EUROPA

La situazione è eccellente?

Pubblichiamo questo testo oggi 8 dicembre mentre comincia a prendere forma il IV atto della mobilitazione dei Gilets Jaunes in Francia e soprattutto a Parigi. Il sabato della scorsa settimana, oltre a confermare la continuità del movimento, ha determinato un’ intensificazione del conflitto e costretto il governo di Edouard Philippe a dichiarare prima la sospensione e poi l’annullamento della tax carbone. La colère generale tuttavia non riguarda più solo l’opposizione alla legge che ha innescato il movimento. Essa si è estesa a questioni più generali e ha determinato, grazie alla tenuta dei jaunes, una crisi inedita di Macron. Il movimento ne chiede ora a gran voce le dimissioni bocciando la sua politica di riforme economiche e sociali. Il presidente, interverrà la prossima settimana per tentare una uscita dalla crisi che pare però irreversibile.

Per cercare di contenere la manifestazione a Parigi, convocata dai gruppi locali dei Gilets Jaunes attraverso i social network, il ministro dell’interno Castaner ha annunciato un dispositivo poliziesco fuori dal comune. 89.000 uomini, tra gendarmi polizia presiederanno il territorio dell’esagono con una concentrazione di più di 10.000 agenti nella sola Parigi. È stata inoltre predisposta la chiusura di moltissimi edifici pubblici e negozi. La circolazione delle macchine sarà molto limitata e più di 30 fermate della metro resteranno chiuse. La giornata è stata dunque preparata suggerendone con allarmismo un carattere fuori dal comune,mentre i Gilets Jaunes ancora una volta senza depositare alcun percorso di manifestazione annunciano di voler raggiungere l’Eliseo.  

Il testo che traduciamo, del collettivo Plateforme d’Enquetes Militantes, è un contributo scritto alla vigilia di questa giornata che lancia la partecipazione alla mobilitazione al fianco di comitati delle lotte antirazziste e dei quartieri popolari, studenti liceali e universitari in lotta, movimento femminista e LGBTQ, basi sindacali di lotta. Con le loro rivendicazioni questi movimenti raggiungono da alcune settimane i gilets jaunes per unirsi alla mobilitazione e allo stesso tempo fronteggiare le derive  nazionaliste e le infiltrazioni dei gruppuscoli della destra xenofoba. La giornata di oggi sarà determinante per confermare la durata del movimento e la sua capacità di espressione.

 

 

La situazione è eccellente?

Visti gli eventi degli ultimi giorni e quelli che si annunciano per i giorni a venire, è del tutto possibile che la situazione sia eccellente.[1] La forza espressa dai gilets jaunes ha in effetti provocato una crisi profonda in seno al governo. Molte cose restano incerte, il movimento è troppo recente, dinamico e contiene troppi tratti di novità per trarre delle affrettate conclusioni. È certo però che i gilets jaunes stanno producendo un enorme sconvolgimento, nel quale tutte le nostre forze hanno voce in capitolo.

 

Sabato 1 dicembre ha segnato una nuova tappa della mobilitazione. Mentre l’esecutivo scommetteva su un indebolimento del movimento, i gilets jaunes hanno intensificato lo scontro, già molto elevato nelle settimane precedenti. La manifestazione parigina si è trasformata in una vera e propria offensiva, come non la si vedeva da molto tempo in Francia e in Europa.

 

Non solo i gilets jaunes erano molto più numerosi, ma hanno messo in campo una capacità inventiva particolarmente efficace di fronte al dispositivo poliziesco. La rivolta ha strabordato da ogni parte e le tecniche repressive abituali – lacrimogeni, granate, nasses (blocchi di pezzi di corteo), manganelli e idranti ­– non hanno potuto fare molto. Dei comitati d’azione s’improvvisavano tra due boutiques di lusso, si attraversavano le grandi avenues del centro cosparse di alberi di natale incendiati e le tags ricoprivano Place Vendôme. L’attenzione tende a focalizzarsi su Parigi, ma i racconti che emergono dalle altre città, o dai piccoli paesi, mostrano che il fenomeno è ben più largo. Se possiamo vederci una continuità con le forme di riappropriazione della violenza nei cortei, avvenuta in particolare dopo il 2016, bisogna al contempo riconoscere che una certa soglia è stata superata.

Più sorprendente ancora, l’inizio della settimana seguente ci dà l’impressione che una certa tonalità si è ormai affermata e che essa potrà portare ancora più lontano. La reazione immediata e potente dei liceali è da questo punto di vista esemplare. Essi hanno ripreso le lotte contro la riforma del bac (il diploma di maturità, ndr) e la selezione, conferendo alle occupazioni e ai blocchi l’intensità del momento dei gilets jaunes. Nelle università, le assemblee contro l’aumento delle tasse d’iscrizione per gli studenti e per le studentesse straniere fanno il pienone. E possiamo auspicare che le occupazioni si ispirino anch’esse al clima generale, prendendo una forma meno autocentrata di quelle che abbiamo potuto conoscere nella prima metà dell’anno. Intanto i lavoratori delle ambulanze hanno invaso Place de la Concorde da poco sistemata dopo le sommosse del week-end precedente. Nel sindacalismo di lotta, degli appelli a prendere parte alle manifestazioni cominciano a moltiplicarsi. In Île de France, gli cheminots e i postini hanno già dato “il tono”, seguiti da settori meno attesi, come i lavoratori edili del Gruppo Lafarge o quelli della logistica di Geodis Gennevilliers. Le federazioni sindacali esitano, come al solito, ma alcune invitano già allo sciopero o addirittura al blocco come nel caso della CGT Trasporti, a partire da lunedì prossimo.

