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Febbre a 90 – 20a puntata

La rubrica di calcio e dintorni di DinamoPress

Il campionato corre verso il suo epilogo, con la Juventus che si appresta a laurearsi campione d’Italia per la seconda volta consecutiva dopo i risultati della 32sima giornata di campionato, che le permettono di aumentare il vantaggio sulla seconda in classifica, il Napoli, e portarsi a 11 punti di distacco sui 18 ancora disponibili.

La sfida che la vedeva opposta all’altra delusa europea della settimana, la Lazio, con la quale aveva condiviso l’eliminazione ai quarti di finale della rispettiva competizione di appartenenza, non ha avuto storia fin dai primi minuti di gioco. Troppo superiori i bianconeri di Conte che chiudono la pratica nella prima mezzora con una doppietta di Vidal, e si limitano a controllare senza dilagare per il resto della partita.

La Lazio, che dalla sua lamentava un numero incredibile di assenze tra infortuni e squalifiche, nulla ha potuto di fronte lo strapotere della Juventus, e le speranze flebili di Milan e Napoli, che dopo il pareggio inutile per ambedue nello scontro diretto di domenica sera, si sono infrante subito dopo il raddoppio del cileno a ridosso del 30simo del primo tempo.

Nel frattempo, proprio ieri sera è arrivato il nome della finalista che contenderà alla Lazio, qualificata da gennaio, la Coppa italia 2013: come da pronostico è stata la Roma a passare il turno, grazie al 3-2 corsaro con cui ha dominato l’Inter e che bissa il successo per 2-1 dell’andata.

Mentre scriviamo, ancora non è dato sapere giorno e ora in cui si svolgerà la gara. I gravi incidenti scoppiati prima del derby di ritorno di un paio di settimane fa, stanno facendo riflettere istituzioni politiche e sportive su quale sia la soluzione migliore per disputare la finale in sicurezza e senza rinunciare al prevedibile ritorno economico relativo alla vendita dei biglietti ma soprattutto dei diritti tv. Cosa, quest’ultima, molto a rischio, se come si sente proporre in giro, la partita verrà disputata in un pomeriggio infrasettimanale. Ma d’altronde, il problema prima o poi doveva arrivare a galla. Il sistema calcio in Italia non ha mai saputo interrogarsi davvero su cosa sia diventato il fenomeno ultras negli ultimi anni, convinti che bastava una legge, una tessera e degli stupidi provvedimenti repressivi a tappeto, ad arginare il fenomeno.

Togliere sempre più gente dagli stadi, grazie al fioccare di Daspo, nella convinzione che basti il mero potere di deterrenza a fermare gli ultras è come pensare di bloccare uno tsunami con una diga di sabbia costruita a 100 km di distanza dalle coste.

Gli incidenti più gravi degli ultimi anni, al derby come altrove in Italia, sono avvenuti non direttamente dentro lo stadio ma sempre regolarmente fuori, anche a chilometri di distanza dagli impianti. Basterebbe aprire gli occhi e constatare la realtà per capire che la strada intrapresa non porterà da nessuna parte, e invece si continua a chiacchierare a vuoto.

Le Curve ormai sono vuoti simulacri di quello che fu un vero e proprio movimento nato dal basso, quello ultras, una massa realmente critica che, pur in tutte le sue contraddizioni, di facciata e politiche, seppe individuare con anni di anticipo ciò che sarebbe diventato il neocalcio in Italia e nel resto dell’Europa.

I gruppi Ultras in molti casi, e a Roma specialmente, col passare del tempo si sono trasformati in consorterie di affari e in sterili serbatoi del consenso orientato alla destra antisistema: questo appiattimento del senso critico, ha trasformato la mentalità ultras in un contenitore vuoto e senza altri aneliti che non siano quelli della sua autoconservazione in vita grazie unicamente al potere di ricatto nei confronti delle società, che dal canto loro non sono mai riuscite a sottrarsi a quest’abbraccio mefitico.

L’omertà con cui molto spesso le vicende da stadio vengono trattate dagli organi di stampa, che da una parte indugiano su un paio di cori di una curva e dall’altra chiamano semplici puncicate gli odiosi agguati a colpi di lama a cui abbiamo assistito a decine durante il prepartita dell’ultimo Roma Lazio, permettono al fenomeno di continuare indisturbato, in un brodo di coltura infetto e saturo di odio, di rabbia, di desiderio di vendetta, quasi quotidianamente instillato da radio e forum in una misura davvero abnorme, situazione che non trova mai spazio nelle dotte analisi del fenomeno del tifo che ascoltiamo in bocca a sedicenti sociologi nel calduccio di casa loro. Una situazione in cui a decidere gli ingredienti sembra essere sempre più una certa destra che, non trovando più sbocco nelle strade di una città come Roma, nel pieno di una crisi economica e sociale senza precedenti, tenta la carta ultras, portando la sua pratica antisistema non nelle piazze di studenti, precari, disoccupati, ma in quelle piene di ultras irrequieti e violenti, meglio se colpiti da Daspo e quindi ancora più incattiviti. Togliere dallo stadio questa gente, a cosa serve? Qual è la speranza? Che costoro se ne stiano a vedere la partita a casa davanti la tv? Non si spiega proprio, su che razza di basi logiche poggi una politica repressiva del genere…

Un brodo in cui sembrano sguazzare anche i presidenti delle società, che colgono la palla al balzo per gridare all’impossibilità di intervento e all’irreversibilità della propria mancanza di competitività al cospetto del resto dell’Europa, se non attraverso un impianto di proprietà che porterebbe la tanto agognata sicurezza negli stadi e una ricapitalizzazione necessaria per coprire il gap con le rivali estere. Nonché la solita colata di cemento inutile, in cui gli oneri sono a carico dei contribuenti e gli onori a favore dei presidenti.

Non c’è dunque da sperare che la partita con cui si deciderà la Coppa Italia si svolgerà in un clima circoscritto alla sola rivalità campanilistica. La città blindata e magari qualche Daspo preventivo, non servirà a fermare gli incidenti. Si spera solo di non dover piangere qualcuno, stavolta. E di non assistere all’insostenibile fiume di lacrime di coccodrillo da parte di chi ha tutte le possibilità per comprendere il fenomeno ma si è sempre girato da un’altra parte.