editoriale

La “marcia su Roma”, il dito e la luna

Forza Nuova e Casapound, l’antifascismo a corrente alternata di Pd e M5S, la “pancia del Paese” e gli interessi dei capitali finanziari. Sul palcoscenico ognuno recita una parte

I principali quotidiani nazionali hanno annunciato ieri che la “marcia su Roma” lanciata da Forza Nuova nell’anniversario dell’infausto evento del 1922, alla fine, non si farà. Gli organizzatori avrebbero rinunciato a seguito del divieto della questura, sebbene continuino a dichiarare di non aver ancora «sciolto le riserve» sulla data. Mentre non si possono escludere nostalgiche (e decimali) perfomance “non autorizzate”, sull’iniziativa centrale l’ipotesi più probabile, al momento, sembra essere il rinvio di una settimana, a sabato 4 novembre, giornata in cui si celebra l’Unità nazionale e delle forze armate.

Tutto risolto quindi? La “Repubblica fondata sul lavoro” può stare tranquilla della sua persistente connotazione antifascista? Evidentemente no.

Che la ”marcia su Roma” sarebbe stata impedita era un fatto largamente prevedibile. Già dal 3 settembre scorso, quando il partito di Roberto Fiore aveva annunciato l’evento aprendo la raccolta fondi, numerosi rappresentanti istituzionali avevano gridato all’insulto e gonfiato il petto. «Ho già dato disposizione al questore di Roma di non concedere l’autorizzazione per la manifestazione», Marco Minniti, Ministro dell’interno. «La marcia su Roma non si farà», Franco Gabrielli, capo della polizia. «La marcia su Roma non può e non deve farsi», Virginia Raggi, Sindaca di Roma.

Da un lato, per le istituzioni della Repubblica, il problema non sono i contenuti dell’iniziativa – fascisti, razzisti e sessisti -, ma soltanto la forma, cioé la simbolicità della data. Spostare il tutto sette giorni più in là, sembra quindi una soluzione soddisfacente. Dall’altro, è in corso un gioco perverso che occorre analizzare e tenere bene in mente per interpretare le dinamiche che ruotano attorno al neofascismo nella fase attuale.

In questo gioco, i due principali partiti di estrema destra, Forza Nuova e Casapound, sono al tempo stesso attori con strategie molto diverse e pedine utilizzate per scopi opposti. Da un lato, Forza Nuova è un’organizzazione quasi residuale, che ostenta simboli, discorsi, immagini e pratiche di quella generazione di fascisti che per anni ha vissuto nelle fogne. Odiati dalla gente comune, espulsi dalla società, attaccati con la meritata dose di violenza dai militanti della sinistra, ma, al bisogno, utilizzati e protetti dallo Stato. Un corpo separato, insomma, che in nome dell’ideale fascista e di una visione romantica della purezza e della coerenza ideologica è meno preoccupato di rimanere confinato nel margine e accumulare sconfitte, che di rinunciare ai simboli o perdere un presunto onore.

Con Casapound, invece, la faccenda è completamente diversa. Sebbene l’organizzazione di via Napoleone III non abbia mai rinnegato il solco della tradizione politico-ideologica in cui si inserisce, a partire dall’autodefinizione di “fascisti del terzo millennio”, il suo obiettivo strategico è stato per anni quello di uscire dalle fogne e trascinarsi dietro un pezzo di storia che dopo la Resistenza, la sconfitta del fascismo e i movimenti degli anni Settanta era rimasto incastrato sotto i tombini. «Non siamo razzisti, ma gli immigrati devono restare a casa loro»; «Non siamo omofobi, ma gli omosessuali devono baciarsi a casa loro»; e così via. Ovviamente, simili slogan pseudo-democratici non hanno impedito ai fascisti di CPI di compiere azioni violente contro migranti, persone di gusti sessuali molteplici e soggetti con idee politiche differenti. La democratizzazione è sempre un gioco di specchi. Comunque, l’uscita dal sistema fognario è stata (quasi) raggiunta, anche grazie a connivenze, appoggi, finanziamenti e forme diverse di legittimazione garantiti da tutta una serie di soggetti, trasversali alle forze politiche e al mondo della televisione, del cinema e, recentemente, anche del giornalismo.

