PRECARIETÀ

Come resistere al vendicatore neoliberale Renzi?

Renzi è un vendicatore. Il vendicatore del ’68, di quel decennio di lotte che in Italia e nel mondo ha imposto diritti, nel lavoro e oltre. È un giovane (in Italia a 40 anni si è ancora giovani, e viene da ridere…) che si vendica contro i giovani che hanno lottato, nelle università e nelle fabbriche, e hanno avuto troppo, in termini di salario diretto e indiretto (previdenza, sanità, formazione). Da giovane, si vendica a nome dei giovani di oggi contro i giovani di allora, e lo fa facendo in pezzi i giovani di oggi e di domani, i vecchi (o almeno una parte) di oggi e di domani. Chiudere i conti col ’68 (leggi: con le lotte degli anni Sessanta e Settanta) è da sempre l’obiettivo della governance neoliberale. Nel mondo anglosassone i massimi protagonisti (politici) dell’offensiva sono fin troppo noti, in Italia vale la pena ricordare Treu, Sacconi e adesso la coppia Poletti-Renzi; in cima, senza alcun dubbio, Napolitano. Se per un trentennio, poi, hanno prevalso qui e lì gli attacchi ‘temperati’, con la crisi è entrata in gioco la guerra di ‘sfondamento’. L’obiettivo? Rendere il lavoro docile, costantemente ricattato e ricattabile, quindi povero. Working poor.

La riforma del mercato del lavoro, per molti versi quella della scuola, sono le armi, spietate, della vendetta renziana. Entriamo nei dettagli. Il Jobs Act, approvato con voto di fiducia al Senato (nonostante si tratti di un Disegno di Legge delega) e in discussione in questi giorni nella Commissione Lavoro della Camera, è stato preceduto dal Decreto Legge targato Poletti, approvato la scorsa primavera. Perché il nuovo contratto a tempo determinato, smisuratamente ‘acausale’, approfondisce la ricattabilità del lavoro? Semplice: l’estensione della acausalità rende impossibile, o quasi, impugnare il contratto in sede giudiziaria. L’obiettivo di Confindustria era stato reso noto fin dall’inizio, ridurre drasticamente i contenziosi, e Renzi-Poletti hanno eseguito. Anche se l’impresa non giustifica adeguatamente l’impiego di forza-lavoro con contratti precari, il lavoratore non ha più dalla sua il diritto. Il contratto di apprendistato poi, compresso al minimo il contenuto formativo, è semplicemente un contratto utile per avere forza-lavoro a basso costo.

Prima i guai del dl Poletti, dice qualcuno di buon cuore (o in malafede), poi si respira con il Jobs Act e la necessaria riforma degli ammortizzatori sociali, per farla finita con le disparità tra lavoratori di serie A e lavoratori di serie B. Fandonie! Lo scalpo dell’articolo 18, tra l’altro, è solo una piccola parte del disastro. Con il 18, e nel senso della vendetta di cui sopra, si elimina quasi del tutto lo Statuto dei lavoratori, liberalizzando i trasferimenti coatti, il de-mansionamento, il controllo a distanza. Flessibilità in entrata (dl Poletti), flessibilità in uscita (cancellazione dell’articolo 18), e gli ammortizzatori sociali? La Legge di Stabilità conferma quanto appreso in queste settimane: a sostegno del Naspi ‒ sussidio di disoccupazione universale, da sostituire progressivamente a Cassa integrazione in deroga e mobilità ‒ 1,6 miliardi. Poche briciole per non più di 180.000 disoccupati.

Ma quella di Renzi è una governance insidiosa, non tanto e non solo per le retoriche che usa, ma anche per l’uso spregiudicato della leva fiscale a fini redistributivi. Il Tfr e gli 80 euro in busta paga, ora anche per le neomamme, l’eliminazione dell’Irap, la defiscalizzazione delle nuove assunzioni con contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti, le agevolazioni fiscali per commercianti e mirco imprese (a discapito dei professionisti atipici nel regime dei minimi, che si ritroveranno a dover far fronte all’aumento del sostituto d’imposta, oltre che dell’aliquota Inps).

Governance insidiosa che va combattuta con determinazione, radicalità e intelligenza. Le mobilitazioni dei movimenti e sindacali devono fare i conti con un cambio di paradigma: l’austerity – a partire dalla spirale recessione-deflazione e dallo scontro interno ai poteri europei e globali (vedi la mossa francese, da un lato, e gli attacchi dei mercati a sostegno del Quantitative easing di Francoforte, dall’altro) – si accompagna sempre di più con timide e differenziali politiche ridistributive. È anche su questo terreno, non solo sul decisivo contrasto all’austerity, che devono appuntarsi le proteste più tenaci. Non si sfugge, i punti fondamentali del conflitto dei prossimi giorni e dei mesi a venire, con al centro lo sciopero sociale del #14N, saranno il salario minimo europeo, l’ostilità al working poor e al lavoro gratuito (vedi i 18.000 lavoratori senza paga dell’Expo di Milano), il reddito di base come alternativa concreta al Naspi senza risorse e al modello tedesco di workfare (sussidio a condizioni di accettare qualsiasi lavoro). Contro il vendicatore non c’è tempo da perdere, alzare la testa subito: il compito di una generazione che non vuole morire di selfie e free jobs

Pubblicato su huffingtonpost