ROMA

Giù le mani dal mercato di Piazza Vittorio

Lunedì 31 ottobre la Asl ha messo i sigilli allo storico mercato romano di Piazza Vittorio: causa del provvedimento, le presunte carenze igieniche dello spazio. Che ha tolto a Roma uno dei pezzi di storia e di vita più belli e popolari della città

Roma. Il mercato di piazza Vittorio chiude per carenze igieniche. Perché esiste ancora? Non è morto quel giorno di settembre del 2001, il 15 quando è stato trasferito? Sono preciso, perché l’anno me lo ricordo bene, è quello di Genova. Nel luglio ero passato a comprare un paio di limoni. Non conoscevo i mercati di quella città dove stavo andando. Sapevo che, certo, portarmi appresso un paio di quegli agrumi mi avrebbe fatto comodo. Quel mercato, ancora una maledetta coincidenza, a settembre è stato trasferito in una caserma. Per un po’ non è stato più la stessa cosa. Soprattutto per i primi anni. Risultava difficile prendere le nuove misure anche perché era completamente cambiato il senso di percorrenza. Prima dovevi girare intorno a un anello. Ora devi attraversare padiglioni. Entrare ed uscire. Non è la stessa cosa.

Piazza Vittorio è stata da sempre la “pancia “della città dove quello che desideravi mangiare ti veniva offerto senza alcuna mediazione. Lo vedevi, se potevi lo compravi, te lo incartavano e via. Poi, poco prima della chiusura, nessuno dei venditori si portava a casa gli avanzi e li lasciava sui banchi. Potevi prendere quello che ti serviva. Erano in molti, tra i più poveri, a venire a mangiare all’ora di chiusura. Una fila simmetrica di bancarelle circondava il giardino, quello della “porta magica”, quello da dove iniziava la via Tiburtina per andarsene poi attraverso San Lorenzo a perdersi sui monti. Ma tu di seguire quella strada non avevi voglia, al massimo se pioveva ti potevi mettere sotto i portici e farti una ragione di quello strano spazio tipologico aperto/chiuso che solo lì potevi trovare.

Perché a piazza Vittorio, al mercato di Piazza Vittorio, ci andavi anche solo per vedere quello che c’era, anche se non dovevi comprare nulla. Il sabato mattina era come andare a uno spettacolo, arrivava di tutto e da qualche tempo si vedevano strani frutti, strane verdure, strane spezie portate da nuovi venditori.. Come resistere? Sapevi andando avanti che, lì in banchi più o meno ordinati, potevi spuntare dalla tua lista quello che ti serviva. Il pesce lo trovavi nel lato verso la stazione, poi saltando i fiorai, gettavi un occhio agli animali e magari capitava che, anche se non l’avevi minimamente messo in conto, tornavi a casa dando la mano a tua figlia che stringeva un pulcino od un coniglio…

Quando l’hanno chiuso, dopo aver fatto mettere le mani sul giardino a un gruppo di architetti e introdurre cemento in uno degli spazi verdi su cui fino ad allora si erano posate le bucature delle ombre delle architetture piemontesi all’intorno, hanno detto che così si doveva fare. Una questione d’igiene. Il mercato veniva nascosto in una caserma, il quartiere doveva essere “rigenerato”. Mercato al chiuso, una sua parte a mezzadria con un pezzo dell’università, un nuovo scintillante albergo con piscina sul tetto. Tutto pronto per l’arrivo dei nuovi abitanti. Non certo quelli che lavoravano al mercato. Il sabato mattina ancora molti, complice la metropolitana, arrivano a fare la spesa, anche da molto lontano, al mercato di Piazza Vittorio. Tutti lo chiamano ancora così anche se non è sulla piazza. Qui i prezzi sono più bassi ed anche se è vietatissimo vendere animali, sono in molti a venire a fare i conti con questa che è ora la “pancia” del mondo, il mercato della Roma meticcia.

Per alcune “disattenzioni” igieniche , (ma chi avrebbe dovuto sistemarle, gli operatori, il Comune?) si vorrebbe chiudere ora questo spazio per farlo diventare, come dice la Presidente del I municipio, “un gioiello come quello di Testaccio”. Quello attanagliato nello stesso blocco da uffici, da un albergo, da ristoranti… ? Una sorta di centro commerciale. Che il ricorso a una presunta campagna d’igiene voglia preludere proprio a questo? A trasformare la pancia in un asettico contenitore dove mettere sotto vuoto spinto i sapori e i relativi saperi del mondo che li producono? A immiserire le relazioni che quotidianamente si producono tra venditore ed acquirente, la trasmissione di rispettive conoscenze e competenze, da ricondurre al semplice rapporto domanda-scontrino? Del resto lo stesso Jean Claude Izzo che a proposito di mercati diceva “ovunque vada in qualsiasi città del mondo, la prima cosa che faccio è andare al mercato. Per sentire la città. L’ebrezza del vivere si inventava qui. Si reinventa senza sosta nei mercati” ci avvertiva che “sono amori segreti quelli che condividiamo con la città”. Non sarà l’offerta di nessun gioiello a impedirci di praticare e sviluppare questo nostro amore che ci porta giorno dopo giorno alla scoperta del mondo.