ROMA

Come era verde la mia (Tor di) Valle

La città neoliberista: interesse pubblico e privato contro l’interesse comune, ovvero lo stadio della Roma. Il Consiglio Comunale di Roma, istruito dall’assessore Caudo, riconosce lo stadio del patron della Roma James Pallotta come opera d’interesse pubblico. Un voto che dimostra come nella città liberista interesse pubblico e privato coincidano a danno di quello comune rappresentato da chi la città abita.

Come volevasi dimostrare. Lo Stadio di Pallotta (finanza) e Parnasi (immobiliarismo) ha ottenuto il primo via libera dal Consiglio Comunale: il riconoscimento d’interesse pubblico per le opere infrastrutturali che lo accompagneranno. Opere che, serviranno, secondo il Consiglio Comunale, anche alla città.

Sono in molti, fuori dal Consiglio, a dire che non è così, come sono in molti a contestare la scelta di quel luogo e il tanto di cemento aggiuntivo, quasi un milione di metri cubi, destinati ad “altro” dallo Stadio e a pensare che quello che nella delibera è scritto come “sostenibilità economica” dell’iniziativa, si deve leggere in realtà come un devastante impatto fatto precipitare su di un’area problematica della città.

Lo Stadio e tant’altro, quel davvero tanto che con le partite di pallone non hanno nulla a che spartire, dice l’assessore Caudo alla Gazzetta dello Sport in un’intervista del 24 dicembre, recuperano un’area dismessa. Non si tratta però di una delle tante aree della piccola industria romana abbandonate ed oggi preda della rendita immobiliare come accade,per esempio, a San Lorenzo.

Caudo definisce come area dimessa quell’ansa a sud di Roma, dove il Tevere fa una lunga curva, per prima raccogliere le sue acque, per poi con maggiore forza distendersi verso il mare. All’interno di quel gomito, la cui area è destinata dal PRG a “verde privato e attrezzature sportive”, l’architettura moderna ha realizzato, con l’ ippodromo di Tor di Valle, una delle poche opere significative del secondo 900 romano. Un’area abbandonata come funzione che ha visto l’immobiliarista Parnasi impossessarsene per “offrirla” alla finanza, senza stare a vedere troppo quello che c’era intorno.

All’intorno c’è la marmellata edilizia dell’altracittà. Fatta di case, ancora case, scarsi servizi,insufficienti attrezzature,traffico,assenza di spazi pubblici,strade sconnesse. La nozione dell’espansione della “città a macchia d’olio” trova qui una delle sue più convincenti realizzazioni dove ciò che è stato costruito è il risultato di un’urbanistica che, non essendo stata un grado di definire l’edilizia, è stata da questa soffocata.

Il luogo ideale dunque per sperimentare quelle forme di “rigenerazione urbana” che la Giunta Marino aveva posto quale punto fermo per la ridefinizione della città. Con l’approvazione in Consiglio la domanda diventa: è questa la rigenerazione urbana?

Lo Stadio e il Business Center che lo circonda, le nuove strutture per la mobilità, peraltro limitate ad interventi sui tracciati ferroviari esistenti (Roma –Lido e metro B che con questo nuovo braccio rischia di indebolire la tempistica dei passaggi su quello oggi esistente), i parcheggi “raccontati” come futuro scambio per chi entra in città dal GRA, il grande centro direzionale di 900 mila metri cubi che non sembra proprio una priorità della città, sono troppo? Sono troppo poco?

Conti alla mano l’assessore Caudo che da subito ha fiancheggiato la proposta di Pallotta etichettando il catino simil Colosseo come “una genialata”, assicura che il Comune ricaverebbe un introito pari al 25% del profitto del proponente. Secondo la maggioranza che ha dato il primo via libera (si dovrà attendere l’OK definitivo della Regione anche se appare del tutto scontato al netto della moina sul tema già iniziata) il progetto è migliorato a colpi di emendamenti ed ordini del giorno. Dalle parti di Sel anche se, la consigliera che nella discussione in aula aveva lucidamente presentato i limiti dell’operazione, non ha poi partecipato al voto, parlano di “un’occasione importante per la città, lo sport e la squadra, ed anche per dare risposte alla crisi occupazionale”.

Chi ha votato no e chi si è astenuto rivendica che invece lo Stadio, lì in quel posto non deve essere fatto perché porta con se come corollario 900 mila metri cubi destinati ad uffici, per l’incerta definizione di proprietà dei terreni, il perdurare, stante l’attuale definizione del progetto, del rischio di non contenimento di fenomeni legati all’esondazione del Tevere, l’appesantimento del carico urbanistico che penalizza una zona “martire” da questo punto di vista della città .

La discussione sembra destinata a continuare senza registrare la novità rappresentata da questo voto.

A Roma, per la prima volta, con questo progetto si registra che nella città liberista l’interesse pubblico viene riconosciuto quando si sovrappone in fotocopia a quello privato. Un iter amministrativo che, nell’ordine, porta il proponente a dire come e dove si farà l’opera che intende realizzare, senza stare troppo a guardare il Piano Regolatore. Il Comune a battezzare l’operazione dandole un riconoscimento di indirizzo urbanistico. Ad imporre a chi la città abita, anche subendola, la sostenibilità economica della proposta che vuol dire accettare il suo appesantimento con quelle funzioni che il progetto si porta dietro.

Nella cucina dell’urbanistica romana, a partire da questo voto, il cliente avrà sempre ragione, perché lascia qualche cosa nel piatto anche se come in questo caso incasserà 8oo milioni di euro di profitto.

Dopo aver inzeppato, in un deserto di servizi pubblici, case su case e averla chiamata città, ora si accaniscono su chi in quei tanti deserti di attrezzature è condannato ad abitare. I costi urbani e di gestione della città sono insostenibili per chi investe e per l’Amministrazione Comunale. Per assicurarsi ancora profitti, un capitale sempre più ingordo sta ridefinendo lo stesso ruolo della rendita urbana: sono i servizi privati a sostituire il settore residenziale negli interessi di chi investe.

L’operazione dello Stadio è una falsa economia per la città, che nell’illusione di fare cassa attraverso operazioni compensative, anche a costo di cannibalizzare senza stare troppo a guardare risorse naturali e ambientali,consegna la vita di chi abita alla finanza

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Lo Stadio non è più una questione urbanistica, ma la dimostrazione di come, a Roma, il pubblico e il privato siano impegnati a combattere la ricchezza dell’abitare comune, rappresentata da tutti noi.