PRECARIETÀ

Lo sciopero per noi: alcune domande aperte verso StrikeMeeting e #10o

Riceviamo e pubblichiamo un contributo della Rete della Conoscenza verso lo Strike Meeting (Roma 12-13-14 settembre) e la giornata di mobilitazione studentesca del 10 ottobre

Annunci e promesse sono un evergreen di ogni Governo, specie alla fine della pausa estiva, tanto che neanche l’Esecutivo guidato da Renzi ha voluto rottamarli e ha presentato la ripresa dei lavori in pompa magna. Un elenco bello pieno di proposte all’ordine del giorno del primo CDM condito dal solito mantra del “fare, bene e veloce, qualsiasi cosa sia ”. Il Piano Scuola, tra gli altri, è stato sicuramente il nodo su cui media e politica hanno voluto puntare di più i riflettori.

La ministra Giannini l’ha definito una rivoluzione dal palco di Comunione e Liberazione e, prima del rinvio last minute della discussione, in tanti si sono spesi a decifrarare quale modello di scuola aveva in testa il Governo, e a verificarne la dubbia fattibilità economica. Se da un lato sembrano esserci degli elementi parzialmente positivi, dall’altro le linee guida che definiscono strutturalmente il modello di istruzione che si vuole promuovere in Italia sono chiari e non fraintendibili. Abbiamo di fronte a noi infatti, ancora una volta, la volontà di rafforzare coi fondi pubblici – o con minori entrate nelle casse dello Stato, tramite la detassazione – gli istituti privati, quella di non porre fine al definanziamento della scuola pubblica e anzi di aprirne le porte ad aziende e sponsor, abbiamo un Governo che propaganda l’idea illogica e malsana per cui un asservimento dell’istruzione ai bisogni del mercato del lavoro più precario di sempre siano salvifici per il futuro del Paese e dei suoi giovani. Nessuna rottura col passato quindi, figuriamoci una rivoluzione, piuttosto una sostanziale continuità con gli ultimi vent’anni di mercificazione e impoverimento dell’istruzione.

Gli studenti, in anticipo rispetto all’ennesima riforma dall’alto del Governo, hanno individuato il 10 ottobre come data di mobilitazione generale di chi pretende e vuole lottare per un’altra scuola, un’altra università e quindi una società e un mondo completamente alternativi a quelli che ci viene imposto quotidianamente. Attendiamo con ansia l’apertura dell’anno scolastico perché vogliamo dare vita dal basso e fin da subito a percorsi di partecipazione e cambiamento, aula per aula. Si tratta di rivendicare e praticare un’istruzione realmente per tutti, accessibile dal punto di vista sociale ed economico, capace di emancipare e non di reprimere dal punto di vista dei modelli culturali, di genere, di vita.

Chi oggi crede che con una consultazione verticale e a risposta chiusa si possa esaurire il bisogno di partecipazione degli studenti e di tutti quanti vivono quotidianamente i luoghi di formazione, sbaglia di grosso. Crediamo infatti che nelle scuole così come nelle università, dopo anni di tagli e di attacchi frontali alla libertà di istituti e Atenei, ci sia l’esigenza forte di un protagonismo realmente attivo. Vogliamo essere soggetti in formazione e non oggetti di una reinventata catena di montaggio, fatta di test a crocette e finalizzata alla ricerca spasmodica di lavoro, qualunque esso sia, precario, senza diritti, malpagato. Crediamo che oggi serva interrogarsi e sperimentare pratiche dell’alternativa nei luoghi della formazione per produrre dinamiche di rifiuto generalizzato dei contenuti e dei metodi tradizionali d’insegnamento e di valutazione, quelli che alimentano il sistema economico e culturale attuale anziché decostruirlo criticamente.

Un rifiuto delle logiche produttiviste che tentano di colonizzare scuole ed università, dunque. La volontà non tanto di bloccare tout court i flussi di produzione di questi saperi, cosa che a conti fatti ci sembra contraddittoria e impraticabile, ma piuttosto di saperne invertire pezzo per pezzo la rotta, opponendo loro la costruzione cooperativa e non competitiva di saperi critici, dando spazio alle controculture nelle aule, boicottando e contestando ciò che di questo modello formativo non ci piace, a partire dai sistemi di valutazione, riappropriandoci di segmenti della conoscenza autogestendo lezioni e corsi fin dalla loro riapertura, riprendendoci l’accesso alle fonti culturali, in particolare quelle esterne ai percorsi formativi.

