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Health wars or wealth wars?

La sanità è davvero insostenibile come sostiene Monti?

Non sono una novità i tagli al sistema sanitario nazionale e le cifre che rimbalzano sui principali quotidiani negli ultimi giorni: 35 mld di euro dal 2012 al 2015, somma dei provvedimenti del Governo Berlusconi prima, e del Governo Monti poi; oltre 7000 posti letto tagliati nel 2013. La vera novità, semmai, è l’outing dei Professori, evidente nelle parole del Premier Monti.

Dopo averci tanto girato attorno, finalmente ci siamo. L’SSN è un sistema destinato alla crisi, se continua ad essere così come è stato finora e non si elaborano soluzioni alternative. Il problema, a nostro parere, è come si intende questa necessità di riforma e come la si mette in pratica. Se infatti ci fermiamo a riflettere sul modello di politica adottato dall’attuale Governo individuiamo la tendenza a far precedere tagli lineari alla pianificazione di un reale progetto di riforma. È così che nascono le riforme dello stato sociale oggi: non proposte di avanzamento di un sistema inadeguato a svolgere il suo ruolo in una società in continua trasformazione, ma un meccanismo di adeguamento alle supposte necessità economiche dettate dalla crisi, e quindi dall’esigenza di ripagare un debito cresciuto nel seno della speculazione finanziaria e di un meccanismo perverso di accumulazione di profitti da un lato, e costante impoverimento dall’altro.

Uno schema già visto con il mondo della formazione: la 133, scure che si abbattè sull’istruzione pubblica a precedere la riforma Gelmini.

E qui torniamo al tema centrale: quale riforma? Il nostro SSN si fonda sul modello universalistico, che mira a fornire assistenza sanitaria a tutti gli individui che la necessitano. Questo approccio, il più conforme sulla carta a garantire equamente la sanità come bene comune inalienabile, è stato negli anni inquinato e gradualmente modificato. Ciò si è verificato da un lato per il parassitismo di giunte regionali, direzioni sanitarie e amministrative- spesso, peraltro, poltrone politiche – e dall’altro per l’ampio margine di profitto lasciato ai soggetti privati, mediante il sistema perverso delle convenzioni ,molto diffuso proprio nelle Regioni con maggior deficit , come Lazio e Lombardia. Le scelte politiche sono state orientate allo smantellamento del diritto alla salute più che a una programmazione mirata .

Ospedali periferici e di provincia chiudono, quelli che restano sono con forniture insufficienti a mandare avanti la vita di un reparto. I lavoratori e le lavoratrici sono costrette a scendere in strada per rivendicare i loro stipendi; il blocco del turnover del personale sanitario fa si che le realtà ospedaliere si reggano tutte sul lavoro precario -attraverso cooperative per il personale non medico, contratti a tempo determinato di 6 mesi per i medici – e sugli specializzandi, ovvero medici ancora in formazione che nei fatti gestiscono, in sostanza, la vita del reparto – con il risultato di svolgere un lavoro non riconosciuto e ricevere una formazione scarsa, perché abbandonati a loro stessi.

A fronte di uno scenario che impone una irrinunciabile trasformazione, Monti addita la necessità di nuove forme di finanziamento. Le proposte? Da quella del Ministro Balduzzi basata sull’introduzione di una nuova franchigia legata al reddito, fino ad un ruolo più preminente del sistema assicurativo, alludendo al modello americano. Entrambe, anche se per vie diverse, portano ad una radicale trasformazione del sistema sanitario – proprio nel momento in cui il modello americano ammette il suo fallimento e è costretto a reinventarsi. Quella di Balduzzi, in particolare, parla della costruzione di un sistema sanitario a due velocità, quello pubblico per gli indigenti, e quello privato per i ricchi. Non serve spiegare le conseguenze, in termini sociali, ma soprattutto in termini clinici e terapeutici.

Continuare a pensare, oggi, che tagli indiscriminati e riforme a costo zero possano essere la soluzione alla crisi italiana è fallimentare. Basta affacciarsi sul mediterraneo, per vederlo. In Grecia, ad esempio, il sistema sanitario è agonizzante. Reparti senza posti letto, ambulatori senza farmaci, molti territori senza ospedali o presidi sanitari. Le case farmaceutiche ritirano i loro farmaci, perché non pagate dallo Stato.

Scommettere, avere coraggio, è quello che ci serve. Rompere finalmente, e sul tema più importante, questa stanca logica del rigore. Investire ora, ed oggi, in misure di prevenzione, di informatizzazione e di educazione sanitaria è l’unica scelta politica lungimirante. Serve una grande riforma che restituisca agli ospedali il potere decisionale ed amministrativo, sino ad ora inquinato dalla politica, con una ristrutturazione radicale delle voci di spesa, degli sprechi (purtroppo ben presenti, se pensiamo al numero sproporzionato, ad es, di baroni che occupano cattedre e stipendi da medico-chirurgo senza operare mai o senza mai fare una visita). Ridurre i posti letto, nell’ottica però di un potenziamento dell’assistenza territoriale attraverso l’apertura – e non la chiusura! – di ambulatori polispecialistici che siano motori e interfaccia di una assistenza sanitaria diffusa e molecolare. Investire in progetti di ricerca che mettano al primo posto i bisogni di salute della popolazione e non gli interessi e le logiche di profitto delle case farmaceutiche. Instaurare un dialogo con il territorio, che renda partecipata anche dal cittadino la gestione del bene comune più importante, la salute. Noi non ci crediamo che per uscire dalla crisi si possa solo risparmiare, non sui nostri corpi.