MONDO

De Blasio, sindaco di tante città

Nella metropoli-mondo della finanza e della tolleranza zero vince le elezioni un outsider che si scaglia contro le diseguaglianze.

Dopo quarant’anni di attività accademica, l’etnografo William Heireich ha deciso di camminare per i quasi 10 mila chilometri che compongono le migliaia di strade e 120 mila isolati dei cinque distretti di New York City. Ci ha messo quattro anni, durante i quali ogni giorno se ne andava metodicamente a spasso per qualche ora, chiacchierando con chi gli capitasse a tiro. Di frequente raggiungeva la zona prescelta con la metropolitana. Risaliva le scale dalla stazione sotterranea al livello della strada per raggiungere un cornershop, entrava e chiedeva un pacchetto di mentine. A quel punto chiedeva al gestore se poteva tenergli il libro che aveva letto in metropolitana fino alla fine della sua camminata. Spesso, il tizio del negozio gli diceva “Glielo avrei conservato comunque, non c’era bisogno che comprasse le mentine”. Il sessantasettenne Helmreich solitamente replicava sghignazzando: “Se non torno prima di sera chiamate la polizia”. Poi si immergeva nell’oceano di asfalto.

Il suo prezioso lavoro di ricognizione restituisce una radiografia al tempo stesso casuale e ragionata di quella che è probabilmente la più importante città del mondo, sia dal punto di vista dell’immaginario che sotto il profilo economico. Alla fine del suo cammino, Heinreich descrive così la complessità dell’arcipelago metropolitano newyorchese: “È un po’ come se un centinaio di centri urbani del Nebraska fossero precipitatio nel mezzo della città”. Ma il bello è che, prosegue il prof, che “a New York si può essere in questi villaggi, ma contemporaneamente si può anche essere in città”.

Da questo mix multietnico di provincia e megalopoli possiamo guardare alle cose statunitensi e anche a quelle del mondo. Quando sono passati ormai cinque anni dalla tempesta perfetta scatenata dalla crisi dei mutui subprime, il teorico della “creative class” Richard Florida si è messo a tracciare la nuova geografia dell’economia statunitense. La sua analisi attinge da diversi indici ed incrocia variabili demografiche, economiche e sociali, ma si basa soprattutto sui mutamenti della composizione del lavoro, sulle caratteristiche della crescita della produttività e sullo spostamento dei fondi d’investimento Se ne deduce che per certi versi New York ha retto alla crisi più di quanto pensassero gli osservatori più ottimisti. Prima del 2009 il 44 per cento delle buste paga delle Grande Mela proveniva dal settore finanziario. Adesso quella percentuale è scesa di 7 punti. Questa riduzione, sostiene Florida, è stata un pungolo per la nascita di altre industrie e ha acuito la concorrenza con l’industria culturale e creativa di Los Angeles. Da questo punto di vista il trasloco del Tonight Show di Jay Leno da Burbank, California, a New York viene considerato emblematico di uno spostamento significativo da questa parte dell’economia dello spettacolo e della produzione immateriale.

Ancora, si pensava che la crisi avrebbe fatto precipitare i valori immobiliari in tutta la città ma oggi il mercato a Brooklyn e Manhattan è in piena espansione e i prezzi hanno superato i picchi del periodo pre-crisi. “New York non è solo un parco giochi per l’élite globale ma è un obiettivo globale per i loro investimenti, incluse le proprietà di fascia alta in cui risiedere solo per un piccola parte dell’anno”, afferma Florida. Ciò ha garantito che le zone battute dai turisti rimanessero scintillanti, che i quartieri alti di Manhattan mantenessero il loro tenore di vita e che le zone borghesi e hipster di Brooklyn conoscessero nuove fortune. Ma dall’altro lato ha fatto aumentare le disuguaglianze. Nel corso del 2012, il 20 per cento delle famiglie più povere di New York ha tirato a campare con in media con meno di 9 mila dollari, mentre il più ricco 5 per cento ne ha guadagnato quasi 450 mila.

Non si comprende la vittoria di Bill De Blasio, considerata improbabile solo fino a qualche dozzina di settimane fa, e non si coglie appieno il senso del suo dickensiano racconto delle due città, anzi delle tante città se non si colgono queste contraddizioni. Nel corso della campagna elettorale Bill De Balsio ha detto chiaramente che il suo obiettivo principale sarà quello di “affrontare le disuguaglianze”. Il nuovo sindaco, gestirà un bilancio di circa 70 miliardi di dollari, ha parlato di “fare qualcosa di molto importante per aumentare i salari e dei benefici”, ha promesso investimenti per la formazione di base e programmi di doposcuola, si è impegnato costruire duecentomila unità abitative da assegnare a prezzi popolari (e qui si sospettano accordi con i signori del cemento). E ha messo in scena con smaliziato senso dello spettacolo la sua famiglia meticcia e poco ortodossa: quelli che dicevano che i neri non l’avrebbero votato in quanto bianco e che i bianchi non l’avrebbero votato in quanto sposato con una afroamericana per di più ex lesbica, si sono dovuti ricredere di fonte ai 49 punti di distacco con i quali De Blasio ha sbaragliato il suo concorrente repubblicano. È evidente a tutti che questo messaggio ha anche una valenza più generale. “Fin dai tempi di Bill Clinton, per i democratici americani è stato un dogma in alcuni circoli liberal- progressisti che la chiave per sollevare i ceti inferiori risiedesse nel minimizzare i conflitti sociali ed economici , ingraziarsi gli interessi commerciali e condurre la lotta contro la disuguaglianza sottotraccia, attraverso sussidi in gran parte invisibili come l’Earned Income Tax Credit”, nota John Cassidy sul NewYorker. De Blasio ha messo in discussione questa formula affermando esplicitamente di voler aumentare le tasse ai ricchi per finanziare i suoi programmi di educazione.

È vero che ciò non significa ancora nulla e che le delusioni generate dalla timidezza di Obama consigliano cautela. Ma la città-mondo che negli ultimi venti anni è stata amministrata prima da Rudolph Giuliani, uno sbirro-tuttofare che ha inventato (ed esportato in tutto il mondo) la “tolleranza zero” e le “emergenze sicurezza”, e poi da Michael Bloomberg, l’uomo delle disuguaglianze della finanza e della borsa mascherate dal volto gentile e dall’apertura sui diritti civili, adesso consegna le chiavi del governo ad un progressista che promette cambiamento. C’è da sperare che la gente della baia dell’Hudson adesso non si limiti a guardare ma invada il palcoscenico della città globale per eccellenza.