PRECARIETÀ

Lavoro sessuale e autorganizzazione

Una intervista a Thierry Schaffauser, lavoratore del sesso e attivista francese. Nel 2007 ha pubblicato assieme a Maitresse Nikita il libro “Fières d’être Putes” (trad. it. Fiere di Essere Puttane, DeriveApprodi). Thierry è uno dei fondatori del sindacato de* lavorat* del sesso Strass di cui abbiamo già parlato qui e pochi mesi fa è uscito il suo nuovo libro “Les luttes des putes”. Lo abbiamo incontrato per fargli alcune domande sul suo ultimo lavoro.

In Fiere di essere puttane nel 2007 la vostra principale rivendicazione era il libero uso del corpo. Si trattava, all’epoca, di lottare contro tutti gli stereotipi e i clichés che circondano le sex workers, considerate sempre come delle vittime. Oggi in Les luttes des putes, l’obiettivo sembra essere piuttosto un altro : si tratta soprattutto di una lotta per l’accesso al welfare e ai diritti, che passa dunque per il riconoscimento dello statuto di lavoratori/trici. Qual è il vostro punto di vista sul lavoro e sul lavoro sessuale?

In realtà già in Fiere di essere puttane parlavamo delle costrizioni economiche condivise con tutti i lavoratori. Ma è vero che insistevamo molto sull’idea di fierezza, al fine di ribaltare la stigmatizzazione in una sorta di « identità puttana », sul modello delle strategie dei movimenti quuer come il comingout e la riappropriazione dell’insulto. Quest’idea è stata senza dubbio capita male e in molti hanno creduto che parlando di « fierezza » volessimo rendere « glamour » il lavoro sessuale. Parlare di fierezza diventava allora la cosa peggiore. In effetti quando si parla di lavoro sessuale, le persone hanno la tendenza a « personalizzare » tutto, e a ridurre la nostra parola a una testimonianzia individuale, quasi in versione « format televisivo ». Tipicamente ci viene chiesto di giustificare le ragioni che ci spingono a esercitare questo lavoro, come se si volesse classificarci in una delle due categorie possibili : « vittima infelice » o « puttana di lusso ». Questa dicotomia, non solo depoliticizza la questione, riducendo tutto a un problema di « individui devianti » e facendo perdere di vista l’analisi di un sistema d’oppressione,ma inoltre essa è falsa e sbagliata per la maggior parte dei casi, poichè non si è mai « qualcosa, per essenza ».

Essere lavoratrice sessuale fa spesso parte di un percorso di vita. La divisione delle lavoratrici del sesso in due campi come se ci fosse il campo degli sfruttati e il campo delle « puttane che amano il sesso » impedisce la comprensione del fatto che tutti lavoratori sono di fatto sfruttati e che non si tratta di sapere da quale lato della dicotomia ci situiamo ma piuttosto di analizzare lo sfruttamento in termini di un « continuum » a differenti gradi. La questione non è quindi sapere se siamo o meno sfruttati, ma a quale grado di sfruttamento siamo.

Il contesto politico può aggravare o facilitare le cose, per esempio rispetto al diritto di soggiorno, al livello di penalizzazione imposta o all’accesso ai diritti. Ma anche nelle migliori condizioni il lavoro resta una costrizione, sennò non lo chiameremmo lavoro. Ciò non significa che non si possa amare il proprio lavoro, (e per fortuna che delle persone amano il loro lavoro, che sia sessuale o meno), ma questa non è la questione da porre. Ciò riguarda ogni lavoratore e noi non dobbiamo risponderne per giustificare le nostre rivendicazioni e le nostre lotte.

Credo che un errore del movimento delle lavoratrici del sesso agli esordi, sia stato quello di affermare la possibilità di una « libera scelta » del lavoro del sesso, contro i proibizionisti che hanno sempre sostenuto che la prostituzione non è mai una scelta e che equivale a una forma di schiavitù. Ma l’idea di « libera scelta », al contrario rischia di cancellare gli obblighi e le costrizioni che pesano sulle nostre vite. Viviamo in un sistema capitalista e patriarcale, questi obblighi e queste costrizioni esistono, ma per lottare contro essi è necessaria l’autorganizzazione dei lavoratori, e l’autorganizzazione è più difficile in un contesto di penalizzazione e di assenza di diritti.

