editoriale

Fine ottobre 1867: la battaglia di Mentana

Tento una commemorazione. Centocinquanta anni fa, in questi giorni di fine ottobre e fino almeno ai primi giorni di novembre, fino alla sanguinosa sconfitta subita da Garibaldi a Mentana, Roma insorge contro il potere temporale dei papi.

Un tentativo disperato di parte popolare e repubblicana che naufraga contro le soverchie forze pontificie, capaci ancora di difendere la città dal “nemico interno”, e di respingere ogni attacco proveniente dall’esterno. Una rivoluzione dimenticata, di cui pochi storici per esempio, riconoscono la vera portata, sbrigativamente ricordata per le decapitazioni di Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti e soprattutto per l’efficienza degli chassepot francesi impiegati contro i garibaldini. Sarebbe ora che sull’insurrezione romana dell’autunno ’67 si facesse chiarezza: si sollevasse soprattutto la cappa di giudizi negativi (“la plebe romana non si mosse”) fatta calare su di essa da scrittori garibaldini come Felice Cavallotti e Anton Giulio Barrili che si affrettarono a giustificare in questo modo i ripetuti errori di Garibaldi nella condotta del corpo di spedizione che doveva prendere la capitale: errori che portarono, appunto, alla sopraccitata sconfitta di Mentana.

A Roma, e in tutti i paesi dello Stato pontificio, dai Castelli al Viterbese e al Frusinate, vera insurrezione ci fu, lungo un arco di tempo che va dal 22 ottobre (la mina sotto la caserma Serristori, che fa strage di zuavi pontifici) almeno al 3 novembre: e con larga partecipazione di popolo, come dimostrano i numerosi processi tenutisi di fronte alla Sacra Consulta, con un numero complessivo di imputati e di condanne veramente impressionante. Il tentato assalto al Campidoglio, la battaglia di Porta San Paolo, lo scontro di Vigna Matteini, l’imboscata di Villa Glori al piccolo distaccamento dei fratelli Cairoli, la furibonda battaglia del Lanificio Ajani furono episodi di non poco conto tanto sul piano militare quanto sul piano politico.

Ricordo qui alcuni particolari di quest’ultimo episodio. Ad assalire l’edificio di via della Lungaretta fu un intero distaccamento di zuavi, coadiuvati da un certo numero di “zampitti” della milizia pontificia: circa 300 uomini in tutto, con due pezzi d’artiglieria. I morti furono almeno 13. Due feriti morirono nei giorni successivi. Sembra che Giuditta Tavani Arquati, anima insieme al marito della cellula operaia che operava nel lanificio e che si preparava a insorgere, sia stata catturata viva e poi uccisa a baionettate: era incinta all’ottavo mese. Della sua famiglia, si salvarono solo due bambine. Ancora un dato storico: le condanne a morte e le decapitazioni per tali episodi furono almeno tre: oltre ai succitati Monti e Tognetti, si ha notizia che a Rocca di Papa fu decapitato anche il calzolaio Francesco Martini, reo dell’omicidio “per spirito di parte” di un compaesano. La condanna fu eseguita il 14 luglio del 1869. Quando già Cavallotti e Barrili avevano scritto e pubblicato i loro sommari giudizi sulla “plebe romana”, senza nulla sapere del povero castellano, a causa anche di ciò completamente dimenticato dalla storia. Un’ultima nota personale: è memoria della mia famiglia che il mio bisnonno Pacifico sia stato in qualche modo tra gli insorti, e che ricercato dalla polizia pontificia, si sia rifugiato all’Aquila, dove si sposò ed ebbe dieci figli, tra cui mio nonno Alberto.

Vale la pena di citare come direttamente legato a tali eventi il film di Luigi Magni, In nome del Papa Re del 1977.