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Di cosa ci parla la lotta degli autisti genovesi?

Contro le nuove enclosures, costruiamo movimenti metropolitani.

Nell’esplosione dello sciopero selvaggio che per giorni ha paralizzato Genova vengono al pettine in maniera evidente e paradigmatica nodi che abbiamo individuato e descritto in questi anni dentro la crisi. Da Genova arrivano indicazioni importanti per radicare lotte metropolitane per la democrazia e il diritto alla città.

Prima di tutto l’impossibilità di praticare il così detto “buon governo” oltre le promesse elettorali, un riformismo impossibile anche nel governo dei territori, perché non ci sono isole felici al tempo dell’austerità. Il sindaco di Sel Marco Doria, ultimo successo della stagione arancione, ci tiene a sottolineare che non sta vendendo l’Atm, ma anche lui era stato costretto a specificare “per il 2013” e l’accordo ratificato oggi tra le polemiche, se in parte è frutto della mobilitazione che ha costretto gli enti locali ha cacciare fuori i soldi, in parte scarica sui lavoratori il salvataggio dell’Atm, il cui futuro rimane comunque appeso a un filo. Cosa accadrà nei prossimi anni impossibile prevederlo, rassicurazioni e certezze suonano come ipocrite, la gabbia d’acciaio del patto di stabilità e del pareggio di bilancio, combinati con i tagli lineari, costringono di fatto alla privatizzazione dei servizi pubblici locali. L’alternativa? Rifiutare di giocare una partita già persa in partenza con le regole dell’austerity e cambiare le regole del gioco, al momento non ci sono terze vie che sembrano percorribili se addirittura il sindaco di Torino e presidente dell’Anci Piero Fassino ha paventato l’ipotesi di sforare il patto di stabilità, proprio per non dover privatizzare il trasporto pubblico.

L’altro elemento che emerge con forza dalIa lotta degli autisti genovesi è che i servizi pubblici e il welfare sono effettivamente il terreno su cui con più aggressività si stanno dando nuovi processi di enclosures capitalista, resi “possibili” dal taglio del trasferimento pubblico che rende “inevitabili” le dismissioni delle municipalizzate e dei servizi. Questo sta accadendo non un domani ma ora, in questi mesi. Invertire la tendenza è possibile? Si certo, ma solo se attorno alla difesa dei servizi saremo in grado di costruire grandi consulte e movimenti metropolitani che tengano assieme lavoratori e chi le città le vive, che non si limitino a difendere ma immaginino nuovi servizi comuni.

Servizi comuni perché non privatizzare le società che si occupano dello smaltimento dei rifiuti, per esempio, deve voler dire immaginare come questi vengono smaltiti, come si difende l’occupazione e non si avvelenano i territori. Comuni perché devono tornare in mano a meccanismi decisionali trasparenti e democratici, e non diventare terreno di conquista per le cricche della politica e le lobby che ne determinano le scelte. Questo vuol dire diritto alla città, affondare le mani nei meccanismi di produzione e redistribuzione della ricchezza, lottare per un modello di sviluppo diverso e porre con radicalità la questione democratica al tempo della crisi conclamata della rappresentanza: chi decide e come? Tutti elementi esplosi anche nel #fiumeinpiena che lo scorso 16 novembre ha attraversato Napoli. E’ lotta di classe insomma e non un orpello o affare di qualche comitato di quartiere o settoriale.

I giorni dello sciopero genovese mostrano poi una disponibilità al conflitto da parte dei lavoratori che hanno continuato il blocco nonostante la precettazione e le intimidazioni della politica, ma anche una disponibilità da parte di grandi settori della città ad essere solidali con gli autoferrotranvieri e a sostenerli, consapevoli che in ballo c’è qualcosa di più che dover sopportare i disagi dovuti allo sciopero. Trasformare scintille come quella genovese in movimenti metropolitani non è però semplice ne scontato, sarà necessario annodare molti fili, porre come questioni generali lotte che altrimenti sembrerebbero settoriali, costruire alleanze e coalizioni nelle metropoli.