Quali sono state le esigenze che vi hanno spinto a costruire un sindacato come lo STRASS ? Quali sono stati i vostri rapporti con la sinistra tradizionale e i sindacati ? Quali sono le attività che lo STRASS compie e con quali mezzi può sostenere e tutelare le sex workers ?

La creazione dello STRASS si è fatta in continuità con un processo di autorganizzazione e a partire dalla constatazione che i nostri movimenti non potevano accontentarsi di un approccio basato unicamente sulla questione della salute o sulla contestazione della repressione come fattore di vulnerabilità. Lo STRASS ha saputo innovare su più punti. Il primo è stata proprio l’idea di riunire tutte le lavoratrici del sesso sotto una stessa organizzazione, tentando di « federare » al meglio le diverse comunità, associazioni e gruppi già esistenti in Francia. Per esempio, lo STRASS, a partire dalla sua creazione, ha sempre insistituo sulla regolarizzazione dei sans papiers e ciò ha favorito l’inclusione delle lavoratrici migranti nel movimento. Malgrado le critiche di certi colleghi, lo STRASS non ha mai ceduto su questo punto e il razzismo è stato eliminato soprattutto grazie alla grande visibilità della lavoratrici migranti nelle manifestazione, e grazie all’incontestabile fatto che senza di loro, la mobilitazione e la nostra forza sarebbero infinitamente più deboli.

In secondo luogo lo STRASS ha saputo andare al di la della rivendicazione della decriminalizzazione per arrivare a parlare di organizzazione del lavoro. La depenalizzazione non è più un fine in sè, ma un pre-requisito per trasformare « l’industria del sesso ». Si tratta di lottare contro lo sfruttamento nelle nostre industrie per ottenere delle condizioni di lavoro migliori, e non semplicemente di « poter lavorare legalmente ». Parliamo quindi di lavoro sessuale e non di prostituzione. Terzo punto : lo STRASS ha imposto l’indipendenza politica delle lavoratrici del sesso et richiesto agli « alleati » di non prendere parte alle decisioni. Solo le lavoratrici del sesso possono essere membri e portavoce del sindacato

Il resto della sinistra e dei sindacati, nella migliore delle ipotesi ci ignora, nella peggiore combatte contro di noi e ci accusa di essere complici del liberalismo, degli stupri e della schiavitù. Sistematicamente veniamo insultati in quanto « magnaccia ». Tuttavia le cose stanno evolvendo e una parte dell’ estrema sinistra ha iniziato a voler discutere con noi, senza dubbio dopo aver visto che scendiamo in piazza e che siamo la sola organizzazione politica in Francia che riunisce in maggiorparte donne migranti, trans, queer, precari e giovani. (Proprio quelle categorie che i sindacati rimpiangono di non vedere nelle loro organizzazioni, e continuano a chiedersi « come mai ? ».)Lo STRASS si organizza in buona parte attraverso la creazione di spazi politici fisici o virtuali.

Abbiamo vari forum on line e andiamo regolarmento sui diversi luoghi di lavoro sessuale per mobiltare le lavoratrici per le manifestazioni, ma anche per distribuire tutte le informazioni giuridiche riguardanti i nostri diritti e per distribuire del materiele di prevenzione. Spesso le colleghe si fanno delle domande sulla legalità del loro lavoro, sull’accesso ai diritti, su come dichiararsi, su come contestare una multa, su cosa fare in caso di aggressione. Cerchiamo di diffondere al massimo queste informazioni o almeno di rendere visibili le persone referenti dello strass o delegati sindacali che possano dare delle risposte sui luoghi di lavoro. Facciamo dell’accompagnamento legale per delle colleghe contro fatti di violenze o sfruttamento.

Nel tuo libro affermi che il movimento dei/delle sex workers può essere considerato come una lotta femminista e operaia, ma spieghi anche che questo « incontro » è stato, in fondo, un’occasione mancata, a cause delle varie difficoltà che i/le sex workers hanno avuto nel rapportarsi tanto al movimento feminista quanto a quello operaio. In che senso ?

