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Attentato!

Al via il processo sulla manifestazione che accese la miccia dell’onda studentesca del 2010.

Il 21 marzo è iniziato ufficialmente il processo ai danni degli studenti e dei precari che il 24 novembre 2010 manifestarono di fronte al Senato della Repubblica per chiedere il ritiro del DDL Gelmini. Quello che sembrava un movimento ormai assopito, dopo il massiccio definanziamento dell’università pubblica messo in campo dalla legge n. 133/2008 – 1,5 miliardi in cinque anni – riesplose in quell’autunno saldandosi produttivamente alle lotte dei precari della ricerca, riuscendo a costruire, finalmente, un fronte unico di mobilitazione. Dai tetti delle università alle piazze gremite un movimento straordinario, composto da tanti e diversi, impose al dibattito pubblico il tema del futuro di un’intera generazione, e la ricerca di una via d’uscita alternativa dalla crisi. Una nuova ondata di democrazia, radicale e intelligente, tumultuaria e pragmatica, riuscì in poche settimane a mettere in crisi il governo Berlusconi.

Il resto della storia è noto: il governo Berlusconi riuscì ad ottenere il 14 dicembre la fiducia alla Camera grazie ai soli tre voti di altrettanti transfughi dell’opposizione, che trovarono rapidamente collocazione all’interno della nuova maggioranza. Il carattere parassitario dei processi di governo trovò la sua massima espressione in quella giornata e venne messa a nudo dalla manifestazione nazionale a Roma. Migliaia di poliziotti in tenuta antisommossa schierati a difesa della compravendita dei voti all’interno delle aule parlamentari, sfiduciate dal basso da un corteo imponente.

Ieri mattina, però, si è celebrata la prima udienza di un processo che ha tutta l’aria di una resa dei conti nei confronti di quel movimento. Un procedimento che deve aver stuzzicato la fantasia della magistratura se a venti studenti viene contestato, oltre ai reati di resistenza, lesioni e porto di oggetti atti ad offendere, danneggiamento, anche il reato di Attentato contro gli organi costituzionali e contro le assemblee regionali. Reato punito dal nostro ordinamento penale con una pena da uno a cinque anni di reclusione.

Un atteggiamento punitivo che assume i tratti di una vera e propria ritorsione, e che ci consegna l’urgenza di riattivare un dibattito attorno alla legittimità delle pratiche conflittuali, a fronte di uno svuotamento sempre più pronunciato delle istituzioni dello Stato di diritto. Abbiamo già avviato questo ragionamento sulle pagine di Dinamopress a proposito del rapporto tra populismo penale e l“sinistra” italiana, mettendone a nudo le contraddizioni e la strumentalità. Un rapporto che chiama in causa gli stessi soggetti che nell’autunno del 2010 non esitarono a salire sui tetti delle occupazioni dei ricercatori, e che non esitarono a manifestare solidarietà e vicinanza al movimento contro il DDL Gelmini, tentando poi di piegarne le ragioni fini elettorali. Cosa diranno ora quegli stessi soggetti? Raccoglieranno la sfida di un movimento che, attraverso pratiche costituenti ha tentato di trasformare lo stato di cose presenti, oppure, com’è più probabile, si arroccheranno nella difesa di una legalità posticcia, volta solo a conservare l’esistente? Ancora, cosa diranno i nuovi attori della rappresentanza, coloro i quali annunciano di voler aprire le porte delle istituzioni parlamentari ai cittadini e di voler praticare la democrazia diretta, di fronte a questo grottesco tentativo inquisitorio che accusa chi quel giorno ha protestato di fronte al Senato di aver attentato ad un organo costituzionale?