COMMONS

Chi controlla il controllore?

È il capitalismo, bellezza – Quarta puntata.

Mentre Obama porta in tribunale e richiede 5 miliardi di danni alla più potente agenzia di rating mondiale, Standard & Poor, nessun capo di Stato in Europa sembra essere troppo interessato all’inchiesta avviata dalla procura di Trani che ha per oggetto la manipolazione dell’Euribor.

Nato il 1 gennaio del 1999, contestualmente alla nascita dell’euro, l’Euribor è il tasso di interesse medio che regola le transazioni finanziarie tra le maggiori banche europee, le stesse, oltre cinquanta (tra cui le italiane UniCredit, Monte dei Paschi di Siena, Intesa San Paolo e UBI Banca), che provvedono tutte le mattine entro le 11 a fissarlo e a renderlo pubblico. Tasso di riferimento per il prestito interbancario a breve termine, l’Euribor svolge la stessa funzione regolativa nella definizione degli interessi compositi sui mutui a tasso variabile. Secondo la procura, attraverso la manipolazione dei tassi, circa 3 miliardi di euro sarebbero stati soffiati ai risparmiatori e ai mutuatari italiani.

Chi non ha la memoria troppo corta, ricorderà una vicenda simile: lo scandalo del Libor, esploso nella primavera del 2012. Se l’Euribor viene fissato dall’European Banking Federation, il Libor dalla British Bankers’ Association, è “espressione” dunque del mercato interbancario londinese e, pur essendo tasso di riferimento europeo, regola le transazioni finanziarie che avvengono principalmente in valute diverse dall’euro. Nello scandalo fu coinvolta Barclays, che ha patteggiato il pagamento di 453 milioni di dollari di multe (ma chissà quanti ne avrà guadagnati in questi anni… di miliardi di dollari!), mentre il suo chief executive è stato costretto a dimettersi.

Vale la pena raccontare i tratti salienti dello scandalo del Libor, per comprendere l’inchiesta della procura barese sulla manipolazione dell’Euribor, ma, più in generale, per afferrare quel «vandalismo […] spinto dalle passioni più infami», come direbbe Marx, che anima l’accumulazione originaria del nostro tempo. Il Libor, come dicevo, è il tasso di riferimento europeo al quale le banche si prestano denaro tra loro, tasso che viene fissato dalle banche stesse, dopo la chiusura dei mercati, tra la notte e le 11 di mattina.
Il mercato interbancario è decisivo per assicurare la solvibilità delle banche e, più in generale, dell’intero sistema creditizio. Senza questo mercato le banche, sempre irrispettose delle norme che fissano la soglia di capitale minimo che ogni istituto dovrebbe avere con sé e che concedono prestiti o fanno investimenti senza sosta, non avrebbero i capitali necessari per far fronte alla domanda di prelievi che, molto spesso, supera il denaro liquido a loro disposizione. Se tra gli istituti di credito salta la fiducia, così come è accaduto dopo il crollo del 2008 o come sta accadendo in Europa, con l’acuirsi della crisi dei debiti sovrani e il rischio, sempre più forte, che l’euro salti, l’economia si paralizza: si tratta, con formula inglese, di credit crunch.
Il Libor, inoltre, ma è questa la cosa più importante, è un indice del costo del denaro a breve termine che viene adoperato comunemente come base per il calcolo dei tassi di interesse relativi ai prestiti ai consumatori, al credito rateale per l’acquisto di automobili, ai mutui per la casa, ai fidi bancari alle imprese. Di più, il Libor influenza i bilanci dei fondi pensione e delle finanze pubbliche. Manipolare il Libor, e cioè definirne il valore senza alcun riferimento ai dati dell’economia reale, all’andamento dei prezzi e alla circolazione effettiva di massa monetaria (inflazione), vuol dire, banalmente, tassi di interesse più alti per il consumo e l’indebitamento privato, come per quello pubblico: soldi che, chiaramente, finiscono dritti dritti nelle tasche delle banche.
Ancora: i trader che operano sui titoli finanziari e che fissano, tramite semplice comunicazione, il Libor, dovrebbero agire, secondo le flebili regole dei mercati, in modo rigorosamente separato e indipendente da chi, all’interno delle banche, eroga prestiti o gestisce altre attività di credito. Sia il primo, però, colui che “comunica” il Libor, sia il secondo, colui che, erogando il prestito, beneficia delle variazioni del Libor, lavorano per la stessa banca e, seppur formalmente operano in sezioni distaccate, nella sostanza – le indagini e le intercettazioni ce lo raccontano nel dettaglio – coordinano le loro decisioni favorendo le tasche loro e quelle della banca per la quale lavorano. Come chiedere, infatti, a chi fissa il tasso di riferimento degli altri tassi di essere indifferente ai dividendi dell’istituto finanziario per il quale lavora e, soprattutto, al suo portafogli? A ogni variazione del Libor corrisponde una variazione dei tassi delle attività di credito: il conflitto di interesse è assoluto!

Se questo è lo scandalo-Libor, non molto diverse sono le verità apprese dalla procura di Trani nell’interrogatorio di Attanà, responsabile della tesoreria di Banca Intesa. Tutto fa presumere che esista un cartello di banche che quotidianamente, senza alcun riferimento all’economia reale e all’inflazione, fissa o manipola (i due termini coincidono) il tasso di riferimento, l’Euribor.

Emerge con forza in primo piano la struttura di funzionamento autoreferenziale e, per questo, segnata da una corruzione che da eccezione si fa norma, dei mercati finanziari: l’arbitro e il giocatore, quasi sempre, coincidono. Si fa un gran parlare in questi giorni (in Italia) dell’indipendenza delle banche dalle Fondazioni, dell’indipendenza della Bce che, a differenza della Fed o della Banca centrale nipponica non agisce sui tassi di cambio né ostacola il dilagare della disoccupazione; ma di quale indipendenza stiamo parlando? L’indipendenza del capitalismo finanziario – e non esiste un’economia reale “buona” che sia estranea o esterna alle sue maglie – dalla società, dai suoi interessi, dalle sue regole. È questa indipendenza che qualifica la potenza costituente della finanza, il suo tratto performativo. Laddove è più spiccata l’autoreferenzialità del sistema, lì diventa ineluttabile e indiscutibile la funzione di comando (della moneta, della stabilità dei prezzi ecc). I tecnici sono anche e sempre indipendenti; l’indipendenza è la condizione necessaria per governare le banche, deregolamentare il mercato del lavoro, privatizzare i commons.

Indipendenza della governance finanziaria è sempre e solo indipendenza padronale dalla mediazione sociale, dunque corruzione, violenza, sfruttamento. È evidente che non si tratta di questioni da mollare alle procure, si tratta di lotta di classe. Come imporre, oltre lo slogan assai ambiguo della nazionalizzazione, un controllo del comune sulla moneta e gli istituti di credito è un problema ineludibile, per i movimenti, per chi vuole cambiare lo stato di cose presenti.