ROMA

Autorecupero e diritto alla città

Intervista a Rossella Marchini e Antonello Sotgia sul progetto di autorecupero dello spazio abitativo e sociale Alexis e sulla proposta di legge in materia di autorecupero immobiliare presentata dalla senatrice 5 stelle Bertorotta. I due architetti, oltre che redattori di DINAMOpress, sono firmatari del progetto redatto di Alexis.

1-Dopo il tentativo di sgombero di Alexis si è continuata una trattativa che ha portato all’assegnazione temporanea di una parte dell’ex deposito Atac denominato “Ninci Sestilio” per gli ex-occupanti di Alexis, come soluzione provvisoria fin tanto che vengano portati avanti i lavori sull’ex stabile di Acea (Alexis). Per adesso ancora non siamo venuti in possesso del nuovo spazio, e finchè ciò non avverrà ovviamente resta bloccato anche il progetto di recupero. Sorvolando su questo aspetto tecnico e immaginando che tutto si sblocchi e si possa finalmente passare ad una fase operativa, un progetto come quello di Alexis potrebbe effettivamente essere un progetto riproducibile o, come è stato da noi definito, “pilota” per lo sblocco della situazione a Roma e nel Lazio ma anche per favorire e invogliare alla realizzazione di progetti simili?

La proposta progettuale, presentata da Alexis, dimostra innanzitutto che l’abitare, anche l’abitare popolare come in questo caso, è la materia con cui continuare a fare la città. Prima ancora che negli elaborati tecnici che ci hanno richiesto i compagni di Alexis, la proposta nasce dalla capacità che i cosiddetti “occupanti” in questi anni hanno avuto di fare, della loro esperienza di un abitare rivolto ai giovani ed ai precari, “territorio”. Sono rimasto molto colpito dalla solidarietà ricevuta da Alexis da parte di chi abita e lavora in questo quadrante urbano “martorizzato” dalle continue proposte del mattone finanziario che tendono ad immiserire la vita di tutti noi per assicurare, ancora, rendita e profitto. La proposta dimostra, conti alla mano, che a costi davvero contenuti si può riportare all’interno delle zone centrali della città la funzione residenziale che, come in questo caso, legata alla realizzazione di un servizio, produce quella ricchezza dell’abitare che si viene a creare quando ai rapporti fondati solo sul profitto si sostituisce la potenzialità di cui sono capaci di esprimere le relazioni e le reti sociali. Non solo come “progetto pilota”. Penso a questo progetto come a un vero e proprio incubatore sociale. Capace di definirsi attraverso il recupero di uno spazio abbandonato; di sostanziarsi con la progettualità e il protagonismo sociale di chi l’abiterà.

2 -Il soggetto di cui parla la composizione della realtà di Alexis è principalmente un soggetto giovane, precario, con difficoltà di accesso al credito, in assenza di welfare e che nel migliore dei casi dovrebbe rimanere a casa con i genitori. Nell’articolo 1 del DDL 2571 si parla proprio di questa variegata composizione sociale come soggetto principale di riferimento per la realizzazione di progetti di recupero degli immobili in disuso e abbandono. Questo potrebbe favorire effettivamente l’opzione dell’autorecupero come progetto preso in considerazione da tutta quella fetta della società che sappiamo essere veramente molto estesa? Oltre a questo soggetto sopra descritto, è estendibile al resto dei soggetti sociali che compongono la nostra frammentata società con le sue forme di esclusione differenziale e differenziate?

Il DL 257/2016 è senz’altro una buona proposta per iniziare a ragionare perché, fin dal primo articolo, affronta il problema dell’auto recupero non come risposta ad un’emergenza, ma come una pratica urbana. Ha il merito, e credetemi non è poco, di non guardare troppo a formule di ingegneria urbanistica, che sono quelle che hanno reso impossibile il decollo della legge regionale del Lazio del 1999, a vantaggio di individuare i primi passaggi normativi per garantire la possibilità d’intervenire ad assicurare a tutti il diritto alla casa. Il recupero del patrimonio abbandonato (aggiungerei lasciato abbandonato) non viene indicato come una possibile “opzione” edilizia, ma come una risorsa per tutti che la città attraversano, quelli che l’abitano e quelli che non l’abitano. É significativo che il disegno di legge di cui parliamo parli esplicitamente di patrimonio pubblico e privato. Questo permetterà per esempio di dare certezza amministrativa ad alcune esperienze in atto in Italia che “soffrono” di questa mancanza legislativa nazionale. Oltretutto a proposta costituisce per la prima volta una reale offerta a chi “privato” quel patrimonio immobiliare possiede. Può finalmente salvarlo dal lasciarlo andare in malora “offrendolo” all’abitare popolare che si farà carico della manutenzione oggi assente. Se ben messo a punto questo passaggio potrà davvero diventare il motore per ridefinire l’abitare del nostro paese da sempre vessato e definito dalla rendita immobiliare fondiaria. Un programma ambizioso in cui i soggetti sociali da voi richiamati, quelli dell’esclusione “diffusa” dovranno essere capaci di farsi trovare pronti a definire i programmi e non ad essere semplici “assegnatari”. Personalmente trovo che lavorare su questo “ribaltamento” potrebbe essere davvero importante anche per definire nuovi spazi per l’abitare.

