POTERI

La rissa sulle riforme il suo nucleo razionale


Vale la pena, negli occhi le immagini di Gaza e dell’Ucraina, dedicare attenzione al dibattito italiano sulle riforme? Con il cuore no, ma con la ragione sì, almeno un poco.

Anche in una prospettiva locale, la discussione che si svolge al Senato e le acrobazie dei protagonisti –il presidente Napolitano, il presidente Grasso, Renzi, i suoi balbettanti ministri e gli improbabili oppositori– risultano secondarie rispetto alla gravissima crisi economica e occupazionale che trascina il paese verso un autunno nerissimo e una possibile manovra lacrime e sangue. Tuttavia è su quel proscenio illuminato dai riflettori mediatici che fingono di scontrarsi le componenti politiche ufficiali, nel brusio sordo e impotente delle forze reali. Guardiamoli per capirci qualcosa.

Il cartellone recita: riforma della Costituzione. Alcuni attori mimano una proposta di revisione, altri fanno un chiassoso ostruzionismo, altri ancora trattano fra le quinte, lasciandosi però intravedere dal pubblico.

Chiaro che la zuffa simulata non si svolge sui sacri princìpi costituzionali: infatti qualche comprimario si lascia andare a un “a parte” spiegando che in realtà si sta negoziando la nuova legge elettorale e di conseguenza possibili elezioni anticipate, sui cui esiti nessuno ha certezze solide e perciò sono oggetto di minaccia o scongiuro più che di allestimento. L’incertezza deriva naturalmente dal fatto che sul primo giro di revisione ed eventuali aggiustamenti dell’Italicum incombe la scadenza di settembre ovvero della legge di stabilità, che dovrà colmare con tagli e tasse la crescente sproporzione fra un Pil stagnante e un deficit crescente (più la definizione sanguinosa della Tasi a metà ottobre).

Tuttavia ora vogliamo prendere sul serio la dimensione costituzionale, senza diminuirla con l’accusa di essere una semplice sovrastruttura dei rapporti di forza, mettendoci cioè sullo stesso piano di Renzi che ha scaricato sulle riforme istituzionali la propria incapacità di affrontare la situazione economica e occupazionale e di fare i conti con i partner europei –che fine hanno fatto il famoso semestre italiano, la candidatura Mogherini a Mrs. Pesc, la flessibilità buona?

In effetti, iniettare una dose istituzionale di autoritarismo nella vita politica italiana è una mossa politica di rilievo in mancanza di meglio, come lo fu, a meri fini elettorali non di intervento anticiclico, la concessione di 80 € in busta paga a maggio. Del pari, conta il tipo di legge elettorale per incassare o meno alle successive consultazioni politiche una parte del dividendo conseguito alle europee e comunque per usare quell’arma come minaccia per i piccoli partiti (Sel in primo luogo, visto che Ncd ha di nuovo una sponda berlusconiana, dopo il capolavoro giudiziario di Milano) e via d’uscita in caso di impaludamento delle riforme. Per non dire che il dibattito attuale è il terreno ideale per le fumisterie mediatiche di Renzi in assenza di verifiche economiche, quanto la protesta anti-tasse lo è per Berlusconi nel tentativo di fare dimenticare i fallimenti di governo. E anche Grillo ci ricava il suo tornaconto.

Sono credibili gli oppositori, molto disparati, che conducono un lavoro caotico di boicottaggio ostruzionistico, senza troppo agitarsi a livello di massa? Sembra proprio di no. Dopo che tutti i seguaci di Cuperlo-Bersani-Civati e mezza Sel, da un lato, degli elettori di Berlusconi e Monti-Casini, dall’altro, sono svaniti nel nulla come un 14 ottobre i Leftovers dell’appassionante serie televisiva Hbo, alcuni superstiti con forte senso di colpa, i Guilty Remnants, hanno formato una setta biancovestita che si esprime per emendamenti invece che per discorsi e rammemora la Costituzione perduta, in sospetta mescolanza fra Minzolini e Mineo, Mauro e Vendola.

