SPORT

Febbre a 90 – 6a puntata

La rubrica su calcio e dintorni di DinamoPress

La giornata di seria A, calcio e violenza in Europa, pallone e Palestina.

Il campionato di serie A si avvia al giro di boa con la Juventus sempre saldamente al comando della classifica, come ormai avviene da inizio stagione.

L’armata bianconera, che pure ha perso due delle 17 gare finora disputate, è addirittura in vantaggio di 4 punti rispetto alla sua classifica dello scorso anno allo stesso punto del campionato. Classifica che alla voce sconfitte segnava il numero zero (un percorso netto che verrà mantenuto fino a fine stagione). Il 3-0 contro l’Atalanta, maturato durante la prima mezzora di gioco, è l’ultimo di una lunga serie di netti successi con cui la squadra di Conte sta di fatto uccidendo il campionato con un intero girone di anticipo.

Le concomitanti sconfitte delle due più dirette inseguitrici, Inter e Napoli, permettono alla Juventus di aggiudicarsi il titolo di campione d’inverno con 2 giornate d’anticipo, essendo 7 i punti che la separano dalla seconda in classifica. E’ un abisso che difficilmente potrà essere colmato a termine campionato dalle avversarie più accreditate di inizio stagione. La Lazio di Klose e la Fiorentina di Toni ne approfittano per accorciare le distanze dal secondo posto e si riportano nel gruppone delle pretendenti al resto del podio del campionato. Aggancio fallito dalla Roma che dopo 4 vittorie consecutive viene fermata a Verona dal Chievo: i gialloblu intascano la vittoria con un gol del solito Pellissier allo scadere.

Nel weekend dell’assurda, sconvolgente strage di Newtown, ci piace pensare che il saluto di Klose a ciascuno dei bambini presenti nel tunnel di uscita dell’Olimpico, negli attimi prima della gara tra Lazio e Inter, ed immortalato dalle telecamere delle dirette tv, non sia stato casuale. Ci piace pensarlo o forse illuderci, ma di sicuro c’è che il campione tedesco, il vero marziano di Roma, si è sempre contraddistinto per il suo stile e per i suoi comportamenti da uomo di sport esemplare sia in campo che fuori.

I bambini e la violenza nel calcio sono i protagonisti di questa puntata di Febbre a 90, per alcuni episodi capitati durante l’ultimo mese che meritano di essere raccontati. Il primo arriva dall’Olanda, e risale a qualche settimana fa: durante una partita di calcio giovanile un dirigente di una squadra è stato picchiato a morte da alcuni ragazzi appartenenti alla squadra rivale. Richard Nieuwenhuizen di 41 anni, aggredito a fine partita davanti al figlio, anche lui calciatore e impegnato nel match che il dirigente stava seguendo nelle vesti di guardalinee, è morto in seguito a un malore alcune ore dopo il pestaggio. I ragazzi responsabili dell’aggressione mortale, arrestati subito dopo i tragici fatti, sono tutti compresi tra i 15 e i 16 anni: li attende un processo per omicidio colposo aggravato.

Dall’Olanda all’Inghilterra, dove continuano a fioccare i provvedimenti giudiziari successivi ai fatti del recente derby di Manchester. La mano lunga della polizia è arrivata anche su Twitter, luogo in cui un 15enne tifoso del City ha insultato con epiteti razzisti alcuni giocatori dello Utd. Il ragazzo è stato addirittura arrestato per qualche ora, e poi rilasciato dopo l’interrogatorio di garanzia. Altri nove sostenitori dei biancocelesti di Manchester compariranno davanti al giudice nel prossimo gennaio, dopo gli arresti convalidati in settimana dalla giustizia britannica, per rispondere della loro condotta durante l’infuocato finale del derby della scorsa settimana. Per loro l’unica cosa certa, al momento, è che i cancelli dello stadio resteranno chiusi a vita.

