MONDO

Marichuy, la portavoce indigena che sfida la classe politica messicana

Una candidatura dai poveri e per i poveri. Un programma che guarda oltre le elezioni e punta al cuore dei problemi sociali del Messico . Dalle comunità indigene a Città del Messico, Marichuy Patricio si è messa in marcia.

 

Marichuy: una donna portavoce dei popoli indigeni per un Messico diverso
Noi donne possiamo vincere il nemico comune: indigene del Messico scrivono a donne curde

Una ragazzina di 13 anni vende semi di zucca in Ciudad Guzmán, nello stato di Jalisco in Messico. È la terza di 11 fratelli. In casa, nella comunità nahua a Tuxpán, ci sono sempre le tortillas sulle quali, però, c’è poco da mettere. La cena della famiglia dipende anche da quanto María de Jesús Patricio Martínez ricaverà da quella borsa di semi. La scena si svolge nel 1976. Oggi quella ragazza aspira alla Presidenza messicana.

Marichuy è la vocera del Consejo Indigena de Gobierno (CIG), organismo nato dalla decisione del EZLN e del Consejo Nacional Indigena (con la partecipazione di 523 comunità, di 25 Stati del paese e 45 popoli indigeni) di presentare una portavoce indipendente per le elezioni presidenziali del 2018. Essendo solo la portavoce o vocera, Marichuy si esprime in modo conciso e diretto. I suoi discorsi sono solitamente i più brevi di una campagna elettorale in cui parlano soprattutto le donne. Con poche parole Marichuy sottolinea che combatte contro l’oppressione delle donne e dei popoli indigeni e contro il capitalismo che ha trasformato le terre comunali in proprietà di pochi.

Le adesioni crescono sempre di più, e spesso in forma spontanea, tant’è che negli innumerevoli appuntamenti pubblici, già realizzati in moltissime comunità lungo il paese, i passamontagna si sono mischiati ai cappelli di paglia e da baseball per ascoltare le donne indigene. Le adesioni crescono perché la diagnosi che dà significato alla proposta è condivisa da tutti: basta vedere i tassi di violenza e omicidi in Messico. Il quadro degli ultimi cinque anni è pessimo: più di 100mila morti; circa 30mila persone scomparse; più di 300 femminicidi solo nel 2017; uccisioni di leader della comunità, migranti, giornalisti e difensori dei diritti umani; massacri di studenti e ritrovamenti di fosse comuni. Il Messico è oggi uno degli scenari più sanguinosi, ma il fenomeno non è esclusivo: simili politiche di morte vengono portate avanti in decine di paesi in Africa o in Asia, dove, attraverso guerre palesi o segrete, reali o virtuali, sono le popolazioni impoverite le prime a essere eliminate. La stessa sorte è vissuta dalle comunità di migranti in diversi paesi europei e negli Stati Uniti.

La politica di morte e distruzione ci pone oggi sull’orlo di un abisso. Si tratta di scegliere tra la vita e il capitale. In questo abisso, le comunità indigene del CNI hanno già deciso all’unanimità che tipo di lotta intraprendere, ragionando con grande lucidità politica su come l’umanizzazione del capitale – che lo voglia dipinto di verde o travestito come caritatevole o socialmente responsabile – non possa essere una opzione praticabile. La proposta di un nuovo welfare state o quella di un nuovo Stato, di matrice neopopulista, sono enrambe insufficienti. Le città, i quartieri, le comunità del CNI propongono, con la dignità e la persistenza che li caratterizza, una lotta in difesa della vita, che è necessariamente una lotta contro il capitale.

Nelle parole di Carlos González, membro del CNI e marito di Maria, la proposta mira a intraprendere una guerra anticapitalista di lunga durata e determinata. L’obiettivo a lungo termine è quello di superare il capitalismo come forma di organizzazione sociale. Il cuore del progetto del CNI è una forma differente di organizzazione sociale, politica ed economica. Sappiamo anche che questa nuova organizzazione passa necessariamente attraverso una diversa forma di governo, in cui sia un consiglio, cioè un organo collettivo, e non un individuo il responsabile del governo federale del paese, in accordo con la trentennale proposta politica delle EZLN. Per capire meglio il significato di questa forma organizzativa, bisogna ritornare a studiare cosa significa la parola latina concilium, che può essere tradotto come consiglio, ma anche riunione o assemblea. I consigli sono istituzioni fortemente legate alle tradizioni di lotte comunali, libertarie e indigene. Sono forme di organizzazione che nascono dal basso, dai rapporti sociali tra le persone, dal nucleo vitale, dalla prime comunità indigene pre-ispaniche. Le persone che governano, secondo il concetto di autogoverno.

