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Il mondo di Escher

A Roma la retrospettiva sull’artista, grafico e incisore olandese M.C. Escher dal 20 settembre 2014 al 22 febbraio 2015 al Chiostro del Bramante .

“Noi non conosciamo lo spazio, non lo vediamo, non lo ascoltiamo, non lo percepiamo. Siamo in mezzo ad esso, ne facciamo parte, ma non ne sappiamo nulla…”.( M.C.Escher-, in Esplorando l’infinito).

Le opere di Maurits Cornelis Escher (Leeuwarden, 1898 – Laren 1972) sono “provocazioni” per affinare la nostra percezione dello spazio, svelandone limiti e ambiguità. Il genio di Escher consiste nella sua capacità di escogitare e allo stesso tempo realizzare figurativamente una moltitudine di mondi semireali e semi-immaginari nei quali sembra invitare i suoi osservatori a entrare. Una costante nella sua opera è il disvelamento dell’esistenza di più piani del reale, talvolta opposti e inconciliabili, e quindi di molteplici verità.

Un elemento fondamentale per capire un autore come Escher è lo specchio, in particolare in rapporto all’analisi della struttura dello spazio e alla ricerca continua sulle simmetrie e sulla divisione regolare del piano. Tutta la produzione del grafico olandese dopo il 1937 si muove idealmente intorno a questi problemi, inserendo lo specchio come protesi, un occhio dalle potenzialità infinite, nella sua meditazione sulla realtà e le sue leggi: il risultato è una collezione di stampe che presentano mondi impossibili o simultanei in maniera naturale, come nella litografia Natura morta con specchio, o assurda e contemporaneamente logica, come in Altro mondo II. La nostra percezione ordinaria dello spazio è messa in dubbio e lo specchio diventa uno dei modi per far emergere il conflitto quotidiano tra bidimensionalità e tridimensionalità. Escher trasforma il divario “normale” tra percezione e giudizio in una galleria d’illustrazioni finalizzate a mostrare la struttura matematica e plurale del mondo: lo specchio oltre a suggerire volumi, permette così di collegare e connettere fenomeni diversi, che confermano ma allo stesso tempo rendono assurda e contraddittoria la realtà. E’ questo, anche a spingerlo a esplorare visivamente territori sospesi tra l’arte grafica e i concetti di prospettiva e tassellatura del piano. Un altro sentiero percorso da Escher conduce allo specchio come moltiplicatore di forme in rapporto alla divisione regolare del piano, alle simmetrie e alle metamorfosi di elementi astratti e geometrici in forme viventi, ma anche al ruolo dei riflessi speculari nell’embriologia caleidoscopica elaborata ai nostri giorni dallo scienziato evoluzionista Richard Dawkins. Lo specchio in quest’ultima accezione partecipa al processo generativo delle forme organiche, perché le mutazioni casuali che nel corso dell’evoluzione possono verificarsi in un punto dell’organismo in base alle loro simmetrie, per esempio quella bilaterale dell’uomo o quella radiale delle meduse, si riflettono secondo “effetti specchio” anche nel resto del corpo.

Tutta la ricerca di Escher mette in risalto la simulazione di spazi e volumi sulla superficie: semplici macchie di colore si staccano dal fondo, sembrando vive e in movimento, mentre lo specchio duplica e intensifica la percezione, immettendo nel campo visivo un doppio, la prima espressione del molteplice, e riflettendo ciò che è identico a sé causa la varietà e diventa protagonista nella dialettica tra uguale e diverso: uguale rispetto a se stesso, diverso rispetto all’asse di riflessione. Prima di Escher, altri artisti si erano interessati agli specchi e ai loro suggestivi effetti all’interno del dipinto: nella tradizione fiamminga, vale la pena menzionare Jan van Eyck, con Il ritratto dei coniugi Arnolfini del 1434, ad esempio. In Escher però lo specchio non è tanto un modo per raffigurare fedelmente la realtà visibile, con minuzia di particolari, come nei pittori fiamminghi, quanto uno strumento per riflettere sulla struttura dello spazio e sull’ associazione e la compenetrazione di mondi simultanei.

In Tre mondi (1955) sono riuniti tre differenti punti di vista che prendono forma in un mondo fantastico, ma naturale, in modo che l’orizzonte, il nadir, il punto di fuga delle verticali in basso, e lo zenit, il punto di fuga delle verticali in alto, coincidano, così come l’acqua è allo stesso tempo superficie, profondità e riflesso. L’artista che si specchia e si osserva come esterno rispetto al mondo raffigurato nella stampa risulta essere anche il creatore di ciò che sta guardando.

In Mano con sfera riflettente (1935), Escher compone invece quello che percepisce direttamente, ovvero la sua mano, e quello che la sua vista non raggiungerebbe senza l’ausilio della sfera, cioè se stesso nella stanza deformata e ampliata: innescando, all’interno della litografia, una dialettica tra ciò che sembra “reale” e ciò che invece non lo è poiché è un riflesso.