 

 

Al di là delle lotte più visibili, tutto un insieme di micro-eventi circolati con il passaparola suggeriscono che nell’aria c’è un profumo di rivoluzione. Secondo le differenti scuole – e senza che ciò sia contraddittorio – si può considerare questo come il risultato di un processo di soggettivazione in piena emersione o anche l’apertura di una forma di legittimità nel passaggio all’azione. Nei due casi, l’effetto prodotto può essere considerevole al di là della temporalità corta.

 

Se il movimento continuerà a rinforzarsi, ci sembra difficile che riforme come quella delle pensioni o del regime della disoccupazione possano essere messe sul tavolo all’inizio dell’anno prossimo, com’era previsto fino a qualche settimana fa.

 

Per il momento, Macron e il suo governo continuano il loro lavoro nel cinismo più assoluto al servizio dei più ricchi. Si sono accontentati di concedere una ridicola sospensione delle tasse sul carburante per il 2019, stimata nel valore di 4 miliardi, un risparmio di 6 centesimi per il diesel e di 3 centesimi per la benzina. Fantastico! Come possono credere che qualcosa di così insignificante possa mettere a tacere i gilets jaunes che da venti giorni passano le loro settimane sulle rotonde e il sabato di fronte alla polizia? Senza contare che il giorno precedente, martedì 5 dicembre, l’assemblea aveva appena approvato un regalo dieci volte più grande per i padroni: una trasformazione del CICE (credito d’imposta per l’attività e l’impiego) con una diminuzione degli oneri contributivi delle imprese per un valore di 40 miliardi nel 2018[2]. Un’enorme rapina.

 

 

Spesso sentiamo dire che i gilets jaunes si stanno muovendo, che le loro rivendicazioni e pratiche si stanno modificando. Nello stesso tempo bisogna riconoscere che siamo noi stessi ad aver messo in movimento le nostre categorie di analisi della situazione. All’inizio eravamo un po’ sorpresi che i gilets jaunes si attaccassero al prezzo della benzina. Eppure, la Carbon tax, proprio come l’IVA, sono effettivamente imposte non redistributive, che i ricchi pagano facilmente mentre sugli altri hanno un impatto molto più forte. Il tema redistributivo rimaneva comunque troppo limitato, ma è stato rapidamente sopraffatto da altre questioni, come i servizi pubblici o la richiesta di ripristino dell’ISF[3]. E lo spettro delle rivendicazioni potrà ancora andare oltre, fino a raggiungere questioni che ci sono più familiari. In primo luogo, la questione dei salari, che sembra difficile da evitare quando si parla della difficoltà di arrivare a fine mese. Non è un caso che si parli sempre di più dell’aumento a 1300 euro dello SMIC, il salario minimo francese. E si parla anche della miseria del lavoro, che occupa un posto di primo piano nella degradazione delle nostre vite quotidiane. E infine diventa sempre più centrale anche il tema delle violenze della polizia, dato che negli ultimi giorni si è assistito a una repressione generalizzata.

 

Insomma, le rivendicazioni espresse partono principalmente dalle condizioni materiali di esistenza e questo costituisce la loro forza. Difficili da sintetizzare, esse potrebbero essere riunite sotto la formula che abbiamo molto ascoltato e che ha il merito di essere molto efficace e penetrante: «Non vogliamo più questa vita di merda».

 

Tutto resta largamente imprevedibile e certe zone d’ombra persistono. Delle correnti cittadiniste, legaliste e nazionaliste attraversano il movimento e richiedono di porre dei tagli netti. Questi aspetti sono soprattutto visibili nelle piattaforme rivendicative che sono apparse dal nulla e alle quali i media hanno dato rapidamente visibilità. In particolare, vi si può leggere una divisione razzista tra i migranti illegali, che dovrebbero essere «rimpatriati nei loro paesi di origine», e gli altri che meriterebbero di essere «trattati bene» ricevendo «corsi di storia della Francia». Salvo che i portavoce che avanzano queste richieste sono largamente disapprovati dalla base e concretamente ostacolati nello svolgere il loro sporco lavoro. Sembra dunque che i gilets jaunes stiano sperimentando una pratica radicale di democrazia orizzontale, non opponendo per il momento che una folla indistinta al governo in carica.

