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Michele Serra, profeta sfigato

Malgrado la riluttanza del settore, restituiamo alla critica musicale e al distaccato studio dei supergiovani Michele Serra, il maître à penser della borghesia riflessiva di mezz’età! Che ha pure avuto il coraggio di suggerire all’Islam, dopo l’attacco a Charlie Hebdo, di seguire l’esempio della sinistra italiana con le Brigate Rosse…

Imitando W. Benjamin, facciamo un lavoro solo di montaggio. Il testo corsivato, tratto dall’Unità del 3.6.1980, parla da sé. L’autore, allora più pischello ma già stronzo, è quel Michele Serra che oggi dall’Amaca di Repubblica foggia il senso comune della plebe renziana. Occasione è la quattro giorni di rock gratuito a piazza Maggiore (RITMICITTA’), organizzata con contributo della Giunta. L’oggetto, i Clash, sopravviverà di gran lunga al solerte ma poco profetico critico.

PRIMA DI BRUCIARE LONDRA MEGLIO CONOSCERE BOLOGNA

Il linguaggio della sedicente “altra Bologna” che si esprime anche grazie alla volontà politica e ai quattrini della “Bologna istituzionale”. Il ritmo violento della rabbia metropolitana che rimbomba tra i vecchi mattoni di una città meno metropolitane d’Europa. […] Chissà se i giovanissimi punk dai capelli gialli e la faccia stralunata, i nuovi rockers fasciati di cuoio e borchie, le ragazzine con le scarpe da fatina e gli occhi trucidi, gli sballati che saltavano come trottole sotto i portici, i drogati stravaccati in mezzo alla pipì dei cani, gli intellettuali della nuova sinistra in giacca di cachemire, hanno riflettuto sull’incredibile contrasto tra quella musica da subway, tutta metallo ed elettricità, e la pietrosa umanità di quella piazza, tra un colpo d’occhio così “americano” e un paesaggio urbano così italiano, con la chiesa, il palazzo civico, la torre rossa con il grande orologio, la gradinata di marmo, il porticato pieno di vetrine. […] La coscienza di questo incontro-scontro tra due culture, tra due linguaggi diversi, è ancora coscienza di pochi (operatori culturali del Comune e settori più sensibili dell’ex-movimento) che hanno scelto di dar vita alla tregua costruttiva e pragmatica, gettando un sasso nello stagno immobile di quella noia rabbiosa (Roversi) che paralizza, dal ’77 a oggi, le forme di vita e i comportamenti sociali di una cospicua parte della Bologna giovane. […] È però troppo presto per sapere se ci si è veramente riusciti. Il concerto dei Clas nella sua ritualità scontata e sclerotica, nella sua violenza da dépliant alternativo, nei suoi isterismi risaputi, ha confermato tutti interi i limiti paurosi e l’ostinata chiusura della cosiddetta “cultura rock”, la sua furia disarticolata che diventa articolo mercantile […] la continua provocazione sessuale che assomiglia a una patetica pantomima dell’impotenza, la brutalità gestuale che vorrebbe esprimere animalità repressa […] o testi maledetti che sembrano parodie dei santini.

Dopo aver ammesso la compattezza del suono e della tecnica scenica (peraltro orrida a vedersi), si conclude che il difetto sta nella situazione spettacolare, che riconduce ogni svolo, ogni sentimento, ogni ragionamento, all’interno dell’utero metropolitano, matrigna che avvelena il feto, che lo soffoca con un cordone ombelicale rugginoso e infetto.

Meno male che, in alternativa alla musica degenerata, ai punk strafatti e ai sapientoni (i soliti froci in cachemire) permane la dimensione felsinea e italiana della politica politichese, del traffico olezzante e del consumo opulento (anche qui la profezia non era destinata proprio ad avverarsi). Con un tocco di lirismo, s’intende, che allieta sempre il cuore dei benpensanti: c’è anche il cielo, ci sono gli alberi, le case abitate dagli uomini e dalle donne, ci sono anche i negozi pieni di gente e le automobili guidate dalle persone: c’è anche Bologna, con i muri rossi e le strade intelligenti, c’è anche piazza Maggiore, con i suoi crocchi di anziani che parlano di Carter e di Cossiga, con il selciato calpestato da milioni e milioni di uomini prima che i venticinquemila dei “Clash” venissero al mondo. Ma il rock ammette solo il rock. Il rock vuole bruciare Londra […] e anche Bologna. […] Il problema, adesso, è fare in modo che l’esercito muto e ostile di “nuovi americani”, senza memoria perché senza storia da ricordare […] trovi altre occasioni per parlare, per aprire la bocca e gli occhi al grande mondo, per uscire dalle piccole stazioni di quell’interminabile underground dove stanno rinchiusi senza esservi costretti e se non dal loro masochistico rapporto di amore-odio con una cultura di mercato.

Michele Serra, uno che aveva capito tutto del punk e di Bologna avvenire. Tutti possono scrivere una cazzata da ragazzi e nel 1980 i lettori di Dinamo manco erano nati, per lo più. Il guaio che oggi Serra, non-nativo rock, pensa e scrive le stesse banalità e pretende di indottrinare i moderati di “sinistra” traducendo gli arroganti tweet renziani in versione bonaria per non-nativi digitali.