“Non vi sembra assurdo, a volte, il fatto di disegnare un paio di linee e affermare: questa è una casa?” (M.C. Escher, Grafica e disegni)

La ricerca escheriana dei tre modi per dividere il piano, ovvero traslazione, rotazione e riflessione, ha radici profonde: iniziata già durante il primo viaggio del 1922 all’Alhambra di Granada, si sviluppò in modo decisivo dopo il secondo del 1936, quando egli visitò anche la moschea-cattedrale di Cordova. Cominciò così a studiare manuali di cristallografia insieme all’arte dei Mori, fra i primi a sfruttare da un punto di vista ornamentale la tassellatura del piano, limitandosi però a motivi geometrici e astratti. Escher invece pone come principi fondamentali sia l’identificazione con figure riconoscibili come rettili, pesci o uccelli, sia il contrasto di colore, perché il gioco di figura e sfondo serve a ricreare l’illusione dello spazio. L’associazione con un oggetto o con una forma vivente, senza tener conto del loro significato biologico, infatti, è molto importante per il grafico olandese. La ricerca della divisione regolare del piano attraverso figure che non siano quelle regolari della geometria euclidea da parte di Escher, significò, per l’artista, porsi il problema del pieno e del vuoto (v. Riempimento o Mosaico – Free Plane filling II, 1957). Ma è nella xilografia iniziata nel 1939 Metamorfosi II, che Escher risolve completamente il concetto di kringloop, ossia di “ciclo” riuscendo a proporre un fantastico viaggio fra le forme che si sviluppano in modo del tutto inaspettato e affascinante, ma poi tornano esattamente al punto iniziale, producendo un percorso visivo lungo circa quattro metri! La “cerniera” di congiunzione fra l’inizio e la fine di questo itinerario è costituita dalla parola olandese metamorphose che è praticamente identica a quella latina, calco della matrice greca la quale in tal modo, conferisce al termine anche una profondità temporale.

Galleria di stampe, 1956, litografia

Sono due i percorsi che Escher intreccia in questa litografia. Da una parte l’idea del quadro nel quadro, dall’altra, l’artista olandese vuole dar seguito alla sua deformazione che doveva portare un quadratino di 1 cm a moltiplicarsi per 256 volte, fino ai 2,56 m. Una crescita esponenziale, però, che mai sarebbe entrata nei 30 cm della sua stampa, ma della quale Escher poteva rappresentare l’avvio, lasciando intuire che la completa dilatazione si sarebbe espansa al di fuori del foglio. Infatti, quel che Escher aveva definito senza saperlo era la cosiddetta trasformazione conforme, come dimostreranno, solo nel 2003 però, il matematico olandese H. Lenstra e B. De Smit dell’Università di Leida.

Ma quali sono le “contaminazioni” nella sua arte con altre correnti novecentesche? Potremmo citare Samuel Jessurun de Mesquita (morto ad Auschwitz nel 1944), suo maestro e importante esponente dell’Art nouveau in Olanda, o trovarvi echi di Van Gogh, in particolare di Notte stellata in un’incisione come San Gimignano del 1922, o anticipazioni dei surrealisti e di Magritte. Per altro verso, opere della maturità come Casa di scale, Relatività, ma anche Stelle, obbliga ad allargare lo sguardo ad altre riserve culturali dalle quali Escher non può non aver attinto. E qui ci riferiamo alla passione per la pittura medievale e rinascimentale: molti dei personaggi che compaiono nelle sue opere sembrano provenire dall’universo artistico paradossale di Hieronymus Bosch.

La dedizione agli studi artistici, il piacere che traeva dalla lettura e dall’ascolto dei concerti d’organo, non riuscirono a placare una latente depressione, che costellerà la vicenda biografica dell’artista. Per mitigare il suo cupo temperamento e l’evidente disagio esistenziale, i genitori decisero, nella primavera del 1921, di intraprendere insieme a lui un viaggio in Italia, paese in cui resterà a più riprese fino al 1935. Anni di indispensabile tirocinio per la scoperta e padronanza delle tecniche incisorie, ma anche un serbatoio di esperienze, di studi e di incontri, che costituiranno una fonte primaria per le sperimentazioni linguistiche e per le invenzioni visive per cui è maggiormente conosciuto.

Già dalla seconda metà del XIX secolo la produzione grafica aveva trovato un’autonoma valorizzazione come manifestazione artistica. Non più strumento di “traduzione”, di diffusione e documentazione delle opere d’arte figurative, l’espressione grafica, nelle sue diverse tecniche, era più libera di rappresentare gli universi fantastici e visionari della creatività, spaziando dall’astrazione alla decorazione, dal primitivismo all’arcaismo, in particolare sintonia con il revival della xilografia, divenuta sempre più fertile terreno di innovazione. È questo il clima in cui Escher si trovò a operare e a confrontarsi. Nel 1919, incoraggiato dal maestro Jessurun de Mesquita, aveva iniziato la sua formazione nel disegno e nelle arti grafiche: la prima xilografia è di quell’anno. Con questa tecnica si intende l’incisione di immagini e a volte di brevi testi su tavolette di legno, in cui le matrici, successivamente inchiostrate e utilizzate per la realizzazione di più esemplari dello stesso soggetto, su carta e a volte su seta, vengono stampate con un torchio.