Nella lista delle doléances, troviamo anche degli elementi di vissuto quotidiano da cui potremmo trarre ispirazione, dal momento che essi esprimono tutta la destabilizzazione del quadro istituzionale delle negoziazioni. Questo qui per esempio: «Un bambino di 6 anni non può farsi da baby-sitter, contro l’abrogazione del sistema di aiuti Pajemploi fino all’età di 10 anni».[4] La formula è allettante e verrebbe da chiedersi: «Poiché il lavoratore è in un rapporto ineguale, abrogazione della Loi Travail fino alla fine dei tempi». O ancora: «Emmanuel Macron è diventato insopportabile per molti di noi, destituzione del capo di Stato». Vista l’intensità del conflitto, se esso resterà tale, potremmo anche puntare molto in alto in termini di rivendicazioni. Bisognerà pensare a proporre qualcosa di molto meglio!

È dunque sulle condizioni di tenuta e di rinforzo del sollevamento che occorre ormai concentrarsi. In questo contesto, i collettivi e i settori impegnati nei movimenti sociali di questi ultimi anni possono spingere più forte che mai. Si tratta in particolare di introdurre nuove dimensioni che non possono più restare al margine di un movimento di questa ampiezza e la cui assenza ne costituisce il suo principale limite.

 

Contro le tentazioni razziste di una parte dei gilets jaunes, o i tentativi di recupero dell’estrema destra, le lotte dei quartieri popolari ci consegnano un antagonismo potente che produce già i suoi frutti.

 

La jeunesse di questi stessi quartieri è ben presente nelle barricate degli Champs-Elysées, accanto ai rivoltosi del mondo rurale che conoscono allo stesso modo la galère (la stessa vita di merda, le stesse durissime condizioni di vita). Nel clima attuale, queste congiunzioni possono e devono moltiplicarsi, essendo sostenute da alleanze costruite con altri fronti di lotta.

 

Non viene più messo in discussione che il movimento dei gilets jaunes cancelli le lotte fondamentali che si stanno dando nel terreno del femminismo e dell’antisessismo. Se la presenza delle donne è particolarmente forte nei blocchi, a partire dal 17 novembre, è perché esse subiscono principalmente il deterioramento delle condizioni di vita, dei salari bassi e del lavoro gratuito, e perché questa violenza quotidiana è sistematicamente resa invisibile. Per non riprodurre questa “invisibilizzazione”, l’oppressione patriarcale deve essere chiaramente posta tra gli obiettivi della lotta.

 

 

Rompere la possibilità di derive fasciste, questo era uno dei sensi dell’appello a raggiungere i gilets jaunes lanciato il 1 dicembre da un’alleanza fuori dal comune raggruppante gli Cheminots de l’Intergare, il Comité Adama, l’Action Antifasciste Paris-Banlieue, il Comité pour la Libération et l’Autonomie Queer e la Plateformes d’Enquetes Militantes. Questa iniziativa è stata un successo, compreso il débordement continuo di cui essa è stata oggetto. Dai primi passi, il corteo è stato raggiunto da gruppi di gilets jaunes che occupavano ogni angolo della strada tra la Stazione Saint Lazare e gli Champs-Elysées, gonfiandosi a vista d’occhio, fino a perdere i suoi confini. Se un corteo del genere può dare visibilità e forza alle nostre lotte, non si tratta certo di riprodurre il classico svolgimento delle manifestazioni. Significherebbe andare controcorrente rispetto alle pratiche di lotta introdotte dai gilets jaunes, caratterizzate per mobilità, disseminazione in uno spazio determinato, a Parigi come altrove. Sta a noi di prendere atto di queste forme vive, intrecciandole con le pratiche di conflittualità sperimentate in questi ultimi anni. Ed esprimendole su un nuovo terreno, nei quartieri dove la ricchezza raggiunge dei livelli estremi e insopportabili e dove le rivendicazioni dei gilets jaunes assumono il loro senso più profondo.

Non sappiamo ancora cosa sia questo “noi” dei gilet jaunes, nel quale le nostre rivendicazioni trovano il loro spazio. Ma siamo almeno sicuri di una cosa: che il processo di designazione delle “loro” evolve velocemente. E punta direttamente a Macron, alla sua polizia e ai suoi amici. Spaventa la borghesia e ci rende felici!

 

Articolo apparso in francese sul blog della Plateforme d’Enquêtes Militantes

Traduzione a cura di DINAMOpress

 

 

[1] In una formulazione precedente, che parodiava Mao, dicevamo: «Grande è il caos sotto il cielo – ma non è sicuro che la situazione sia eccellente».

[2] Creato nel 2013 durante il mandato di François Hollande, il Crédit d’Impot Compétitivité Emploi era pensato per ridurre il costo del lavoro e creare delle nuove assunzioni. Salvo che delle aziende come Carrefour, che grazie a questo provvedimento guadagna più di 100 milioni all’anno, spostano il denaro verso gli azionisti e continuano a licenziare in massa.

[3] L’imposta sulla Fortuna, cioè sui redditi dei francesi più ricchi, che è stata soppressa da Macron.

[4] Pajemploi è un organo dell’Urssaf che permette di beneficiare dell’aiuto per la cura dei bambini.