Larghe intese di omofobia

Si rischiava di avere una legge inutile, ci si ritroverà con una legge dannosa.

Ce l’abbiamo fatta! O almeno così dice il PD. Finalmente, ci vogliono convincere dalle fila democratiche, anche l’ordinamento giuridico italiano, al pari dei migliori modelli europei, si avvia a dotarsi di una legge di contrasto all’omofobia. Richiesta da tempo da ampie fette di opinione pubblica, dai partiti e dalle associazioni lgbti, simbolo – per molti – di una battaglia minimale per l’avanzamento delle rivendicazioni; totem dei “politici lgbti” del centrosinistra e tabù dei fascistoidi della destra e dei cattolici del centrosinistra; già affossata per incredibili eccezioni incostituzionalità; altare sacrificale di non pochi sfortunati che ad essa hanno legato la propria sorte politica; finalmente una legge contro l’omofobia è stata votata dalla Camera dei Deputati. Di qui, la strada sembra (sembra) tutta in discesa. Ma per chi?

Che il Pd, principale azionista del governo delle larghe intese, degli inciuci, della governance autoritaria dell’austerità e del pareggio di bilancio – ridotto a schiavo contabile dei mercati internazionali sul piano economico, e però criminale attivo e latitante sul piano istituzionale – abbia avuto un sussulto di dignità (di vita?) sul piano dei diritti civili? Tutt’altro.

La cronaca ha, insieme, del banale e del grottesco. Al testo presentato in Aula, già monco e problematico in quanto privo delle indicazioni giuridiche di “orientamento sessuale” ed “identità di genere” – le uniche che ne renderebbero effettiva l’applicazione – e di qualunque riferimento al tema della transfobia, un emendamento presentato dal Pd aggiungeva l’estensione della legge Mancino: ossia, in buona sostanza, un aumento fino alla metà delle pene previste per i reati comuni, laddove si riscontri un movente di matrice omofoba. È questo emendamento che fa saltare la fragilissima mediazione tra Pd e Pdl; è qui che saltano le larghe intese. Ma ecco il colpo di scena: un subemendamento, presentato da Scelta Civica, precisa che però «non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non istighino all’odio o alla violenza, né le condotte conformi al diritto vigente ovvero assunte all’interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto, relative all’attuazione dei principi e dei valori di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni».

Che significa? Significa che si potrà dire che un frocio è un malato e giustificarlo come la libera espressione di un’opinione. Peggio: significa che un partito, un sindacato, un’associazione, una clinica, una scuola privata, un’istituzione religiosa – ad esempio dichiaratamente cattolica o fascista –, che compie discriminazioni omofobe, non è perseguibile, se lo fa in osservanza dei propri principi costitutivi (e di quelli costituzionali che però, di questi tempi, sembrano essere tutt’altro che saldi). Con buona pace di Forza Nuova, di Militia Christi, dei santoni che curano i froci con gli esorcismi e dei medici macellai che li curano con gli psicofarmaci. Fine della storia: questo subemedamento passa coi voti del Pd (e il parere favorevole del relatore Scalfarotto, omuncolo triste ed incapace destinato a passare alla storia come l’omosessuale più omofobo della politica); la legge nel suo insieme passa con i voti favorevoli del Pd e di Scelta Civica, quelli contrari del Pdl e della Lega, e l’astensione di Sel e del M5S. Si segnalano – per gli amanti del genere – i voti controcorrente di Galan e Carfagna, nonché il bacio di protesta in Aula dei parlamentari pentastellati.

Morale della favola? Si rischiava di avere una legge inutile, ci si ritroverà con una legge dannosa. Dannosa, perché la libertà d’opinione non dovrebbe essere illimitata se lede i diritti altrui. Dannosa, perché dentro le associazioni e le parrocchie e i partiti nazisti si potranno continuare a propagandare, ope legis, le peggiori aberrazioni omofobe. Dannosa, perché questo vulnus domani potrebbe riguardare anche le altre categorie di persone oggi tutelate dalla legge Mancino, ad esempio le vittime di razzismo. Non rimane che augurarsi che al Senato la legge non passi.

Che cosa resta? Restano le responsabilità, le colpe incancellabili del Partito Democratico, ovviamente. E quelle – altrettanto gravi – delle troppe associazioni lgbti che quel partito lo hanno sostenuto, votato, che in esso hanno confidato, nel quale hanno espresso candidature, dal quale ottengono favori e clientele quotidiani: le stesse associazioni che oggi levano flebili lamenti, senza più alcuna credibilità, destinate alla meritata sorte dei figli di Medea. Il Pd, con i voti di Sel e del M5S, poteva fare un’altra legge, una buona legge. Una di quelle che da dieci anni giacciono dimenticate nei cassetti di Montecitorio e in quelli delle associazioni lgbti. Ma persino le briciole dei diritti civili dovevano essere sacrificate nel maldestro tentativo di mediazione col Pdl, con gli alleati di governo, nel disperato bisogno di salvare l’unità del governo di larghe intese. Quel governo che solo può fornire garanzie di ben altra rilevanza: la garanzia del pareggio di bilancio, la garanzia delle politiche di austerità, la garanzia dell’obbedienza cieca all’Europa tedesca, la garanzia ormai certissima di un futuro presidenziale. Poco conta se invece di un passo avanti, i diritti civili dovranno fare due passi indietro. In fondo in fondo, a pensarci bene, anche questo ce l’ha chiesto l’Europa.

Ma niente paura: ci salverà Matteo Renzi. O la misericordia del Papa argentino. Amen.