Ho tentato di andare all’origine dei movimenti femministi e operai per capire perchè i/le lavorat* del sesso ne siano stati esclusi. Penso che ci siano più spiegazioni, legate al sessismo, al classismo, alla stigmatizzazione particolare nei confronti dei/delle lavorat* del sesso come « stranier* » rispetto alla classe operaia, o come sottoproletariato privo delle armi necessarie per affondare il sistema di produzione capitalista. Ho tentato di mostrare come l’impensato del lavoro di riproduzione sociale all’infuori della sfera economica della fabbrica o della produzione di plusvalore ha impedito ai primi marxisti di includere nelle loro analisi il lavoro domestico o il lavoro sessuale. Quando le femministe materialiste francesi hanno analizzato la questione di questa divisione sessuale del lavoro, esse hanno in compenso avuto cura di non includere mai le lavoratrici del sesso nella loro analisi, ritenendo di fatto che queste fossero una retroguardia del movimento femminista, e che il loro livello di sfruttamento e di alienazione fosse tale che esse risultavano incapaci di comprendere la propria condizione e di liberarsene. Malgrado queste esclusione, penso ad ogni modo che le lavoratrici del sesso appartengono a questi movimenti, poichè noi ci troviamo, di fatto, all’intersezione tra il capitalismo e il patriarcato.

In che misura le lotte dei/delle sex-worker si inseriscono nella lotta contro la precarietà? Quali sono le condizioni di lavoro che condividete con gli/le altr* lavorat* precar* in Francia e in Europa?

Credo che con l’accresciuta liberalizzazione dell’economia e con la globalizzazione, i lavoratori condividano sempre di più delle condizioni di lavoro simili a quelle tipiche dell’industria del sesso, in cui il salariato non esiste ufficialmente, in cui spesso non abbiamo contratti di lavoro, in cui non condividiamo lo stesso luogo di lavoro, lavoriamo spesso come freelance, con la necessità di farci pubblicità da soli e di trovare dei clienti per vendere i nostri servizi. In Europa, i sindacati tradizionali non riescono a concepire il lavoro al di fuori dell’impresa, del modello classico di lavoro salariato, e non vogliono cercare i lavoratori là dove essi si trovano. Si accontentano delle imprese dove sono già presenti. Noto per esempio che si rimprovera spesso allo STRASS di non prendere in considerazione la tratta degli esseri umani, mentre invece è proprio il contrario.

Lo STRASS è uno dei pochi sindacati in Francia a lottare contro la tratta di esseri umani, cercando di identificare le situazioni di abuso, operando nei luoghi in cui lavorano sans papier e precari. Ufficialmente, nelle statistiche ufficiali, la tratta degli esseri umani non esiste in Francia se non ai fini della prostituzione. Ciò mostra il fallimento dei sindacati tradizionali, i quali ignorano la tratta ai fini del lavoro forzato nelle altre industrie. Credo che lo STRASS spinga la sinistra a ripensare il lavoro, non più nei termini di ciò che è sempre esistito ma piuttosto di ciò che si fa oggi per sopravvivere. In America latina, questa riflessione ha avuto luogo dopo la crisi degli anni 90, quando ci si è dovuti rendere conto che la metà della classe operaia si era ritrovata disoccupata, quindi senza possibilità di organizzazione sindacale, senza che però ci fossero meno lavoratori con il bisogno di organizzarsi contro la precarietà e nei piccoli lavoretti dell’economia informale, che fino ad allora erano stati ignorati. È in quel momento che la sindacalizzazione dei/delle sex-worker ha cominciato ad essere presa sul serio, penso specialmente a l’organizzazione delle lavoratrici Ammar in Argentina, che è arrivata a unirsi a un sindacato generalista.

Molti/e dei/delle lavorat* del sesso sono migranti sans papier. Mentre rivendicate l’accesso ai diritti e ad una “espansione” dei diritti attuali, voi rivendicate anche le regolarizzazione di tutt* i/le lavorat* migranti. In che modo le leggi antiprostituzione rafforzano le leggi antimmigrazione? Che rapporto avete con le strutture di accoglienza per migranti?

