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Febbre a 90 – 11a puntata

La rubrica di calcio e dintorni di DinamoPress.

“Vergogna” sembra essere la parola chiave per descrivere gli eventi legati alle recenti giornate di campionato e in particolare quest’ultima, dove la Juventus, che dopo la vittoria convincente contro l’Udinese sembrava in ripresa della marcia perduta con l’inizio 2013, deve nuovamente fare attenzione agli specchietti retrovisori. Una situazione di grande nervosismo, in casa bianconera, dopo il terzo stop casalingo su quattro incontri disputati nel nuovo anno, immortalata dalla corsa all’insulto da parte di Conte nei confronti dell’arbitro, reo di non aver concesso un rigore ai bianconeri per un mani abbastanza macroscopico di un avversario proprio allo scadere.

Juventus che, dopo il pareggio in Coppa Italia contro la Lazio e la sconfitta clamorosa contro la Samp, è costretta al pari da un Genoa inaspettato, giunto a Torino nel pieno di una crisi profonda di risultati e di una classifica da brividi che in settimana aveva portato al secondo cambio di allenatore da inizio stagione.

La parola “vergogna”, dicevamo: quella urlata dall’allenatore della Juventus all’arbitro Guida, una reazione scomposta che fa il paio con quella più moderata ma ugualmente veemente del dopo semifinale di Coppa Italia, in cui aveva parlato senza troppi giri di parole di furto subìto dopo il rigore invocato da Vucinic sul finale e non concesso dall’arbitro.

Un Conte senza freni, quello delle ultime settimane, capace di tuonare senza inibizioni contro qualsiasi cosa gli sembri danneggiare artificiosamente la sua squadra. E poco importa se contro la Lazio la sua squadra va in vantaggio con un intervento irregolare dell’autore del gol ai danni del suo avversario diretto; poco importa se anche il Genoa può reclamare un rigore non concesso, per un fallo di mano, in questo caso sì, volontario, da parte di un suo giocatore durante il primo tempo.

Un atteggiamento di arroganza senza mezze misure, quello ostentato da Conte negli ultimi tempi, al quale fa chiaramente da sponda la società, quasi che la Juventus, passati gli ultimi anni ad espiare le responsabilità per Calciopoli, senta irresistibile l’urgenza di ristabilire le gerarchie di fine XX secolo con ogni mezzo necessario.

Non gli basta essere al comando del campionato da inizio stagione e con lo scudetto cucito in petto, aver passato il turno di CL come prima classificata ed essere tra le più attive società in europa in questa finestra di calciomercato. No, la Juventus vuole dominare in maniera esplicita e riconosciuta, sembra dire Conte quando rincorre l’arbitro urlandogli in faccia “vergogna!”.

Un arbitro napoletano, dirà poi Marotta, ds bianconero, alludendo ovviamente alla corsa scudetto che grazie al passo falso juventino vede nuovamente il Napoli a stretto contatto dopo la vittoria di Parma.

Ma anche una frase indirettamente vergognosa, tanto per rimanere in tema, perché arriva dopo una serie di atti pesantissimi, sottoforma di striscioni e cori razzisti anti napoletani, che una frangia di tifosi bianconeri quotidianamente mette in mostra durante le gare casalinghe. Forse sarebbe il caso di pesare un po’ meglio le parole, visto che quando si tratta di condannare questo tipo di manifestazioni, le parole della società bianconera si fanno invece molto ambigue e sfumate.

Alla Juventus fino ad oggi è andata bene, solo multe e diffide, in uno stadio per giunta di proprietà, e quindi con una responsabilità diretta, ben più grave di chi lo stadio lo utilizza in affitto pagando le spese agli enti proprietari, che siano comuni o Coni.

Meno bene è andata alla Lazio, dopo la sentenza Uefa che l’ha condannata a disputare un match continentale a porte chiuse (pena sospesa con la condizionale ma attivabile al primo referto negativo): un marchio ufficiale di tifoseria razzista ormai certificato anche dalla più importante organizzazione calcistica europea che però sta stretto alla sua maggioranza di tifosi, ostaggi in casa propria di un gruppo organizzato di esaltati nostalgici senza controllo, che si comportano come se in uno stadio vigesse la sospensione dello stato di diritto.

I referti dei giudici sportivi riguardo le decisioni disciplinari attuate contro la Lazio sempre più spesso recitano: pena attenuata per chiare espressioni di dissenso degli altri tifosi presenti allo stadio. Fischi, in altre parole, che il resto dei tifosi laziali rivolge sempre più spesso agli autori di cori antisemiti e di ululati razzisti, che infatti stanno progressivamente scomparendo all’Olimpico, malgrado la tenacia arroganza della minoranza sopra citata.

Colpire con provvedimenti trancianti l’intera tifoseria, che si sta impegnando in una battaglia di civiltà contro i rigurgiti razzisti, non ci pare proprio una grande mossa strategica.

Del resto, mentre altrove il fenomeno del razzismo e della violenza negli stadi viene controllato attraverso una serie di provvedimenti specifici contro i singoli responsabili del gesto offensivo, in Italia c’è la corsa a scaricare la responsabilità. Cosa da una parte anche comprensibile, dal punto di vista delle società: l’ululato, ad esempio, è una manifestazione di discriminazione razziale prevista dal codice penale, un reato in altre parole. Le società, in casi del genere, vorrebbero che si intervenga con gli strumenti penali ordinari, così come avviene in tutti gli altri paesi europei. Dimenticando, però, che anche una presa di posizione chiara e continuativa potrebbe contribuire a cambiare una cultura sportiva alla deriva.

Ma dall’altra, per tornare a Marotta, sarebbe auspicabile un minimo di autocontrollo quando si usano certe parole, anche se magari la collera è tanta e si fa fatica a contenerla. Perché la Juve quello che ha subìto la Lazio per colpa di un manipolo di deficienti, non lo ha ancora subìto, e di fischi dal resto dello stadio non se ne parla proprio. Per non parlare altrove in Italia, in cui la situazione è più o meno la stessa di Torino, vergogne razziste messe in pratica da sedicenti tifosi che egemonizzano gli stadi nella più totale indifferenza e apatia da parte degli altri tifosi,i istituzioni, media e società calcistiche.

Queste ultime, nel weekend in cui è stato celebrato il giorno della Memoria, dovrebbero interrogarsi se non sia il caso di riflettere sul termine “vergogna”: perché la vera imperdonabile vergogna di questo calcio italiano è di non uscire da questo territorio ambiguo e indefinito, che provoca legittimi dubbi sui livelli di connivenza e sui rapporti di forza in atto, basati quando va bene sul semplice quieto vivere, quando va male su dialettiche inspiegabili con frange di tifo esplicitamente legate ad un’estrema destra che sempre più prende coraggio in questo periodo di gravissima crisi economica e di altrettanto pronunciata emergenza sociale.

Un calcio che dovrebbe riflettere seriamente su come tenersi stretti tifosi come quelli di sabato all’Olimpico, dopo che al secondo tentativo di un coro antisemita ha risposto con una bordata di fischi capaci di imporre il silenzio ai suoi autori, e non certo su come colpirli indiscriminatamente, adagiandoli sullo stesso piano di chi la vergogna storicamente non sa cosa sia.