DIRITTI

Cronache di mala accoglienza nel Veneto leghista

Il 12 luglio scorso, nel centro di prima accoglienza situato nell’Ex base militare di Conetta, in provincia di Venezia, si è verificato l’ennesimo episodio in cui la rabbia e la sofferenza dei richiedenti asilo si è manifestata in maniera chiara.

Stando alle cronache locali, un richiedente asilo, nell’atto di compilare dei moduli, sarebbe esploso in un gesto di rabbia, scagliando in aria scartoffie e portatile dell’operatore che lo stava assistendo. Il giorno precedente, sempre a Conetta, un operatore era stato spinto da un ospite alterato, procurandosi delle ferite. É bene ricordarlo fin da subito, non si tratta di casi isolati, ma di episodi ricorrenti in alcuni specifici luoghi dell’accoglienza situati nell’area metropolitana fra Padova e Venezia.

In questi ultimi mesi, infatti, le manifestazioni di malessere -accompagnate da tentativi di ribellione per avanzare richieste disperate di diritti e condizioni migliori- si sono fatte sempre più frequenti nei centri di prima accoglienza veneti gestiti dalla cooperativa Ecofficina. A Bagnoli, nell’aprile scorso è andata in scena una vera e propria rivolta, repressa in un primo momento con l’intervento della polizia, e in seguito con l’espulsione dal programma di accoglienza di cinque ragazzi poco più che maggiorenni. I media e i politici locali raccontano queste manifestazioni di insofferenza come follie o dimostrazioni di ingratitudine, dipingendo i migranti come persone violente e pericolose che non meritano di essere accolte. Al contrario, appare sempre più evidente come questi episodi, generati dalle condizioni gravi e difficili vissute nei cosiddetti HUB, ci parlano di un manifesto rifiuto di un modello degradante di gestione dell’accoglienza.

In questo senso, è utile innanzitutto ricostruire quello che gli HUB dovrebbero essere. L’accordo stato-regioni stipulato nel Luglio 2014 per far fronte all’intensificarsi della cosiddetta “emergenza migratoria”, istituiva, accanto agli HOT-SPOT (centri di soccorso e prima assistenza per chi raggiunge l’Europa via mare), i cosiddetti HUB, ovvero centri regionali e interregionali di prima accoglienza, finanziati dal ministero dell’interno e individuati in collaborazione con le regioni e gli enti locali, sulla base delle caratteristiche socio-economiche del territorio. Questi HUB, secondo tale accordo, avrebbero dovuto ospitare un numero massimo di 100 richiedenti asilo e solo per il periodo necessario (massimo due mesi) alla formalizzazione della richiesta di protezione internazionale, a seguito del quale sarebbero dovuti essere trasferiti nei centri di seconda accoglienza, ovvero gli SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), destinati ai richiedenti e ai titolari di protezione internazionale. Osservando il territorio Veneto, ma consapevoli che le stesse dinamiche si stanno riproducendo in molti contesti italiani, dopo un anno dall’istituzione degli HUB possiamo testimoniare lucidamente come gli effetti reali di questo piano per l’accoglienza si sono dimostrati non solo distanti dagli obiettivi dichiarati, ma disastrosi sotto il profilo politico e umano. I principali HUB del territorio Veneto accolgono finora oltre 1200 richiedenti asilo, di cui 700 a Conetta (200 in più del numero massimo autorizzato), e 503 a Bagnoli. Entrambi sono gestiti dalla cooperativa Ecofficina, indagata dalla Procura di Rovigo per malnutrizione e minacce, e dalla Procura di Padova per truffa e falso in atto pubblico.

Da mesi e a più riprese, abbiamo assistito a diverse manifestazioni drammatiche di sofferenza e di rivolta, in cui gli stessi migranti hanno denunciato le condizioni che si ritrovano a vivere in questi luoghi isolati, che si presentano come luoghi extragiuridici in cui nessuno può neanche verificare quel che succede: malnutrizione, sovraffollamento, condizioni degradanti, nonché sfruttamento dei lavoratori dell’accoglienza sono i risultati ormai noti di un anno di gestione dell’accoglienza in Veneto. Crediamo non sia utile entrare nel merito dei singoli episodi, ma che sia piuttosto urgente costruire un discorso differente dalle retoriche che hanno accompagnato le numerose manifestazioni di profondo disagio e sofferenza avvenute nell’ultimo anno, e denunciare innanzitutto la situazione disastrosa in cui versa il fallimentare sistema di accoglienza del nostro paese.

