Febbre a 90

Da curve opposte l’ultimo derby di Roma

La vittoria di Petko

di Giulio Ciacciarelli

 

Era il derby di Roma, della città di Roma, che per due domeniche all’anno si divide come la Firenze di Dante, dilaniata nella faida tra Guelfi e Ghibellini. Era il derby dei due mister venuti dall’estero: da una parte il maestro boemo di ritorno, dopo anni di girovagare sui campi di mezza Italia ed Europa; dall’altra il sergente di ferro venuto dai Balcani, chiamato a raccogliere la pesante eredità del triennio di Reja che, pur tra le solite mille polemiche di un ambiente forse troppo pretenzioso, aveva riportato la Lazio nell’elité del calcio italiano. Era un derby di fuoco, e lo è stato sul campo, nonostante gli ettolitri d’acqua calati sull’olimpico durante il match. Gol a grappoli, espulsioni, rovesciamenti di fronte, episodi emozionanti e tensione fino all’ultimo respiro.

Alla fine ha vinto la Lazio, grazie alla sua maggiore esperienza collettiva e alla capacità, negli uomini chiave, di mantenere calma e sangue freddo nei momenti decisivi, sfruttati in maniera cinica, chirurgica, spietata: da una parte Klose e Mauri, un gol ciascuno e prestazioni maiuscole, dall’altra Totti e De Rossi, il primo non pervenuto, come spesso gli capita al derby, il secondo autore di uno sciagurato fallo violento che gli è costato il cartellino rosso a fine primo tempo.

Ma è stato in realtà il derby di Gabriele Sandri, che 5 anni fa veniva assassinato da un agente della Polizia in un autogrill in provincia di Arezzo mentre si recava a Milano per seguire la Lazio in trasferta. I fatti sono ormai arcinoti. Così come la dinamica, confermata dalla sentenza della Cassazione che ha condannato l’agente per omicidio volontario. Un po’ meno chiari i motivi di alcuni avvenimenti che seguirono a breve distanza l’episodio di quella domenica mattina di 5 anni fa. Ad esempio l’incredibile conferenza stampa del questore di Arezzo, in cui venne dichiarato che non era assolutamente certo che il colpo fatale fosse stato sparato dal poliziotto (“un ottimo elemento che di solito opera benissimo… ha soltanto sparato due colpi in aria per avvertimento”) ed in cui vennero categoricamente vietate le domande da parte della stampa.

Una storia tipicamente italiana, una storia in cui le istituzioni non sono disposte a prendersi alcuna responsabilità, mentre chiedono agli italiani sacrifici impossibili, in cui le pene esemplari sono solo per chi è incapace di sfuggirle, come ci hanno amaramente insegnato i due processi per i fatti di Genova, quelli a carico delle forze dell’ordine e dei manifestanti arrestati per devastazione. Nel video il commovente abbraccio collettivo che tutto lo stadio, nei minuti che hanno preceduto il fischio di inizio, ha voluto tributare ai suoi familiari e a chi gli voleva bene. Gabriele uno di noi.

 

Piove sempre sul bagnato

di Zeropregi

Che fosse un derby strano si vedeva già dal mattino. Vento caldo e pioggia regalavano uno scenario abbastanza spettrale dell’area antistante lo stadio. Lungotevere chiuso, truppe di Ps, Cc e Gdf a presidiare ogni area, solita tensione pre-derby di una città calcisticamente mai pacificata. A chi si chiede come mai c’è sempre meno gente allo stadio dovevate farvi un giro ieri. Ok, il derby non è una partita come un’altra ma l’eccessiva militarizzazione, tra filtri, tornelli, controlli documento alla mano sono tutt’altro che un ambiente sano dove recarsi o andare a passare qualche ora in compagnia, tifando, guardando una partita, divertendosi. O come ripetono retoricamente: portando i bambini o la famiglia. Manco fosse l’aula bunker, che dista solo qualche centinaio di metri, lo stadio si erige sotto questo cielo plumbeo, costretto a far ricorso ai riflettori già dall’ora di pranzo. Stadio pieno nelle curve, tribuna Tevere desolatamente mezza vuota a causa dell’ottusa scelta delle società di non dividerla tra tifoserie, causa pericolo di scontri, e accessibile solo ai laziali muniti di tessera del tifoso. Eppure tutte le normative che regolamentano l’accesso allo stadio, prerogativa dello stato italiano, dovrebbe aver garantito la cosiddetta “sicurezza”. E invece no. Ma del resto ai tifosi di calcio, salvo alcune sacche ultras, piace farsi prendere in giro sul tema sicurezza e sono disponibili a perdere alcune libertà in cambio di niente. Così come succede nella vita di tutti i giorni.

La partita inizia con blackout, gol della Roma, la rimonta della Lazio, il pugno di De Rossi, lo sconforto e la rabbia. Una curva che ribolle mentre i dirimpettai fanno la figura dei soliti mitomani srotolando striscioni su striscioni su alcuni fatti ultras accaduti recentemente. Cose che riguardano solo una piccola parte dei tifosi presenti, di cui nessuno sa niente. Tutte foto buone per i profili facebook. Chissà se tra queste foto ci sarà spazio anche il consueto striscione anti-semita esposto dalla curva Nord.

Il secondo tempo, mentre il nubifragio continua, parte in maniera talmente assurda che loro chiudono la partita dopo l’ennesimo nostro regalo. E’ la fortuna che gira e che probabilmente si è esaurita con Ranieri, uno degli allenatori più fortunati al mondo. E gira tutto storto. In dieci si cerca una rimonta come quella di anni fa, viene sfiorata nel finale, ma Osvaldo spreca. Finisce con la terza sconfitta consecutiva, che brucia tanto. Finisce con l’ennesimo derby giocato in 10. Finisce senza polemiche in campo ma con tanta rabbia. Quella rabbia che verrà raccolta in questi giorni, da quegli sciacalli pseudo giornalisti che infestano l’etere romano e che hanno contribuito alla nascita del “calcio moderno”, nella sua peggiore espressione. Professionisti della chiacchiera pallonara, quasi tutti “destri”, qualcuno legato agli ambienti fascisti romani. E rimane questo, oltre alla retorica su Gabriele Sandri, ieri nel quinto anniversario del suo omicidio, vittima della violenza stato. Se avessero voluto ricordarlo davvero, ieri non si sarebbe dovuto giocare. Ma del resto il calcio non si fermò neanche quella domenica di sangue di cinque anni fa, come avrebbe potuto avere un sussulto di dignità, ora? Ieri abbiamo addirittura visto il presidente della Lazio deporre una corona di fiori dopo aver disconosciuto per diverso tempo “quel tifoso” e non un ragazzo barbaramente ucciso. Del resto anche i funerali sono una opportunità.