EUROPA

Grecia: a futura memoria

Coming soon: ad Atene è andato in scena il trailer del film. Prendiamone atto e cerchiamo di costruire uno scenario alternativo per quando arriverà il turno nostro e degli altri pigs mediterranei.

Nelle stesse ore abbiamo avuto due svolte in crisi che tuttora restano aperte a esiti imprevedibili. Una, più immediatamente rilevante per l’Europa, ed è stato lo scontro fra UE e Grecia per quattro euri, l’altra, di maggior rilevanza mondiale ed economica, la provvisoria conclusione della trattativa viennese con l’Iran su atomica e sanzioni. Senza poter fare un vero confronto fra un paese popoloso, ricco di petrolio e gas, sostenuto da una millenaria vocazione imperiale e da un’identità religiosa profetica, e il più piccolo, povero e recente Stato mediterraneo, qualche considerazioni sulle strategie adottate dalle parti in causa è tuttavia possibile.

Ci saranno di sicuro altri sviluppi del colpo di stato che le istituzioni finanziarie e tecnocratiche europee hanno compiuto in Grecia e che richiede ancora aggiustamenti e probabili implementazioni negative, ma è tempo di pensare al futuro, cioè alla situazione irreversibile che si è creata con questi fatti e nella cui cornice immaginare tutti i prossimi eventi. Impariamo la lezione senza troppo recriminare e senza fare sciacallaggio sugli avanzi già spolpati dagli avvoltoi della troika. Quindi, più che discettare sulle mosse di Tsipras, vediamo di ricavare qualche elemento per una strategia applicabile in altri paesi a media scadenza –visto che prima o poi ci toccherà.

In Europa contano soltanto i rapporti di forza e questi hanno un presupposto economico, la fanatica ideologia ordoliberale: in pari misura legittimazione locale di un meccanismo finanziario globale e assunto teologico, che si fa valere anche in presenza di diseconomie parziali. Il problema non è solo quello di accrescere i profitti o di subordinarli a un dispositivo di rendita estrattiva (l’aumento dell’Iva è recessivo, riduce le possibilità dei creditori di rientrare nei loro soldi), ma di punire il reprobo, di dare un esempio che scoraggi le eresie. Ciò appare più chiaramente nelle misure di basso impatto che in quelle più incisive: a cosa cazzo serviranno, in termini macroeconomici, le aperture domenicali dei negozi o il ripristino di qualche migliaio di licenziamenti? Hanno lo stesso valore simbolico-intimidatorio di un’abiura pubblica o del sambenito e del cappello conico in un auto de fe. Lo stesso FMI, che riflette le posizioni più flessibili di Obama, ha deplorato l’ostinazione tedesco-Ue di non voler intaccare il peso e la durata del debito, interpretando il desiderio dei creditori di recuperare qualcosa e non di umiliare il debitore.

Se le cose stanno così, allora l’implacabile logica europea consiste nello stroncare ogni dissidenza di sinistra – minacciosa per l’ordine neo-liberale, i buoni affari e per la tenuta dei socialisti europei –, nel commissariare governi e parlamenti fuori squadra, costringere ogni più timida protesta a desistere preventivamente dal manifestarsi. Syriza e il suo governo erano l’obbiettivo ideale: l’unico caso di una coalizione larga e fragile che si avvicinava alla soglia magica del 40% di consensi (consideriamo che Podemos è accreditato al massimo di un 20% e delle frattaglie italiane neppure parliamo) e che però, messa alle strette, poteva facilmente essere scomposta tra frazioni più o meno radicali. Il resto si trova in ogni manuale della Cia sull’organizzazione di golpe nel cortile di casa. Nella “civile” Europa bastano i mezzi economici, senza escludere un eventuale e sgradevole enforcement –in Ucraina si è già reso necessario, basta parlarne poco. Nell’ex Jugoslavia aveva funzionato il massacro per franchising, con minimo supporto aereo. Il colpo di stato disciplinare ha il vantaggio di esigere il protratto consenso della vittima senza mai che le si conceda assoluzione o perdono, Kafka è più funzionale di Torquemada.

Concentrazione verticale del potere nella Germania, maniere soffici con l’infido alleato francese, indifferenza verso Spagna e Italia, tutti gli altri ridotti a protettorati, zelanti o riluttanti. Non solo l’euro è una moneta tedesca ma si delinea la tentazione di un doppio euro come soluzione stabilizzatrice per evitare crisi e salvataggi a ripetizione. Qualsiasi futura battaglia deve giocare d’anticipo in un quadro dove c’è rimasto ben poco da salvare, dove l’elemento destrutturante e destituente deve al momento prevalere su ogni abbaglio di uso degli imperfetti strumenti “costituzionali” esistenti.

Una volta capito il gioco, occorre uscire dalla sterile alternativa in cui finora ci siamo baloccati: uscire dall’euro o difendere l’euro per principio. Dobbiamo invece avviare un discorso sulle alternative monetarie per non arrivare impreparati a una cacciata dall’euro o all’imposizione dall’alto di un sistema monetario a due velocità: si tratta di anticipare, per costrizione, una scelta in cui rischiamo di incorrere assai presto per espansione irresistibile della logica che ha portato all’attuale soluzione della crisi greca. Ciò significa, oltre a ogni forma auspicabile di estensione internazionale delle lotte contro l’austerità e di protesta contro la tracotanza dei Cavalieri Teutonici, rifiutare qualsiasi ulteriore cessione di sovranità su economia e legislazione e lanciare una campagna per eliminare dalla nostra Costituzione l’obbligo, assunto troppo alla leggera, del pareggio di bilancio e per disattivare il fiscal compact. Si impone soprattutto – e non a livello di semplice gioco di ruolo – una seria riflessione sulla costruzione di un circuito monetario a livello (anche parzialmente) europeo, in alternativa all’euro tedesco e al ritorno populista alle monete nazionali in reciproca concorrenza svalutativa. Chi ama la giustizia – diceva un buon tedesco nei giorni in cui stava al potere un cattivo tedesco – per prima cosa quando entra in una casa deve calcolare se ha più di una via di uscita. Ripetiamo le considerazioni del brechtiano Herr K(euner) nella splendida lingua degli ottusi padroni di oggi: «Ich bin für die Gerechtigkeit; da ist es gut, wenn meine Wohnung mehr als einen Ausgang hat».

Nessun rimpianto sovranista, dunque, nessuna illusione salvifica in dissociazioni monetarie, ma semplice tutela contro il galoppante commissariamento dello stato sociale, della contrattazione collettiva e del sistema sanitario e pensionistico. Con la prospettiva di una ricostruzione federativa dell’Europa, di poteri popolari diffusi contro la verticalizzazione della governance. Prima o poi la volontà popolare dovrà manifestarsi nel voto: il mantra che pure i governi europei sono legittimamente eletti, non solo quello Tsipras, vale per tutti, tranne che per il nostro: Renzi non si è mai sottoposto a una verifica su un programma, né in una logica personalistico-plebiscitaria né seguendo la lettera del vigente regime parlamentare, sostenuto com’è da una maggioranza abusiva e prezzolata.

Abbiamo già le forze e le idee chiare per un programma del genere? Assolutamente no! Abbiano uno straccio di formazione politica che potrebbe sin da adesso svolgervi un ruolo? Ancor meno! E tuttavia sarebbe folle non mettere all’ordine del giorno queste sfide ambiziose, se non vogliano ridurci fra pochi mesi al dilemma fra Grillo e Salvini.