Centinaia di persone sono di fatto depositate in questi HUB, dove sono costrette a sostare per tempi molto più lunghi di quelli stabiliti o necessari, in condizioni disumane di sovraffollamento, in alloggi spesso improvvisati e inadatti alle rigide temperature invernali o al forte caldo estivo. Senza dimenticare, poi, l’insufficienza totale di servizi igienici, cure mediche, assistenza legale, corsi di lingua, supporto psicologico, o percorsi in sostegno all’integrazione. Queste condizioni già di per se insopportabili, sono ulteriormente aggravate dalla totale assenza di sicurezze e risposte circa il destino immediato che attende gli ospiti di queste strutture. Le procedure per la richiesta di protezione infatti richiedono puntualmente tempi lunghissimi di attesa, e finiscono per essere respinte nella maggior parte dei casi dalla commissione preposta, sottoponendo persone già fortemente provate dal viaggio disperato verso la salvezza a condizioni di incertezza ancora peggiori. Questo drammatico quadro purtroppo è disgraziatamente situato in un preciso contesto sociale, quello italiano in primis ma quello veneto in particolare, intriso di un profondo e disumano razzismo, di sentimenti xenofobi e populisti, fomentati con molta facilità dai sindaci leghisti e non solo, che in Veneto stanno facendo sempre più breccia nell’anima sociale di una comunità impoverita e rancorosa.

Nel corso di questo ultimo anno, il sindaco di Padova Massimo Bitonci, oltre ad aver ostacolato in ogni modo il raggiungimento di un accordo con la Prefettura, costringendo gli ospiti della ex Caserma Prandina (ora un HUB in dismissione) a vivere per mesi in tenda, ha sistematicamente diffuso e alimentato sentimenti di intolleranza, odio e razzismo. Infine, ha rivendicato come propria personale vittoria politica, la recente decisione della Prefettura di smantellare e deportare gli ospiti dell’HUB di Padova in un luogo distante dal centro della città e perciò lontano da occhi indiscreti e per lui disturbanti. Decisione presa con il chiaro intento di nascondere all’attenzione pubblica la costante barbarie che si consuma in questi centri di prima accoglienza, gestiti da cooperative che, sfruttando lavoratori e maltrattando i migranti, guadagnano milioni di euro sulla vita delle persone. Forse, l’importante percorso aperto da Padova Città Solidale che ci ha visti protagonisti in questi ultimi mesi – e con il quale abbiamo inoltrato la richiesta per effettuare visite di garanzia in questi luoghi e chiesto con forza l’allontanamento di Ecofficina dalle gare per la gestione dell’accoglienza– ha fatto paura a sindaco e prefetto, consapevoli delle inaccettabili condizioni in cui i richiedenti asilo sono costretti a vivere negli HUB della nostra città e della nostra provincia.

Questo clima di odio e razzismo ha dato luogo a ulteriori episodi di forte discriminazione. Il sindaco di Agna, comune della provincia di Padova, indispettito dal fatto che ospiti degli hub limitrofi di Cona e Bagnoli frequentassero il centro del paese, ha fatto rimuovere le panchine, senza altra motivazione se non il sadico desiderio di rendere invivibile lo spazio pubblico.

Nel concreto e nell’immediato, vista la visibilità pubblica che queste dinamiche hanno ottenuto attraverso il percorso costruito da Padova Città Solidale, pensiamo con forza che le componenti solidali delle città debbano continuare il percorso iniziato questa primavera per rivendicare un sistema di accoglienza degno, fuori dalle logiche emergenziali, che conceda a tutti e tutte diritti e possibilità di scegliere sul proprio futuro, concedendo i permessi umanitari a coloro che hanno messo in gioco tutto per conquistare una vita migliore per se stessi e per le proprie famiglie.