3 -un progetto di autorecupero come il nostro ha un evidente impatto sul territorio, non a caso il territorio si è da subito schierato a favore del nostro progetto. Come sappiamo tutto ciò che si fa su un territorio in qualche modo va ad incidere su di esso. In tal senso progetti del genere in che maniera posso contribuire ad un nuovo e diverso modello di sviluppo, ovvero in che maniera possono favorire il cambiamento della città e contrapporsi alla rendita e la speculazione immobiliare?

Come già detto rispondendo alla prima domanda il riuscire a “fare territorio” è la scommessa principale legata all’ auto recupero. Aver affrontato questo tema come “marginale” nel processo urbanistico (è il caso a Roma della sindacatura Veltroni) ha prodotto due disastri. Aver realizzato pochi esempi e aver detto, sulla base di questi scarni risultati, che l’auto recupero è difficile. Una narrazione tossica per contrabbandare la truffa dell’housing sociale che abbiamo visto non aver fatto altro che densificare pezzi di città senza aggiungere servizi e soprattutto chiedere affitti non molto distanti dai canoni di mercato. Progetti come Alexis hanno anche un’altra lettura rappresentano la possibilità d’intervenire in modo diffuso nel tessuto della città, ovunque ci sia uno spazio abbandonato e che risponda a regole fissate preliminarmente dalla comunità. Questo permetterà il superamento di quel modello abitativo “ghettizzante” che ha segnato l’ultima stagione romana dei quartieri d’edilizia pubblica. Insomma costruiremo nel costruito per ricostruire la città che da troppo tempo viene illusa che a farlo dovranno essere solo le cosiddette “grandi opere”. Una nostra ipotesi di manutenzione degli affetti.

4 -Nel progetto di autorecupero di Alexis oltre a 10 appartamenti abbiamo inserito degli spazi sociali come una libreria e uno spazio comune da gestire con il quartiere. Questa forma abitativa e sociale del progetto potrebbe essere estesa anche a realtà sociali e quindi immaginare che progetti di autorecupero possano essere fatti anche su spazi che oltre alle importanti caratteristiche abitative abbiano, appunto, anche caratteristiche culturali e sociali?

Non c’è dubbio. Dobbiamo iniziare a “perderci nella città” a guardarci intorno a scoprire relazioni a costruire spazi. In questo gli spazi sociali occupati fin dagli anni 90 del secolo scorso proprio questo hanno fatto. Per questo vanno mantenuti. Dobbiamo riuscire a non farceli sottrare dalle mire del mercato che vorrebbe fare proprio questo: rendere abitabili, secondo loro, spazi che i movimenti hanno reso “abitabili” cancellando ogni traccia di impegno sociale e ritagliando ogni spazio per un abitare esclusivo. I movimenti oltre che rendere questo impossibile devono riuscire a far conoscere ai più la ricchezza che è legata al loro abitare che, anche grazie a questa proposta di legge se diventerà legge nazionale; potrà essere esportata in spazi ed esperienze a cui voi nella domanda fate riferimento.

5 -La proposta di legge di cui andremo a discutere tra pochi giorni nell’appuntamento sopra descritto ci è sembrata una buona proposta di legge, aldilà di piccole questioni tecniche, quali sono le principali problematiche che presenta e come potrebbe essere estesa?

Personalmente penso che 380 milioni siano pochi, ma intanto …. potremmo richiedere che oltre l’utilizzo delle maggiori entrate il fondo si “alimenti” anche attraverso la destinazione del 3% di quanto corrisposto al Comune per attività edilizia (oneri concessori) e il Fondo sia dichiarato “soggetto” della corresponsione e del 5 per mille da parte dei contribuenti italiani.Ci sarebbe poi la possibilità di studiare di far alimentare il fondo con contributi delle casse di previdenza professionali che potrebbero vedersi retribuito il proprio investimento all’1,5% da prendere sull’affitto

La proposta è senz’altro buona. Penso che nella discussione potremmo iniziare a definire alcuni passaggi. Personalmente tuttavia credo che compito dei “movimenti” non sia la presentazione di“emendamenti”, quanto implementare quel testo con una serie di domande su cui poi collettivamente costruire le risposte. Mi pare che, oltre le considerazioni che ho anticipato rispondendo alle vostre domande, potremmo “chiedere” d’implementare la dotazione del fondo con interventi finanziari “mirati” quali: la destinazione del 3% di quanto corrisposto al Comune dove si realizza l’intervento per attività edilizia (oneri concessori); Che e il Fondo sia dichiarato “soggetto” della corresponsione e del 5 per mille da parte dei contribuenti italiani; di studiare di far alimentare il fondo con contributi delle casse di previdenza professionali (che potrebbero vedersi retribuito il proprio investimento all’1,5% da prendere sull’affitto) invertendo una stagione che ha viso quelle Casse investire in operazioni che spesso abbiamo visto essere non trasparenti e speculative. Quando si parla al comma 3 della partecipazione ai programmi mi pare che limitare la partecipazione ai “cittadini che residenti sul territorio italiano non siano proprietari di altri immobili o assegnatari di alloggi pubblici” permetta l’inserimento di “categorie” che, data l’elevata presenza di evasione nel nostro paese, potrebbero approfittare del programma … aggiungerei “che rientrino nelle categorie e nei requisiti fissati per accedere ad un alloggio pubblico”. Iniziamo a parlarne già dal prossimo incontro il 3 febbraio e grazie.

Fonte: indipendenti