DIRITTI

Nel “ping-pong” fra governo ed enti locali soccombe il diritto allo studio

La mannaia del decreto Sblocca Italia si abbatte su scuola ed università. La finanziaria arriva in discussione alla Camera carica di tagli alle regioni che si riveleranno fatali per settori quali la sanità, i trasporti, e chiaramente la scuola e l’università.

I 150 milioni di euro stanziati per il diritto allo studio verranno posti sotto il patto di stabilità, subiranno un netto ridimensionamento quindi; inoltre le regioni dovranno erogare allo stato 560 milioni entro la fine del 2014, non è difficile prevedere quanto questi tagli graveranno sul diritto allo studio. Nel diabolico “ping-pong” fra governo ed enti locali a soccombere sarà l’istruzione pubblica.

Si prevede che da qui al 2015 le borse di studio, già fra le più basse d’Europa, diminuiranno da 130.000 a 50.000. Saranno sempre di più quindi gli studenti idonei non vincitori, coloro i quali per una grottesca e drammatica circostanza verificabile solo in Italia, non possono godere delle borse di studio che invece gli spetterebbero secondo i criteri stabiliti dagli stessi enti per il diritto allo studio. Più della metà degli studenti vincitori di borsa non riceveranno un centesimo di quel che gli spetta!

È il caso di ricordare che le tasse universitarie pagate dagli studenti, che coprono già metà dei fondi per il diritto allo studio, sono fra le più alte d’Europa! Mentre le borse di studio sono totalmente inadeguate: contano di appena 3500 euro annui, una cifra ridicola rapportata al costo della vita nelle città italiane, e spettano attualmente ad appena il 7% degli iscritti.

Del diritto allo studio non resta che una formalità. Prende piede il modello del “prestito d’onore” invece: tramite l’operazione del “Prestito BancoPosta Studi” Poste Italiane eroga finanziamenti “agevolati” agli studenti e alle rispettive famiglie con un tasso d’interesse al 10%, degno di un usuraio. Sul meccanismo del debito, mascherato dalla meritocrazia, va riconfigurandosi il sistema formativo in Italia, e al diritto allo studio subentra un “diritto al debito”: per studiare devi indebitarti verso lo stato, la regione, la famiglia. Debito equivale a ricatto: lo studente si trova costretto a lavorare, essere efficiente e produttivo, stare nei tempi, non si sa bene cosa c’azzecchi tutto questo con lo studio.

L’istruzione, più che un diritto di tutti, sembra una grande occasione di profitto per qualcuno. Una sottilissima ed esigua linea tracciata da 50.000 borse di studio, a fronte di quasi 2 milioni di iscritti, rimarrà a separare l’università pubblica da quella privata.

Il 10 ottobre però gli studenti hanno acceso l’autunno riempiendo strade e piazze in giro per l’Italia, indicando una strada alternativa alla Buona Scuola del governo Renzi, contro il meccanismo dell’indebitamento e contro la privatizzazione di scuola e università. Per non diventare “operai del sapere”, messi a regime e resi produttivi, per sabotare una scuola che controlla e seleziona anziché formare, lo sciopero per l’istruzione pubblica e gratuita fino ai livelli più alti è il primo e indispensabile passo.