ROMA

Marino non ama il cinema oltre, naturalmente, i teatri.

La giunta Capitolina mette in scena un brutto spettacolo approvando la rigenerazione (sic) del cinema Metropolitan cedendo ai privati maggior spazio rispetto quanto avevano già concesso Veltroni ed Alemanno. Al Consiglio Comunale e alla Regione l’ultimo atto.

E’ stato un brivido leggere, solo poco più di un anno fa, che i lavori di restauro di cui necessitava Villa Borghese (il polmone verde di oltre 80 ettari al centro della città) sarebbero stati finanziati con gli oneri concessori (la tassazione a cui ogni operazione edilizia è soggetta) provenienti dalla trasformazione del Cinema Metropolitan.

La leggendaria sala romana di 1600 posti con doppia galleria costruita all’inizio del 900 all’interno del giardino alle spalle di S Maria di Monte Santo, una delle due chiese gemelle del Corso. Un struttura più volte “rimodernata” per assicurare, come in effetti è accaduto fino al 2010 (anno della sua chiusura), il cinema ai più. Con una particolare finezza, lì i film oltre che in lingua originale erano sottotitolati consentendo così anche, unica sala cittadina, ai non udenti di andare al cinema.

Per molti anni, prima della sua trasformazione nel 1948 in esercizio di prima visione e l’acquisizione del nome di Metropolitan, è stata una sala popolare capace di riassumere, fin nel nome dell’esercizio “cinema Gioia”, la magia dello spettacolo cinematografico. Oggi, quel brivido di un anno fa si è fatto ancora più tagliente quando, dopo lo sgombero del Volturno (succederà qualcosa di analogo anche lì ?) e l’ultimatum al Valle, è arrivata la notizia che la Giunta Marino ha approvato il progetto di trasformazione di quell’impianto in una sostanziale nuova struttura commerciale, capace di contribuire, attraverso la corresponsione degli oneri per circa 6,8 milioni di euro, al restauro di Villa Borghese

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Un iter neppure tanto lungo visto che le “prove d’esercizio” erano iniziate agli sgoccioli della legislatura di Alemanno quando la società DM Immobiliare aveva presentato il progetto, in un leccato incontro al Residence Ripetta. Allora era stato l’assessore Corsini a fissare i paletti decidendo che “la riconversione in spazio commerciale di media distribuzione dell’ex Metropolitan non potrà superare il 70 per cento della superficie”. Marino è andato ora oltre, infatti, si apprende che la sala cinematografica sarà di soli 350 metri quadri 50 saranno i metri quadri per uffici mentre il resto (tanto) sarà costituito da 6 negozi da 250 metri quadri ciascuno. I termini percentuali questo significa che con Marino il “limite” alemanniano per il commerciale è stato abbondantemente sforato, raggiungendo ora l’82% della superficie totale.

Ci sarà così un piccolo cinema (sotto le 100 poltrone) dove l’assessore alle trasformazioni urbane capitolino raccomanda si possa prevedere “una programmazione di nicchia e di alto livello”. Mai il termine nicchia è sembrato più adatto perché, andando a vedere il progetto, si trova che la piccola sala è al piano interrato schiacciata da due vassoi di cemento che contengono i negozi.

Scendendo laggiù forse a qualcuno verrà in mente, grazie al suo essere nicchia, che tutta la storia delle trasformazioni cinematografiche per cui Veltroni aveva inventato la sigla di “Nuovo cinema Paradiso” prevedeva esattamente l’opposto.

La Delibera 168 del 1995 prevedeva, infatti, che una parte della superficie delle sale cinematografiche potesse essere trasformata in attività di ristorazione, librerie, attività commerciali (riferite, come è successo al cinema Sacher di Moretti, comunque al cinema) e non dovesse superare il 15% della superficie complessiva o, in alternativa, il 40% se si fosse stipulata una Convenzione con il Comune per l’uso pubblico.

La storia dei cinema Paradiso è andata avanti. Anche se lentamente. Nel 2005 il Comune lancia un progetto per recuperare le sale che continuano a chiudere. Se non possono essere sempre recuperate come sale cinematografiche, la loro nuova destinazione dovrà comunque riguardare attività soprattutto culturali. Un nuovo regalo: i gestori potranno cambiare la destinazione d’ uso delle sale, a patto di dedicarne almeno il 50% ad attività culturali: il settore commerciale non potrà occupare più del 30% della struttura, mentre un altro 20% potrà essere destinato ai servizi, anche sportivi, o a parcheggi privati.

Sono 22 i cinema chiusi; tra questi ci sono l’ Aquila e l’ Apollo, già acquistati dal Comune e l’ Astra di viale Ionio, occupato da persone in emergenza abitativa presto cacciate perché bisognava immediatamente permettere a De Laurentis di trasformare quegli spazi. L’Astra è ancora un rudere serrato e cattivo. Che continua a gettare un ‘ombra inquietante su viale Ionio, nonostante le promesse del Sindaco Veltroni pronto, allora, a dichiarare “ Ci occuperemo delle famiglie che ci vivono, troveremo una soluzione. Mi dispiace sempre quando un cinema chiude o cambia destinazione. Mi succede quando passo in via Nazionale e vedo il “Quirinale” con le saracinesche abbassate, oppure penso al “Rouge et Noir” trasformato in sala Bingo. Ecco, posso sicuramente dire che a Roma nessun altro cinema sarà trasformato in Bingo”.

Doveva essere una certezza visto che il programma veltroniano prevedeva il mantenimento delle destinazioni d’uso per almeno 10 anni. Veniva fissato anche rispetto del cosiddetto mix funzionale: “le attività culturali dovranno coprire almeno il 50 per cento, i servizi alla popolazione almeno il 20 per cento e al massimo il 30 per cento potrà essere destinato ad attività commerciali. Mentre non c’è nessun limite per i parcheggi, perché esclusi dal computo della superficie”.

All’ingresso di Villa Borghese nei propilei del Muro Torto (architetto Canina 1827) si legge l’iscrizione che il proprietario, Camillo Borghese, volle per quel Parco: “in ampliorem formam” ad indicare le sue nuove acquisizioni (la villa diventerà pubblica solo all’inizio del 900). Un esercizio di rendita esemplare da scolpire nella pietra,che ora continua permettendo ai nuovi padroni del Metropolitan di espandere in forma sempre maggiore il commercio nel cuore antico della città. La nuova pellicola cinematografica romana che, come sta succedendo per lo Stadio, con la scusa d’incassare gli oneri concessori relativi pari alle somme di cui necessità vede concedere, come un bancomat ubriaco, continue cubature che produrranno i soldi che servono.

Nuovi sottotitoli per un film che conosciamo bene.