Il problema costituzionale resta peraltro in tutta la sua complessità, perché ormai la vecchia Costituzione è scassata e la forma parlamentare di governo corrotta senza che siano plausibili né le innovazioni proposte con le barzellette di Renzi e gli incanti della Boschi né le difese ottuse di un’opposizione eterogenea e troppo palesemente interessata a una sopravvivenza di ceto senza radici di massa.

In che senso le proposte di riforma sono incoerenti, pur segnalando l’ormai avvenuto collasso del vecchio sistema istituzionale? La soppressione di fatto del bicameralismo, oltre a lasciare in vita un Senato eletto in secondo grado da un confuso insieme di enti locali privi di rilevanza costituzionale (ovvero di un assetto federativo di tipo tedesco, nel cui Bundesrat vige oltretutto il mandato imperativo rispetto ai Länder) ma tristemente famosi per corruzione, non introduce nessun contrappeso al potere di una Camera troppo numerosa e alterata con abnorme premio di maggioranza, di una Camera, per di più, assoggettata all’Esecutivo non per via costituzionale (cioè in regime di presidenzialismo o semi-presidenzialismo o premierato, insomma modello Usa, Francia o Germania-Inghilterra) ma per la consuetudine invalsa di un mix di maxi-emendamenti, deleghe a decreti attuativi e voti di fiducia a ripetizione che la priva di ogni autonomia e iniziativa legislativa.

Sullo sconfinamento di Napolitano rispetto alle prerogative attribuitegli dalla Costituzione già molto è stato detto e vorrei notare in aggiunta la confusione che si è ingenerata per il concorso di un doppio ampliamento dei poteri del Presidente e del Premier. Confusione mascherata dall’occasionale convergenza degli intenti, ma che diverrebbe deflagrante se i due compari si trovassero in disaccordo in assenza di ogni regola distributiva. Altrettanto indefiniti appaiono i ritocchi al capitolo V sulle autonomie regionali, frutto di un compromesso fra Pd e Lega (nume costituente Calderoli, figuriamoci!), che riproporranno alla lunga gli effetti caotici derivati dalla formulazione primitiva e dalle due riforme successive. I deboli elementi di democrazia diretta presenti nella Costituzione (leggi di iniziativa popolare, referendum) vengono infine ulteriormente soffocati nella proposta governativa.

Gaetano Azzariti, pur restando in un’ottica del tutto giuridica, ha ricordato che le Costituzioni si redigono in genere da sobri per regolare i nostri comportamenti quando siamo a ubriachi. Solo che in questo caso disgraziato, aggiunge, sono degli ubriachi s stendere un testo confuso e pasticciato, che dunque non servirà in tempi di contrasto. Verissimo.

È lampante che una riforma coerente e complessiva della seconda parte della Costituzione sarebbe legittimata soltanto per opera di un’assemblea elettiva con tale esplicito mandato e formata su base rappresentativa proporzionale. Operazione non facile, trattandosi di sostituire non solo un testo formale, ma una Costituzione materiale radicata nel sistema dei partiti di massa (oggi, almeno in Italia, in piena dissoluzione ed esasperata personalizzazione populistica), nei sindacati fordisti e in una sovranità nazionale oggi sensibilmente sovradeterminata da vincoli sovranazionali e da una costellazione imperiale multipolare. Come trasformare un non più difendibile modello kelseniano-keynesiano di cui in Italia avvertiamo il precoce logorio? Come inserirvi, in luogo di brutali inserti neo-liberali tipo il pareggio di bilancio, misure post-keynesiane e post-fordiste quali il reddito di cittadinanza e nuove formulazioni mutualistiche del Welfare? Come rispondere in termini istituzionali (se è possibile) alla crisi della rappresentanza con strumenti di democrazia diretta e di federazione di strutture territoriali o altre?

Questo campo dobbiamo cominciare ad esplorarlo quanto e non separatamente dalle battaglie sui beni comuni e sulla precarizzazione del lavoro, anche se sembra così remoto dalle nostre forze e abitudini di lotta.