Queste differenze soggettive tra Forza Nuova e Casapound vengono riutilizzate all’interno del più largo contesto politico per scopi differenti. Così, alle pratiche e ai discorsi razzisti e fascisti “del nuovo millennio” viene concessa una visibilità enorme sui giornali e in televisione, secondo l’idea performativa e per niente naturale, che rappresentino la “pancia del Paese”. Azioni di gruppi sparuti, news completamente fake e dichiarazioni quasi demenziali assumono uno statuto di verità che spesso e volentieri rischia di incendiare intere praterie nel nome della paura e dell’odio razziale. In questo contesto, le principali forze politiche sembrano aver scelto una strategia miope e pericolosissima: rincorrere a destra sui temi della sicurezza, dell’immigrazione e dell’universalità dei diritti. Non si capisce perché, a lungo termine, la copia (si chiami essa Pd o M5S) dovrebbe essere preferita all’originale (sia questo guidato da Di Stefano o Salvini, o magari da entrambi). E comunque, quando un esponente di un partito che formalmente sarebbe di centro-sinistra esclama che qualcuno «vuole ideologicamente salvare tutte le vite umane, ma noi non possiamo permettercelo», davvero viene da chiedersi se nella post-modernità in cui viviamo il fascismo abbia bisogno delle divise dei balilla o non possa tranquillamente mascherare il suo disprezzo per la vita umana sotto la giacca e cravatta dei parlamentari della Repubblica.

Casapound, insomma, svolge la funzione di contribuire a spostare sempre più a destra il dibattito pubblico e le posizioni dei diversi partiti, alimentando un clima di razzismo diffuso, che a cascata produce richieste di maggiore sicurezza, limitazione dei diritti civili e politici, repressione delle forme di dissenso. Ovviamente, non è tutta farina del suo sacco e non è certo l’unico attore in campo, anzi. Non giriamoci intorno: forme di governamentalità post-democratiche e autoritarie costituiscono un obiettivo centrale per le forze neoliberali e i gruppi finanziari. È sempre più evidente come sull’avanzata dell’estrema destra in tutta Europa abbiano scommesso importanti quote di capitale (europeo, russo, transnazionale).

Nella post-modernità, l’esercizio del potere preferisce nascondersi piuttosto che mostrarsi, uccidere con una modificazione millesimale degli indici borsistici ma non ferire con il manganello, aprire le porte alla barbarie ma non trasgredire il politically correct. Ecco allora che mentre il Partito Democratico approva un decreto legge che vieta le immagini di Mussolini sugli accendini, a Tiburtino III acconsente a concedere ai fascisti una seduta straordinaria su temi privi di fondamento, nel consiglio comunale di Bolzano strizza l’occhiolino a Casapound, a Ostra commemora le spie nazifasciste e, più semplicemente, la dà vinta a tutta l’estrema destra finendo per non riconoscere nemmeno un diritto sacrosanto come lo Ius Soli. Parallelamente, mentre Virginia Raggi si schiera contro la marcia su Roma, Di Maio sdogana il tema dell’accettabilità della morte di alcune vite minori, lancia la campagna contro le ONG e afferma che il diritto ad avere la cittadinanza nel luogo di nascita sia solo uno «strumento di propaganda».

È in questo gioco delle parti che bisogna interpretare il divieto della “marcia su Roma” e, in generale, il più duro trattamento politico e poliziesco riservato a Forza Nuova: servono a mantenere in scena la farsa dell’arco di forze politiche democratiche che rifiuta il fascismo e lo blocca sulla porta. Peccato che quello, intanto, stia entrando dalla finestra.

Oltre ad amputare il dito, occorre far tramontare la luna.