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Million Mask March, il nostro 5 novembre

La faranno a Dar es Salaam, in quella parte d’Africa che si affaccia sull’Oceano Indiano. La faranno a Tokyo, Washington, New York, San Francisco, Nuova Delhi, Camberra. Ovunque, insomma. Ma a Roma sarà più “difficile”. A Roma sarà in qualche modo diversa. Più complessa. Ma di che si parla? E perché sarà diversa?

Il “soggetto”, innanzitutto. Si parla della giornata del 5 novembre. Da tempo se ne discute in rete, da qualche ora poi se ne occupano anche i media mainstream: la mobilitazione mondiale promossa da Anonymous. Anche qui, occorre intendersi sui termini: promossa non significa organizzata. Perché Anonymous non è un’organizzazione ma un movimento, una rete di movimenti, un arcipelago di attivisti non riducibile ad una sola esperienza. Anonymous ha lanciato l’idea, la marcia di un milione di maschere, in tutto il mondo, in una data simbolica. Il 5 novembre, appunto. Una metafora forse troppo facile da leggere ma che comunque conoscono tutti, grazie al film dei fratelli Wachowsky: è il giorno nel quale mister “V”, quello con la maschera di Guy Fawkes, decide di dare l’assalto al Palazzo del Potere, di un potere che ormai controlla anche gli aspetti più reconditi della mente.

Una volta lanciata, l’idea di una giornata contro le censure, una giornata per il diritto alla libertà d’espressione, per il diritto alla condivisione, è cresciuta. A dismisura. È diventata la giornata di mobilitazione per tanti, per i più diversi: da Wikileaks all’EFF, dai Partiti Pirata ai sindacati inglesi, fino ai vari Occupy di New York, San Francisco, ecc.

Ogni città organizza un evento. La mappafa davvero impressione. Ci sono anche tante città italiane, da Milano a Bari, passando per Venezia, Firenze e Napoli. E c’è anche Roma. Qui un gruppo di persone, su FaceBook, ha organizzato un incontro a piazza Navona. Ma l’incontro vero vivrà a Scup. Il centro di cultura popolare, occupato, che proprio il 5 novembre dovrebbe ricevere la visita dell’ufficiale giudiziario. Ufficiale “mandato” dalla Lega delle Cooperative che in questo splendido palazzo vorrebbe farci l’ennesimo supermercato. E qui a Scup, ci sarà un intero pomeriggio dove ci si scambierà informazioni su come proteggere la nostra privacy, le nostre comunicazioni. Ci sarà un intero pomeriggio e una serata per condividere musica, film, cultura. Saperi. Un appuntamento per studiare come si può far vivere un’informazione libera in questa città.

Bastano queste brevi note per spiegare perché il 5 novembre, a Roma, sarà più complesso. Perché qui il movimento per le libertà digitali -chiamiamolo così, anche se si tratta di qualcosa di più articolato- non s’è mai limitato alla denuncia delle violazioni autoritarie. Neanche fosse un “Articolo 21” in versione digitale. Lo ha fatto, ovviamente è stato in prima fila in tutte le denunce e le battaglie contro la censura ma ha anche mandato avanti l’analisi, ha studiato la complessità del problema. Per farla breve -forse banalizzando troppo ma anche questo serve a capirci- è arrivato alla conclusione che la libertà d’espressione non è scindibile da una battaglia contro il copyright.

Sono proprio le ultimissime vicende italiane che lo fanno capire meglio di tanti discorsi. Qui, nel paese delle larghe intese, c’è l’Agcom che esplicitamente non ha poteri legislativi eppure sta per varare un provvedimento che avrà valore di legge. E che cambierà per sempre la rete: introducendo il potere di censura per i possessori dei “diritti di autore”. Sì, perché diventerà operativa la legge Agcom, l’oscuramento di un sito potrà essere fatto senza la richiesta di un giudice, senza una sentenza. Sulla base di una semplice denuncia del titolare del copyright.

Norme -il provvedimento Agcom ancora non è diventato legge ma le opposizioni per ora si limitano a chiedere che della materia si “occupi” il Parlamento- scritte sotto dettatura delle major, dei grandi gruppi dell’intrattenimento. Scritto sotto dettatura dei grandi gruppi della distribuzione libraria.

E il punto sta proprio qui. Stanno disegnando una rete, come quella coreana, come quella cinese. Per vietare il dissenso. Ma la loro rete liberticida e controllata non è frutto solo di scelte politiche. O meglio: quelle scelte politiche servono a sostenere gli interessi dei detentori del copyright. Serviranno a sostenere i corposi interessi economici dei possessori dei diritti sui contenuti. Forse qui più che altrove è palese la sottomissione della politica ai grandi gruppi economici.

Ed ecco perché diciamo che è inscindibile il nesso fra la battaglia per una rete senza controlli e quella per una cultura senza copyright. Ci incontreremo a Scup. E lì ci sarà anche RadioSonar, la radio web di movimento, legata al centro sociale Sans Papiers. E chi meglio di loro conosce il nesso fra la battaglia per il diritto a raccontare le lotte sociali e il diritto a non dover pagare gli assurdi balzelli imposti dalla Siae? Gli anacronistici balzelli pretesi dall’ente monopolista, che tutti sostengono di voler cancellare o almeno attenuare ma che invece sono ancora lì. E che costringono alla resa tutte le voci diverse della rete. Balzelli raccolti dalle società di collecting, stiamo parlando di società che nel mondo racimolano (cifre fornite da loro) qualcosa come otto miliardi di euro all’anno. Il bilancio di cinque paesi asiatici.

Tradotto, tutto questo significa che per noi libertà è liberarsi delle leggi sui controlli, ma è anche liberarsi da chi vuole privatizzare le conoscenze, la cultura. Per noi libertà è diritto di parola ma è anche rifiuto della proprietà sui saperi. Ecco perché, il nostro 5 novembre sarà No alle censure e No al Copyright.

*#RomaPirata