Si può cambiare il paese dal basso, da chi ha meno e non figura nella storia del paese? Questa è la domanda più ricorrente nelle varie occasioni pubbliche. Nelle scuole elementari vengono lodate la grandezza guerriera degli Aztechi e la raffinatezza matematica dei Maya, ma le loro lingue, la loro cosmogonia, le loro forme organizzative e abitudini di vita – e di come tutto ciò si sia riprodotto e trasformato nelle società – non vengono studiate. Qualcosa di ancora peggio: non se ne parla al tempo presente. Eppure, più di 10 milioni di messicani sono moderni nella misura in cui sono indigeni.

Allora chi meglio di una donna, povera e indigena, può essere la vocera che rappresenta quel tratto intersezionale della lotta? Il concetto stesso di portavoce non è il risultato di qualche negoziazione tra le parti dell’organizzazione. Né ha imposto il suo progetto personale o visione del mondo. È stata eletta da decine di consiglieri, votati a loro volta nelle rispettive comunità. Democrazia reale e diretta. «A scuola mi piaceva partecipare, ma non tanto parlare». Una frase che ben descrive Marichuy: si fida di ciò che può dire, ma si fida di più di quello che gli altri possono affermare. Reagisce facilmente alle battute e risponde alle domande con la silenziosa spontaneità di chi non si perde nel labirinto delle parole. In ogni circostanza agisce con una naturalezza difficile da associare alla vita politica. Maria, così come il CNI, non cerca di essere un “personaggio”, non ha bisogno di mentire.

Il 14 ottobre Marichuy Patricio ha iniziato la sua campagna politica dalle cinque caracoles zapatiste. Sotto la pioggia di La Garrucha, il sole di Palenque e la nebbia di Oventic, ha ricevuto il sostegno dei popoli indigeni maya Tzotzil, Chol, Coque, Tzeltal e Mam, destando la curiosità e adesione dei più neutri. Convinti dell’impossibilità di un cambiamento senza l’arte – pensiero da sempre portato avanti col festival ConArte – gli zapatisti hanno concluso le iniziative con coreografie e recite musicali. Il 19 ottobre, nel caracol di Oventic, un gruppo è apparso sulla scena intonando parole sciolte, disgiunte, che al ritmo della musica si univano in un motto leggibile, la promessa di accompagnare Marichuy “en su caminar por la geografía nacional”.

La portavoce indigena ha una storia molto simile a quella di tante donne e uomini messicani, complicata, piena di ostacoli ma difficile da dimenticare. E, ovviamente, incentrata sul mais. «Mio papà era un contadino. Durante la mattina andavo con lui nel campo, il pomeriggio studiavo e la sera aiutavo mia madre con i fratelli più piccoli», commenta davanti ai giornali nella sede del CNI di Città del Messico, alla vigilia di un’assemblea. È la mattina del 4 novembre. Il pomeriggio stesso, Marichuy riprenderà il suo tour nelle comunità indigene messicane, questa volta diretta verso gli stati di Veracruz e Tamaulipas, nei territori distrutti ed espropriati alle comunità dalle grandi aziende petrolifere nella zona, PEMEX su tutte.

Arrivati a questo punto la domanda sorge spontanea: è possibile misurare la dimensione di questa novità con i numeri? Entro l’8 febbraio 2018, Marichuy deve raccogliere 867mila firme in almeno 17 stati e in ognuno di essi deve superare l’1% dei voti. I partiti politici hanno creato questo ostacolo ai candidati indipendenti. In senso stretto, si tratta di requisiti che possono essere soddisfatti solo da coloro che hanno già una logistica territoriale e nazionale. Fino a giovedì 9 novembre, Marichuy aveva raccolto circa 25mila firme. In questi giorni, si stanno moltiplicando in tutte le città messicane i centri di raccolta firme per Maria e il CNI, mentre candidati istituzionali dei partiti politici intraprendono le loro campagne elettorali a suon di interessi più o meno personali e menzogne che parlano di un Messico benestante su tutti i fronti e con una crescita del PIL in costante aumento.

Nella desolazione avvilente che attanaglia i contenuti politici della classe politica messicana in vista delle prossime elezioni presidenziali, Marichuy Patricio viaggia attraverso le comunità più povere del paese mostrando quanto valgono i semi e le voci che si uniscono all’unisono gridando che otro mundo es posible.