L’illusione di cui si parlava sopra, a proposito di Klose e dei suoi atteggiamenti in campo e fuori, è che il calcio possa a volte davvero costituire un esempio da seguire per le nuove generazioni. A giudicare dagli episodi citati si direbbe di no, eppure il calcio resta lo sport più adatto per promuovere i valori della solidarietà ed uguaglianza. Non parliamo della retorica posticcia costruita attorno ad esso, ma proprio della sua natura più intima: primo, perché si gioca con i piedi ed è indifferente se sei alto, basso, tarchiato, slanciato, longilineo, brevilineo, o tantomeno bello, brutto, bianco o nero per farlo al meglio. Secondo, perché è il suo gesto tecnico più elementare ma anche più importante, il passaggio, a renderlo perfetto allo scopo. Perché il passaggio, per chi pratica, è la prima cosa che si impara, perché il passaggio per chi lo fa (mi fido di te) e per chi lo riceve (ho la fiducia del mio compagno) crea significati universali, gratifica l’un l’altro, rafforza il senso di appartenenza, indica che la strada non è l’individualismo ma la cooperazione.

Il calcio odierno, invece, per motivi esclusivamente mediatici, è sempre alla ricerca dell’uomo immagine, del gesto individuale da imporre all’attenzione immediata, quasi che l’essere sport di squadra complesso e imprevedibile allo stesso tempo non possa essere sufficiente alla sua autopromozione. Chi gioca a calcio sa che non è così, o forse se l’è dimenticato, e non riesce più a insegnarlo alle nuove generazioni. Non sappiamo se quelli appena citati siano i risultati della spettacolarizzazione del calcio, e se la grandissima specializzazione collettiva che ha raggiunto oggi il calcio moderno sia semplicemente troppo complessa per essere apprezzata dal grande pubblico. Quello che sappiamo è che la bellezza di un’azione che porta al gol, la maggior parte delle volte è più bella del gol stesso. E forse sarebbe il caso di ripartire da qui, quando si insegna calcio o anche soltanto quando lo si mostra.

L’ultima storia di violenza contro dei ragazzi arriva dalla striscia di Gaza, dove i bombardamenti dell’ultimo mese da parte di Israele hanno colpito, il 10 novembre scorso, lo stadio della zona palestinese, mentre era in svolgimento un incontro giovanile. Quattro calciatori minorenni, dai 16 ai 17 anni, sono morti in seguito alle esplosioni, il tutto nel più completo silenzio della comunità internazionale e del mondo dello sport. O quasi. Sì perché alcuni appartenenti alla FIFPro, una sorta di sindacato internazionale dei calciatori professionisti di tutto il mondo, a cui è affiliata anche la nostra Aic (Associazione Italiana Calciatori) diretta da Damiano Tommasi, hanno emesso un duro comunicato di condanna per l’assedio alla striscia di Gaza e di solidarietà alla popolazione palestinese.

Nel ricordare le bombe sullo stadio che hanno causato la morte dei giovani calciatori palestinesi, il comunicato chiude con una presa di posizione molto esplicita nei confronti dell’Uefa che proprio di recente ha assegnato l’organizzazione della fase conclusiva dell’europeo Under 21 alla Federazione israeliana: assegnazione che “sarà vista come una ricompensa per azioni che sono contrarie ai valori dello sport”.

Il comunicato è firmato da una cinquantina di professionisti, provenienti da squadre di tutti i campionati più importanti d’Europa e del mondo, tra cui spiccano i nomi di Drogba, Kanoute, Hazard, Diaby, l’ex Roma Menez e l’ex Juve Sissoko. Tra di loro il misconosciuto Abdoulaye Baldé, dell’AC Lumezzane, squadra di prima Divisione Lega Pro girone A. E’ l’unico giocatore tra i firmatari a militare in una squadra italiana. A lui il nostro personalissimo Pallone d’Oro di stagione, al carrozzone mediatico l’augurio che il 2013 veda finalmente l’informazione calcistica veleggiare in mare aperto, per esempio sottolineando coraggiosamente esempi come quello di Baldè, anziché inseguire i flatulenti gas di scarico della corrazzata calcistica italiana, un’imbarcazione alla deriva, tra partite inguardabili, scandali di cartone, stadi vuoti ed eroi finti, sugli spalti e dentro il rettangolo verde.

Il comunicato tratto dal sito ufficiale di Omar Kanoute, uno dei firmatari dell’appello a favore della popolazione di Gaza