Nell’autunno del 1935, dopo un viaggio nelle amate terre del Meridione, Escher lasciò Roma (dove si era stabilito) e l’Italia per trasferirsi in Svizzera. La necessità di chiedere un permesso alla polizia per disegnare e dipingere in un luogo pubblico unita all’obbligo per i suoi figli di indossare le divise dei balilla e di partecipare alle sfilate resero ancor più insopportabile per l’artista l’atmosfera quotidiana vissuta sotto il regime fascista.

Nell’opera di Escher la simmetria, ovvero l’equilibrio armonico delle parti, sembra essere avvertita come regola che occorre, al tempo stesso, presupporre e parzialmente infrangere. E’ straordinaria la sua capacità di amplificare enormemente e decostruire le possibilità offerte dalle conformità di elementi ripetuti,“costrette” all’interno delle diciassette possibili strutture dei gruppi cristallografici piani (secondo la classificazione attribuita a E.S. Fedorov, cristallografo russo e a Schoenflies, matematico tedesco) insieme alla classificazione dei 230 gruppi cristallografici tridimensionali. In questa tensione verso l’esplorazione di nuovi universi, all’artista olandese appare in qualche modo limitante il contesto bidimensionale euclideo: ecco allora il suo interesse verso mondi geometrici iperbolici più sofisticati. Come sottolinea Bussagli, per comprendere al meglio il complesso mondo di Escher, però è necessario soffermarsi, anche brevemente sulle leggi di psicologia che regolano la visione secondo la Gestalttheorie. Con questa locuzione tedesca, che vuole dire letteralmente “teoria della forma”, si indica una corrente di studio della psicologia finalizzata all’analisi delle modalità con le quali il cervello umano e l’occhio, inteso come strumento della percezione, riescono a organizzare una visione coerente del mondo.

Nel 1958 Escher realizza la sua prima litografia dedicata alle costruzioni impossibili: Belvedere. La tecnica utilizzata in numerose opere dall’artista, è una riproduzione meccanica delle immagini, un procedimento inventato nel 1796 dal tedesco Alois Senefelder. Nell’opera in questione, un ragazzo ha in mano un cubo impossibile (noto come il “cubo di Necker” dal nome dello studioso di cristallografia svizzero L.N. Necker, 1832) e osserva perplesso questo oggetto assurdo. Pur avendo in mano gli elementi che gli permettono di notare che qualcosa non va, pare non accorgersi del fatto che l’intero Belvedere è progettato su quella stessa struttura. Un’altra delle stampe dette “impossibili” è Salita e discesa (1960), che rappresenta un complesso di case i cui abitanti, che paiono monaci, camminano in un percorso circolare fatto di scalini, in cui apparentemente tutto sembra a posto, ma osservando attentamente la figura, ci si accorge che i monaci compiono un percorso sempre in discesa o sempre in salita, lungo una scala impossibile, anche nota come scala infinita, un esempio di illusione ottica, descritta dai matematici inglesi Lionel e Roger Penrose in un articolo del 1958.

Una delle litografie più significative è probabilmente Su e giù (1947), nella quale l’artista rappresenta, utilizzando un punto di fuga relativo, dei fasci di linee parallele come linee curve e convergenti. Queste immagini così “innaturali” ricordano da vicino le attuali immagini virtuali che ritroviamo nelle grafiche al computer. Ma le opere di Escher sono celebri per aver suscitato le reazioni più inaspettate. È l’autore stesso a raccontare di una sua ammiratrice che, a proposito di Rettili, l’apostrofò complimentandosi per essere riuscito a esprimere in un disegno l’idea stessa della metempsicosi. Stupefatto l’artista, ringraziando, si limitò a dire: “Se lo dice lei…!”.

La sua arte è uscita dal torchio del suo studio e si è trasformata anche… in molto altro: scatole da regalo, francobolli, biglietti d’auguri, piastrelle per pavimenti, copertine di dischi (rifiutò però a Mick Jagger il permesso di utilizzare una delle sue opere in un long playing dei Rolling Stones), di libri e di riviste scientifiche. Si potrebbe quasi parlare di un “fenomeno Escher” oppure di una “Escher-mania”, dal momento che molte delle sue opere fanno ormai parte della nostra memoria visiva e del nostro bagaglio culturale. Ma non si tratta solo di compenetrazione di arte, scienza, filosofia ecc.., Escher è un artista che ha finito per confrontarsi con i temi dell’universo geometrico e numerologico, misurandosi con i concetti di spazio e d’infinito e, quindi, di tempo e di eternità, che sono alcuni dei misteri con i quali si commisura l’esistenza umana.