Le domande sono tante e la necessità di confrontarsi su quali pratiche e quali temi rendere centrali non è un vezzo ma una necessità reale per chi veramente vuole dare una risposta efficace alla crisi travolgente della partecipazione che viviamo. Quali sono i presupposti per una reale presa di coscienza dell’autoritarismo cui ci allenano in scuole ed università? Quali forme di discussione possono ribaltare l’unidirezionalità della didattica attuale e farci riappropriare a partire dalle aule di un desiderio di autonomia individuale e collettiva? Quali pratiche possono rendere concreta la realizzazione di uno spazio di produzione artistica e culturale al di fuori delle logiche del copyright e della SIAE? Quali riflessioni e quali pratiche possono svelare i meccanismi di controllo e valorizzazione economica che infestano il web? Qual è la modalità con la quale invertire il processo di espulsione di massa dai luoghi della formazione, resosi sempre più intenso in questi anni, e quali sono gli spazi e gli strumenti per raggiungere, aggregare, organizzare questa nuova categoria di ‘esclusi’? Qual è lo spazio per la costruzione di una relazione diversa tra saperi e lavoro, in particolare nei percorsi ‘alti’ del sistema formativo, lì dove la formazione professionalizzante si intreccia sempre più spesso con forme di sfruttamento e di precarizzazione del lavoro, senza una reale possibilità che sia proprio la conoscenza a trasformare i modelli di produzione e di sviluppo esistenti?

Queste sono le domande con cui vogliamo costruire una risposta dal basso a chi pretende di trasformare in merci monetizzabili le conoscenze, le relazioni didattiche, le produzioni artistiche e culturali, domande che vogliamo alimentare lungo tutto l’autunno attraverso una pratica dello sciopero capace di coinvolgere porzioni ampie della società, specie quelle strutturalmente escluse dalle maglie della partecipazione.

In questi anni di costante crisi economica infatti l’Italia è stata un terreno di accesa conflittualità dentro e contro il laboratorio di politiche neoliberiste e di torsioni antidemocratiche. Una conflittualità frammentata, diversa nelle forme rispetto a quella cui erano abituati partiti, organizzazioni sindacali e non, ma accesa e continuativa, come gli stessi dati dell’Istat e dell’Eurostat ci certificano segnalando uno sciopero al giorno per l’anno scorso e prevedendone anche un aumento per il prossimo. Il ricatto su cui si basano i rapporti di forza nell’attuale mercato del lavoro impongono però ad una fetta consistente di lavoratori e lavoratrici, soprattutto giovani, l’isolamento e il silenzio, ossia l’impossibilità materiale di manifestare la propria condizione di disagio, di protestare per rivendicare collettivamente diritti e dignità.

Un’altra faccia, quella forse più preoccupante, della crisi economica strutturale è dunque proprio la crisi della partecipazione e della rappresentanza sociale di chi subisce gli effetti delle politiche di precarizzazione del lavoro e di tagli al welfare e ai servizi. Queste misure non soltanto hanno alimentato le disuguaglianze economiche ma hanno anche aggravato fino all’esasperazione la disillusione e la sfiducia nella partecipazione politica ai diversi livelli.

Mentre il Governo deride chi minaccia “l’autunno caldo”, sminuendo il tutto ad una – peraltro auspicabile – previsione meteo, la discussione sull’efficacia politica e vertenziale delle lotte, sulla capacità inclusiva delle mobilitazioni, sull’effettiva processualità di un’azione politica che non può autorelegarsi in date simboliche e isolate, è sempre più necessaria per chi si interroga su come costruire un’opposizione sociale al Governo e al blocco di potere – nazionale ed europeo – riunitosi attorno all’idea dell’ “austerità espansiva”.

E’ con questo spirito che il 12, 13 e 14 settembre parteciperemo allo Strike Meeting, un momento in cui movimenti e associazioni si incontreranno per discutere di come l’idea dello sciopero sociale, emersa lungo il percorso di avvicinamento al vertice di Luglio sulla disoccupazione giovanile, possa prendere piede in Italia e in Europa a partire dai mesi autunnali, dentro e oltre il Semestre di mobilitazione sociale.