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“Ci siamo battuti bene”

Una riflessione sulla barbarie contemporanea e la potenza della lotta (nonostante tutto) a partire dall’ultimo, bellissimo, film dei fratelli Dardenne.

“Ci siamo battuti bene”: sono le ultime parole di Sandra (Marion Cotillard), protagonista del film dei Dardenne, in questi giorni nelle sala italiane, Due giorni, una notte. “Ci siamo battuti bene”, e un sorriso percorre il viso di Sandra. Eppure Sandra ha perso, meglio, ha scelto di perdere per non rompere la solidarietà conquistata. Ha perso il lavoro, ma non è sconfitta, perché non si è arresa, ha lottato, nonostante tutto ha sfidato la solitudine, la depressione, l’umiliazione. Non è sconfitta perché non ha ceduto all’adagio così di moda nel nostro tempo, nella contemporanea barbarie chiamata mercato del lavoro, mors tua vita mea.

Sandra è stata depressa, per questo si è allontanata dal lavoro, per questo viene fatta fuori. Sì, l’altra faccia della competizione è la depressione. Il neoliberalismo fa della concorrenza una norma, la norma è armata dalla valutazione continua, dall’ossessione del merito, della vittoria. Ma soprattutto, ed è questo quello che conta, con la crisi il neoliberalismo ripropone il suo enunciato fondativo: ‘non ce n’è per tutti’. Se Sandra torna al lavoro, allora niente bonus; se gli operai, i colleghi di Sandra, rinunciano al bonus, allora anche per lei c’è un salario. La valutazione è un’arma, ma è ancora più violenta quando a scagliarla contro donne e uomini c’è la crisi, la disoccupazione di massa, il lavoro precario.

Sandra è stata depressa e, nonostante il dolore, deve battersi per non essere fatta fuori. Perché i depressi, si sa, sono anche dei perdenti e i perdenti è meglio farli fuori, lavorano male. Il neoliberalismo i perdenti non li vuole, meglio, li usa per far soldi – ce lo insegna nel suo piccolo Salvatore Buzzi con il business dell’accoglienza. Così come le imprese, nei Piigs, fanno soldi attraverso i giovani disoccupati, il progetto europeo Youth Guarantee lo chiarisce: denari pubblici alle agenzie interinali e alle imprese, in cambio stages e tirocini sotto-pagati. Anche lo “sfigato” è utile.

Due giorni, una notte, mai retorico, durissimo, potente, ci racconta il lavoro contemporaneo, dunque la violenza del ricatto, la “guerra tra poveri”. Sandra lo ripete, mentre con il respiro fatica, le lacrime e lo Xanax si avvinghiano: “non sono io ad avervi chiesto di scegliere, è stato Dumont” (il padrone). Sì, è il padrone che dispone gli uni contro gli altri, che butta lì un po’ di carne (perché ‘non ce n’è per tutti’) e dice: “scannatevi”! Ma non è forse questa la vera natura del neoliberalismo? Ovvero di quel capitalismo che si è sbarazzato dei sindacati, delle resistenze sociali più innovative, delle istituzione del welfare? Frammentare, dividere, impoverire, poi… “fateli correre questi cani (lavoratrici e lavoratori, disoccupati, ecc.), il primo che arriva mangia, gli altri facciano i mendicanti, ci chiedano umilmente di poter lavorare per due spicci”. E così nei centri commerciali non c’è mai sosta, i turni ti vengono comunicati giorno per giorno, niente pausa pipì. E così a Expo si lavora gratis, quale occasione migliore per accrescere il proprio “capitale relazionale”?

D’altronde, per anni si è pensato (la sinistra, i sindacati) di poter difendere i diritti di alcuni a scapito dei giovani. Il mantra della flessibilità (contrattuale, salariale, d’orario, ecc.) è stato accolto da tutti: il più zelante, il New Labour; al quale, con soli venti anni di ritardo, si ispira Renzi. Un vero innovatore, non c’è che dire. Fino a quando, con la crisi, si è scelto di far saltare il dualismo del mercato del lavoro: tutti precari, e non ci pensiamo più. Non stupisce, allora, che l’attuale riformatore del mercato del lavoro italico sia stato Presidente della Legacoop e ‒ parlano le foto in rete ‒ in rapporti cordiali con Salvatore Buzzi. Nelle foto, condensata, la verità più ruvida del terzo settore (o di una sua ampia maggioranza): gestione della forza-lavoro a basso costo e senza diritti (‘siamo tutti sulla stessa barca’, ‘i soldi non ci sono ora, ma tra qualche mese arrivano’, ecc.); business della povertà e del disagio sociale.

La storia di Sandra è una storia comune. Registra la barbarie, un rapporto di forza drammaticamente sfavorevole, a Bruxelles come a Roma, a Madrid come a Francoforte, a Londra come ad Atene. E la sconfitta sta lì a ricordare che chi vince continuerà a farlo, è troppo forte, è inutile lottare. Meglio pensare a sé, corporation e finanza non si fanno spaventare, procedono senza sosta, nulla può cambiare. Eppure Sandra non è stata sconfitta. Indubbiamente sì, ha perso il lavoro, indubbiamente sì, Dumont non è stato piegato, ma Sandra ha lottato e conquistato una solidarietà che sembrava impossibile. Ci sono momenti in cui il nemico è più forte e oggi, nonostante la crisi, il capitalismo neoliberale lo è. In questi momenti si può abbassare la testa e cedere all’adagio ‘si salvi chi può’. Oppure lottare, anche quando si perde, anche se si perde.

Ce lo dice Sandra con un sorriso: “ci siamo battuti bene”. Questa postura etica è più potente di quanto pensiamo.

Pubblicato su Huffington Post