DIRITTI

In migliaia a Milano per la libertà di Ocalan e del popolo curdo

Sabato 11 febbraio, a 18 anni dal sequestro del leader del Pkk Abdullah Ocalan da parte dello stato turco, migliaia di persone tra associazioni, centri sociali, sindacati e partiti hanno marciato per le strade di Milano a fianco delle comunità curde italiane , scandendo gli slogan “Libertà per Ocalan”, “Uniti contro ogni fascismo” e “Katil Erdogan”.

Lungo il percorso da Porta Venezia a Piazza Cairoli si sono susseguiti gli interventi dei rappresentanti del movimento curdo e delle realtà italiane solidali, oltre a numerosi messaggi dalle città della resistenza curda: è stato riportato un intervento di UIKI (Ufficio Informazioni del Kurdistan in Italia) da Kobane, simbolo degli ideali di coesistenza, solidarietà e uguaglianza, portati avanti dal movimento di liberazione, ispirati e animati dal presidente Ocalan.

Kobane è uno dei primi luoghi dove la liberazione e il protagonismo delle donne non sono rimaste parole vuote, ma fatti determinanti per il progetto di autodeterminazione di un popolo. Per questo motivo, il portavoce della comunità curda di Milano ha dichiarato in piazza l’adesione delle comunità curde allo sciopero globale delle donne dell’8 marzo che in Italia è stato promosso dal movimento NonUnaDiMeno.

Il confederalismo democratico applicato nel Rojava, (Kurdistan siriano) è un percorso politico che prevede la centralità della donna, le pratiche di autodifesa e la redistribuzione della ricchezza, rappresentando un’alternativa a tutto il Medio Oriente agli scontri etnici e religiosi. Un modello difeso con le armi dalle Ypg e dalle Ypj, le unità di difesa popolari maschili e femminili, che stanno combattendo contro Isis. Durante il raduno a Piazzia Cairoli, si sono susseguiti gli interventi dei deputati dell’HDP Dilek Ocalan, nipote del presidente, e Faysal Sariyildiz, originario della città di Sirniak, ridotta in macerie nel 2016 durante una “operazione antiterrorismo” contro il PKK. A seguire, le parole dell’avvocato di Ocalan, Mahamut Sakar, che ha richiamato l’attenzione sulle pratiche inumane della prigione di Imrali, condizioni che rappresentano un’eccezione a tutte le disposizioni legali della repubblica turca e costituiscono una violazione gravissima dei diritti fondamentali.

Sakar ha sottolineato con rabbia il fatto che negli ultimi 5 anni le possibilità di incontrare Ocalan sono state decisamente limitate, sia per gli avvocati del suo collegio difensivo, sia per i suoi parenti più stretti, fino al 15 luglio 2016, giorno del golpe militare contro Erdogan, in cui è stato completamente eliminata qualsiasi forma di contatto con il presidente. Questa disposizione ha avuto come conseguenza la totale mancanza d’informazioni sullo stato attuale psico-fisico di Ocalan.

La situazione è poi peggiorata negli ultimi mesi, da quando in Turchia è iniziato il dibattito sul referendum costituzionale del prossimo aprile ed il presidente Erdogan è tornato ad agitare lo spettro della condanna a morte del leader curdo. Infine, a chiudere gli interventi della manifestazione nazionale a Milano, è stato Mustafa Karasu, membro del KCK (Unione delle Comunità del Kurdistan) il quale attraverso un video dalle montagne nel sud-est della Turchia, ha sottolineato il valore simbolico della libertà di Ocalan come liberazione di un intero popolo, e di conseguenza il suo isolamento rappresenta il tentativo da parte del governo turco di emarginare e isolare la resistenza curda. Energiche e risolute le parole di Dilek Ocalan, nipote del leader curdo e rappresentante dell’Hdp, che ha condannato con forza le pratiche fasciste e il nazionalismo del governo turco. Interrotta da cori e applausi, si è rivolta alla piazza con queste parole: “Quando il fascismo capisce che sta perdendo, si espone al massimo della sua brutalità e le forze internazionali che lo sostengono hanno una grande responsabilità su di sé. Ora più che mai il fascismo è intenzionato ad esprimersi con maggior aggressività e violenza e l’unica arma che può impedirlo è l’impegno in una lotta comune”.

La situazione è destinata a peggiorare nei prossimi mesi in vista del referendum costituzionale e delle modalità che verranno applicate dal governo turco per la vittoria del “si”, atto che spianerà ulteriormente la strada all’introduzione del presidenzialismo caldeggiato da Erdogan. Nonostante le rappresaglie e la repressione perpetrate oggi dal governo turco, i curdi continuano a lottare per la libertà del loro rappresentante politico e chiedono alla comunità internazionale di rompere il silenzio e la complicità sul crimine che si sta compiendo sull’Isola di Imrali, così come in tutti i luoghi in cui donne e uomini sono privati dalla libertà di autodeterminarsi. Per le strade una voce esclama: “Quel 15 febbraio 1999, è la data in cui un intero popolo è stato imprigionato e imbavagliato, ma a dispetto dei sequestratori e dei torturatori deve diventare la data del nostro riscatto”.

Mini intervista a Ṡevda della comunità curda di Firenze verso l’8 marzo