Bisogna capire che la lotta attuale contro la prostituzione è fortemente legata al razzismo della nostra società. C’è una volontà di gentrificare i centri cittadini e la presenza di donne migranti all’interno di certi quartieri è considerata come dannosa per la speculazione immobiliare. Un tempo, le persone potevano provare una certa tenerezza per la prostituta della loro strada, dal momento che lei faceva parte della comunità locale, e soprattutto era francese. Oggi, con il discorso sulla tratta degli esseri umani che associa tutte le migranti a delle schiave, le persone non gli rivolgono più la parola, non gli si avvicinano più, e hanno paura. Dietro lo slogan della lotta alla tratta, le operazioni di polizia mirano soprattutto a fermare le migranti ed espellerle, ritenendo che si troverebbero meglio nei loro paesi, piuttosto che sfruttati nel mondo della prostituzione francese. La ministra per i diritti delle donne ha dichiarato che la Francia non è un territorio di accoglienza per la prostituzione. I politici dicono che tutte le migranti sono obbligate a prostituirsi. Tuttavia, nel momento in cui una migrante cerca di farsi riconoscere uno status di vittima, immediatamente è lei che deve dimostrare di essere stata costretta.

Questa è tutta l’assurdità e l’ipocrisia del sistema. Sotto il ricatto dell’ottenimento dei documenti lo Stato le obbliga a collaborare con la polizia e, secondo una norma contenuta nella proposta di legge attualmente discussa in parlamento, le obbliga a smettere di prostituirsi. Parliamo di permessi di soggiorno estremamente precari, della durata di 6 mesi, che dipendono dalle decisioni e dal giudizio dei prefetti. Per noi, è evidente che il solo mezzo per lottare contro lo sfruttamento dei/delle migranti e in particolare contro il lavoro forzato e la tratta, è di rilasciare a tutt* i documenti, senza i quali i migranti non hanno alcun interesse a segnalarsi presso le autorità, e non possono difendersi accedendo alla giustizia, alla protezione dei diritti. Per quanto riguarda le associazioni e le strutture di accoglienza per migrant, esse hanno la tendenza a ignorare la questione del lavoro sessuale. E’ un atteggiamento strano, nel momento in cui così tante donne sans papier o richiedenti asilo si dedicano al lavoro sessuale, essendo prive di altre fonti di reddito.

Cosa pensi dell’azione delle FEMEN al Senato francese il giorno dell’approvazione della legge contro la prostituzione ? Si sono dichiarato a favore della penalizzazione dei clienti e hanno dunque invaso il senato per protestare contro la mancata approvazione di questa misura che voi contestate.

Penso che le FEMEN abbiano un modo d’azione interessante, ma è tutto. Mancano crudelmente di cultura femminista e si rivendicano il fatto di non leggere le teoriche del movimento. Il loro femminismo si riassume nella lotta contro l’Islam e contro la prostituzione. È molto escludente e controproduttivo per le femmine in condizione di minorità. La penalizzazione dei clienti non fa che precarizzarci e metterci in pericolo. Un recente studio mostra che il 98 % delle lavoratrici del sesso si oppongono alla penalizzazione dei clienti. I gruppi che difendono questa misura non possono quindi dire di farlo per noi, perchè di fatto lo fanno contro di noi.

Parlando di accesso al welfare e ai diritti, il reddito minimo garantito sarebbe una forma di reddito non legata alla prestazione lavorativa che permetterebbe soprattutto a chi è più precario di avere un certo rapporto di forza di fronte all’offerta-ricatto di lavori sottopagati che somigliano a forme di schiavitù e che siamo spesso costretti ad accettare. Cosa pensi di questa rivendicazione?

Rispondo a titolo personale perchè lo STRASS non ha una posizione ufficiale su questo tema. Personalmente credo che sia un’idea interessante che potrebbe aiutare molti precari a subire in misura minore il ricatto del lavoro. Potrebbe essere una soluzione vera ed efficace per le persone che vogliono smettere di lavorare come lavoratrici del sesso ma non possono farlo per mancanza di mezzi. In maniere generale, i politici inistono sulla questione del traffico di esseri umani e sulla penalizzazione dei clienti per nascondere il fatto che la principale ragione che spinge a esercitare il lavoro sessuale è, di fatto, la precarietà. Non avendo alcuna soluzione rispetto alla disoccupazione e la precarietà che vivono i genitori single, gli studenti, i migranti, i transessuali,ecc preferiscono avanzare una misura simplicista come l’uso della polizia. Ora, la penalizzazione del lavoro sessuale non fa che attaccarsi ai nostri mezzi di sussistenza e ci toglie la risorsa economica che costituisce il lavoro sessuale per noi, quando in realtà il reddito minimo garantito rappresenterebbe un’opzione economica e un’alternativa credibile per le persone che vogliono smettere di lavorare nel sesso.