Cops’ favorite sport

Sugli stupri perpetrati da funzionari e agenti del Commissariato di San Basilio di Roma.

In un paese in cui vengono uccise due donne a settimana dai loro compagni, mariti, conviventi, ex-fidanzati, l’ennesimo stupro ai danni di una ragazza detenuta ai domiciliari, rischia di passare inosservato… Non fosse che a violentarla sono due poliziotti del già molto chiacchierato Commissariato di San Basilio , che quello stesso ufficio è anche coinvolto in un altro stupro, stavolta a opera di un commissario (il grado non aggiunge nulla alla gravità dell’atto, ma segnala lo stato di salute della polizia a tutti i livelli!), ai danni di una 18enne direttamente in caserma (vedi il Corriere della Sera); non fosse che tra ieri e oggi i quotidiani spiegano nel dettaglio (con un macabro istinto pornografico in alcuni casi, come il Messaggero) il contenuto delle registrazioni fatte dalla ragazza e che la notizia esce in parallelo con gli stupri da parte del pastore (e qualche suo amico) nella chiesa protestante di Torre Maura ai danni di una donna migrante segregata.

È già un miracolo che, malgrado battute, ammiccamenti, discorsi correnti, una ragazza ai domiciliari ha la lucidità di avvertire il pericolo e il coraggio di appostare un registratore sotto il letto su cui i due poliziotti pensano bene di abusare di lei. E a forza di abusi di potere e di autorità, un poliziotto comincia anche a immedesimarsi in un giudice dell’Inquisizione in salsa moderna, che tortura per poi proporre un abbassamento della pena (“dai domiciliari, alle firme”).

Si sa che le donne sono costantemente in pericolo, si sa che lo sport preferito dagli sbirri in Italia è usare violenza e abusare nelle piazze (recentemente Val Susa), nelle caserme (come accaduto nel febbraio 2011 nella caserma dei Carabinieri del Quadraro), nelle carceri e ora anche nelle case in cui donne (e magari anche uomini) sono detenute/i. Non c’è mai fine alle novità, non c’è mai fine all’estensione nuda e cruda della normalità del male.

È ora in discussione alla Camera (a parte gli intoppi della crisi isterica di governo e il Letta-bis) la legge sul femminicidio e lo stalking, la cui eventuale approvazione avverrà il 14 ottobre, sempre che sopravviva alla pioggia diluviale degli emendamenti. Il dibattito si concentra sulle virtù dei braccialetti elettronici e la fondamentale irrevocabilità della querela (unica che garantisce un minimo la libertà delle donne). Pochi si azzardano a dire che dietro a questo ddl si nasconde un vero e proprio pacchetto sicurezza a basso costo e che l’impianto della proposta nega l’autonomia delle donne, a vantaggio di una prospettiva puramente assistenzialista. Nulla viene detto su come è possibile colmare quell’abisso che sussiste tra legge e applicazione della legge in termini culturali, organizzativi, effettivi… Se poi chi dovrebbe far rispettare la legge è “confuso” – per esser caritatevoli – sui suoi compiti e comincia a stuprare le donne anche a casa, avvertiamo tangibilmente tutta l’insufficienza del dibattito parlamentare nostrano sulla sicurezza.

E di stalking si parla anche nelle caserme: nessuno si risparmia corsi sulla violenza di genere al giorno d’oggi, sui maschi perversi che si “fissano” sulle loro compagne, mentre avviene normalmente, banalmente, in silenzio e un po’ dappertutto l’edizione postmoderna del ratto delle Sabine. Lo stupro ha una storia vecchia quanto il mondo, ma questa annosa mostruosità non può più funzionare come meccanismo di normalizzazione. Neppure fra i “progressisti”. L’intervista recente a Bertolucci, che parla della naturalità filmica della scena di sodomia in Ultimo tango a Parigi, ci dovrebbe ricordare che è il momento di una rivoluzione (almeno comportamentale, se non generale) di donne, di uomini, di tutti.

Quello che è accaduto nel già “difficile” quartiere di San Basilio non è normale, non è accettabile, non è sopportabile un minuto di più. Vogliamo che quei tre poliziotti non siano solo temporaneamente sospesi, ma non rientrino mai più in servizio (a differenza di quanto è avvenuto per gli aguzzini di Genova 2001, Cucchi, Uva, Aldrovandi), vogliamo dirvi che, per quello che ci riguarda, il vaso è colmo: siamo libere di scegliere e pronte a reagire.