama di micro-elaborazione di politiche che determinano il pachiderma UE, la presenza in città delle supreme istituzioni della governance europea ma anche di mille diramazioni e lobby annesse, spesso popolate da giovani stagisti e precari che condividono molto più il punto di vista dei movimenti che quello di Van Rompuy. Le tante contraddizioni e la rilevanza strategica di Bruxelles ci portano a ragionare sulla possibilità di una forte relazione creativa con i movimenti belgi e di una prospettiva di lotta comune che in quella metropoli potrà e dovrà darsi.

Da Francoforte a Bruxelles e nelle nostre metropoli, siamo dappertutto. E non per inseguire il mito di un potere oscuro e concentrato. Crediamo anzi che superare il modello del controvertice sia essenziale tanto quanto potersi ritrovare, all’occasione, fianco a fianco nella stessa città, immersi nelle stesse contraddizioni, condividendo un orizzonte politico e un pezzo di cielo.

Vedi anche:
Primavera 2013. L’austerità al mittente (da europa99.cc vers. italiana)
Disobbedire alla Troika per costruire Europa (da madrilonia.org vers. italiana)
Bruxelles 13M. Prove di coalizione contro la Troika (Dinamopress)
Bruxelles 14M. La protesta nel cuore della bestia (Dinamopress)