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Cosa si nasconde dietro un libretto rosa

Dove va la buona scuola di Giannini e Renzi tra meritocrazia, privati e precarietà?

Meritocrazia, un bel calcio nel sedere a tanti precari, ingresso dei privati, scuole come aziende, studenti come forza lavoro gratuita da offrire al migliore offerente.

Leggi anche: Il senso di Renzi per la patente a punti di Roberto Ciccarelli e La bona scola di Marco Ambra

Mercoledì 3 settembre, di buona lena, sono uscite le tanto attese linee guida sulla scuola del governo Renzi. Presentate non come una nuova riforma, bensì come un patto educativo, questo testo si articola in dodici punti sotto il titolo “la buona scuola”, un manuale di quasi 140 pagine in cui si spiega come il governo immagina l’educazione del futuro, i doveri del bravo studente, e il ruolo del buon docente.

Scritto in uno stile che farebbe invidia a Edmondo De Amicis, l’autore del popolarissimo e reazionario Cuore, il testo si concentra su tre punti focali: l’assunzione dei docenti precari a oggi inseriti nelle graduatorie a esaurimento (Gae), un meccanismo di avanzamento professionale e retributivo basato sul merito e non sugli anni di servizio maturati, e la valutazione agli istituti scolastici estesa anche alle paritarie.

Ci sarebbero molti i punti su cui sarebbe buono focalizzarsi in un testo condito da errori di ortografia e sillabazione sparsi – il continuo rivolgersi alla popolazione italiana senza contare l’alta percentuale di migranti presenti nelle scuole, l’uso di un linguaggio pedante e condiscendente per far sembrare cosa buona e giusta quella che sarà la scomparsa della scuola pubblica per come la conosciamo, il dire che l’istruzione è l’unico modo possibile per uscire dalla disoccupazione quando si sta continuando a distruggere l’università italiana e il futuro di migliaia di giovani – ma tre sono i luoghi di maggior importanza per le conseguenze che avranno sulla scuola e sulla vita di studenti e insegnanti.

Innanzitutto si parla solo dell’assunzione dei centocinquantamila docenti inseriti all’interno delle graduatorie a esaurimento, come se non ne esistessero altri al mondo. Dalle dichiarazioni roboanti di Matteo Renzi ed entourage sembrerebbe quindi, che il precariato del mondo dell’istruzione sarà completamente assorbito nei prossimi anni e che non ci sarà più nessun docente a non essere di ruolo. Niente di più falso, dato che invece gli inseriti all’interno delle ben più ampie liste delle graduatorie d’istituto sono lasciati a se stessi. O peggio, lasciati a casa. Sarà infatti abolita la prima fascia, che sarà assunta nei prossimi anni, e lasciata solo la seconda, che potrà essere chiamata, forse, ogni tanto per una supplenza o un laboratorio scolastico pomeridiano di due ore a settimana. La terza fascia sarà invece totalmente eliminata. Niente, tabula rasa. E i docenti inseriti al suo interno? Secondo quanto riportato dal rosato manuale della buona scuola, essi non possono essere considerati insegnanti, in quanto hanno maturato troppa poca esperienza nell’insegnamento. C’avevate creduto? Avete fatto male. Nonostante le veline e i grandi proclami, da oggi la disoccupazione avanzerà ancora più inesorabile di prima.

Eliminati anche gli avanzamenti di carriera basati sull’anzianità di servizio. Vuoi uno stipendio più alto? Devi battere i tuoi colleghi, essere migliore di loro. Più sei bravo, più il tuo stipendio è alto. Sei arrivato a scuola per fare il maestro o il professore e avresti voluto insegnare ai tuoi studenti la bellezza e soprattutto la grande utilità del gioco di squadra, del lavoro collettivo? No! Vince chi arriva prima, chi sta sul pezzo. A ogni docente sarà attribuito un punteggio: a chi avrà il punteggio più alto, oltre a vincere un set di piatti di Ikea, sarà dato uno stipendio più alto. Chi ha un punteggio basso e, parole del manuale, è un insegnante mediamente bravo, potrà invece trasferirsi in qualche scuola della campagna o dei paesini italiani, dove scoverà sicuramente qualche docente con un punteggio più basso del suo e riuscirà a batterlo sulla carriera. Geniale.

La valutazione, che per quanto taciuto è basata su criteri puramente economici e in base alle disponibilità delle scuole, includerà in futuro anche le scuole paritarie. Nella buona scuola però è assicurato che non saranno fatte distinzioni tra quest’ultime e gli istituti di periferia, con meno possibilità economiche. Nella buona scuola sarà premiata la tendenza a migliorare. Viene spontaneo chiedersi: quanto miglioreranno le scuole più rinomate e con più fondi? Quanto miglioreranno le paritarie? In tutto questo, «il livello di miglioramento raggiunto dall’istituto influenzerà in maniera premiale la retribuzione dei dirigenti».

La retorica del merito e della competizione condisce in maniera tossica questo manuale di distruzione della scuola pubblica colorato di rosa e celeste. Non ci può essere nessun merito quando le condizioni di partenza sono completamente differenti. Non c’è nessun merito nel favorire la fuga degli insegnanti nelle scuole migliori, lasciando a se stesse quelle delle periferie, che invece dovrebbero essere incentivate. Non c’è nessun merito nel relegare la condizione dell’insegnante a quella di mera macchina macina punti, che sarà sbattuta nel dimenticatoio se non è abbastanza bravo a competere con i colleghi che hanno il merito di essere più squali. Un pedagogista moderato come Vertecchi si è sommessamente lamentato alla radio che la funzione della scuola non è proprio quella…

Il preside poi sarà sempre di più un manager, il suo principale compito far quadrare i conti e scovare finanziamenti, intrecci con aziende pronte a ricevere stagisti e mano d’opera gratuita in cambio di una sponsorizzazione. E’ il mercato baby e la conoscenza e l’istruzione diventano una merce come un’altra, le scuole aziende in competizione tra loro.

Ieri, sul tg quotidiano di Repubblica Tv, il giornalista Sebastiano Messina tesseva un “velato” elogio del libretto rosa dicendo che Matteo Renzi ha messo in crisi non il calendario scolastico, ma quello delle “okkupazioni” (si, con due k, in pieno senso dispregiativo) nei confronti del ministro, del governo e della riforma di turno. Tocca avere un pretesto, chiarisce il giornalista. Ha perfettamente ragione. Di pretesti, non ce ne sono. Di ragioni, per scaldare quest’autunno, parecchie.