Sappiamo, tuttavia, ed è importante sottolinearlo sempre, che la gestione violenta dell’accoglienza si inserisce nel più generale tentativo di governare gli imponenti flussi di persone che stanno mettendo in discussione gli assetti politici e sociali dell’intera Unione Europea. È evidente che la mortifera gestione dei confini dell’Europa dell’austerity sta producendo enormi campi di detenzione a cielo aperto: non-luoghi come Ventimiglia, Idomeni, Calais, gli hot-spot greci e italiani, in cui migliaia di persone sostano in uno stato di attesa perenne. Vite sospese, di fatto espulse da ogni forma di cittadinanza, nell’attesa sempre più vana di una futura vita dignitosa e autodeterminata. Esiste infatti, e sta assumendo sempre più importanza nell’esperienza migratoria, quello che Sandro Mezzadra descrive come confine temporale, un nuovo tipo di confine che tiene in uno stato di sospensione le vite di centinaia di migliaia di persone. Il tempo dell’attesa, dell’attesa nei campi di detenzione, negli hub, o in ogni tipo di struttura o non struttura in cui gli indesiderat* vengono costretti, in attesa di sapere se debbono tornare indietro e ripercorrere il tragico cammino che hanno vissuto o se debbono mettere a disposizione le proprie vite per essere trattati come schiavi. Non è solamente una condizione fisica di reale detenzione, ma la condizione di chi non è cittadino, e, a meno che non venga ripensato il concetto stesso di cittadinanza europea e vengano riformulate radicalmente le politiche di gestione della crisi strutturale economica e umanitaria, vivrà per sempre in una condizione di incertezza e privazione di diritti.

La portata senza precedenti di flussi migratori ha messo in luce le contraddizioni di un’Europa che vorrebbe rappresentarsi democratica, ma che nei fatti si mostra ogni giorno più autoritaria e violenta. Un’Europa che al proprio interno vede violati quotidianamente i diritti umani più elementari. La Ue tenta di occultare la violenza del proprio agire attraverso l’appalto della gestione e del controllo dei flussi a paesi terzi come la Turchia, attraverso dispositivi di controllo e disciplinamento come gli hub e gli hotspots, nonché attraverso la reintroduzione strisciante delle frontiere nell’area Schengen. Le espulsioni, avvengono di fatto in un modo molto più subdolo, perché meno evidenti, ma quanto mai efficaci. Evidentemente però all’Europa sempre più nazionalista del Migration Compact, costa molto meno gestire migliaia di morti nel mediterraneo e lungo il confine turco, che riformulare totalmente le politiche migratorie a partire dal rispetto dei diritti umani e dal diritto per tutti e per tutte di scegliere dove vivere la propria vita.

Le migrazioni globali non si fermeranno mai, ma saranno piuttosto sempre più caratterizzate da turbolenza, imprevedibilità e autonomia. Questo non può che costringere a ripensare i dispositivi legali come il diritto di asilo e di cittadinanza e i concetti stessi di confine e di nazione. Esperienze concrete di pratiche solidali a Idomeni, Ventimiglia, Calais, le occupazioni come quelle di Roma o di Atene, percorsi conflittuali e costituenti che superano i confini, percorsi di soggettivazione e pratiche di mutualismo importantissimi, sono i prodromi di quello che dovremo costruire nei prossimi anni per rifuggire la barbarie che il nostro presente ci propone.

E’ tuttavia necessario attivare un movimento europeo sul tema delle migrazioni definendo una proposta politica complessiva che ribalti l’approccio del Migration Compact e il regime dei confini, così da rivendicare una libertà di movimento e cittadinanza per tutt*. Per fare questo, lo sappiamo bene, è però fondamentale uno sforzo ulteriore: un movimento europeo che ribalti le retoriche e le politiche neo-liberiste in tutte le loro declinazioni, e la ridefinizione del nemico globale, e cioè la necessità di dichiarare guerra al nazionalismo e alle disuguaglianze, rivendicando il “diritto per tutt* di circolare e di stabilire liberamente la propria residenza sul nostro pianeta e contribuire a costruire un mondo senza muri”.

Tratto da: BiosLab