MONDO

Argentina: mandato di arresto per Hebe de Bonafini, la piazza resiste

Il 4 agosto la polizia ha fatto irruzione nella sede delle Madres de Plaza de Mayo con un mandato di arresto per la presidente Hebe de Bonafini: subito dopo in migliaia sono scesi in piazza in solidarietà. La mobilitazione popolare ha vinto: il giorno dopo è stato ritirato il mandato di arresto.
La lettera aperta di Hebe de Bonafini al giudice
Hebe e l’eccezione giusta – di Lobo Suelto

In centinaia si precipitano in piazza resistendo alla provocazione poliziesca e giudiziaria ed oppponendosi ad una inaccettabile persecuzione politica. Ieri pomeriggio la polizia, su ordine del giudice Gonzalo De Giorgi, si è presentata alla sede delle Madres de Plaza de Mayo in via Yrigoyen, a pochi metri dal Congresso. L’ordine di perquisizione ed arresto per la presidente dell’associazione, Hebe de Bonafini, è partito dopo il rifiuto della donna di presentarsi in tribunale come testimone (e non come imputata) nel corso di un processo che lei stessa ha definito una persecuzione politica, come annunciato pubblicamente con una lettera aperta. Il giudice titolare dell’inchiesta “Sueños Compartidos” che indaga su presunte irregolarità nei finanziamenti pubblici, ha così deciso di inviare ieri la forza pubblica proprio in occasione della mobilitazione che si tiene, da quasi quarant’anni tutti i giovedì alle tre, in Plaza de Mayo.

Dopo la resistenza e la solidarietà popolare che ha impedito l’arresto di Hebe ieri, il giudice ha emanato oggi un ordine di cattura per questa coraggiosa donna di 87 anni che da quasi quaranta anni, assieme a tante altre donne e altri uomini, lotta per la memoria e la verità dei figli desaparecidos. Il giudice ha invitato la polizia ad arrestarla “in qualunque luogo e momento che sia considerato opportuno”: Hebe si trova oggi all’interno della sede delle Madres e si prepara a viaggiare a La Plata dove è stata invitata ad un dibattito su comunicazione e diritti umani.

“Un giudice non è un dio, non può fare quello che gli pare. Con lui ho parlato e in tribunale ho già fatto le mie dichiarazioni, ma invece di colpire i colpevoli, vogliono criminalizzare le Madres. Lo fanno perchè ho detto le cose in modo esplicito nella lettera, e hanno paura delle parole di una donna. Io sono stata in carcere durante la dittatura, ho subito aggressioni e minacce. Io non ho paura, continuerò a lottare per la giustizia dei 30mila desaparecidos, ora e sempre. Oggi vogliono legittimare i persecutori e perseguire chi lotta per la giustizia, ma la mobilitazione popolare li fermerà. Non faremo alcun passo indietro” ha dichiarato Hebe de Bonafini mentre la piazza cantava a gran voce “Madres de la plaza, el pueblo las abraza”.

Dopo la detenzione illeggittima ed illegale di Milagro Sala, leader dell’organizzazione popolare Tupac Amaru, ormai in carcere da quasi sei mesi, l’Argentina dell’era macrista diventa teatro di un altro attacco violento nei confronti di una donna, di una militante e di un simbolo di una lotta per la giustizia, la memoria e la verità, contro l’impunità dei militari e dello Stato, una lotta senza confini che continua ad impartire con umiltà e determinazione una lezione di dignità in Argentina e nel mondo.

Così ieri pomeriggio la polizia ha tentato di intervenire in assetto antisommossa dentro la sede delle Madres e nell’Università dei diritti umani mentre Hebe de Bonafini, con altre decine e centinaia di Madres e di uomini e donne, si stava recando a Plaza de Mayo per l’abituale giro della piazza antistante la Casa Rosada, come accade tutti i giovedì pomeriggio da ormai 1999 settimane.

Una provocazione politica senza precedenti. Ci sono dei limiti oltre i quali l’arroganza del potere sconfina nella hybris. Ieri è stato oltrepassato uno di quei limiti. In centinaia prima, in oltre un migliaio poco dopo, hanno difeso con i propri corpi la presidente delle Madres, garantendo lo svolgimento della manifestazione ed accompagnandola incordonati in corteo a Plaza de Mayo e poi di ritorno fino alla sede dove in tanti e tante hanno costretto la polizia ad allontanarsi. Corpi vivi, che reclamano giustizia e verità per i 30mila oppositori fatti scomparire dalla dittatura militare, che non hanno mai abbassato lo sguardo di fronte all’arroganza e alla violenza del potere. Che difendono oggi la democrazia, come hanno fatto negli anni e nei decenni passati. Che continuano a mettere in gioco i propri corpi oggi contro le politiche del governo Macri, come hanno fatto contro la dittatura, nel 2001 e in tanti altri momenti difficili in Argentina e nel mondo.

Non era mai accaduto dopo la fine della dittatura, se non durante le giornate di rivolta del 2001, che un elicottero della polizia sorvolasse la piazza durante la ronda de la Plaza de Mayo, che decine di poliziotti in assetto antisommossa la interrompessero. “Tutti a Plaza de Mayo” è stato il messaggio che ha cominciato a circolare sui social network subito dopo l’arrivo della polizia.

L’immagine delle camionette di polizia che accerchiano le Madres segna un punto di non ritorno. Ma la pronta risposta dei tanti e delle tante che hanno difeso con i propri corpi, l’affetto e la rabbia, i canti e gli slogan, la legittimità di una lotta degna, chiamando alla mobilitazione attraverso i social network, le radio e il passaparola, è stata commovente ed emozionante e politicamente decisiva. Una sfida politica fondamentale, che non finisce di certo con i fatti di oggi. “Se toccano le Madri toccano tutti noi, se toccano le Madres faremo un gran casino” cantano in migliaia mentre accompagnano le Madres su Avenida De Mayo, intonando cori contro il governo Macri e la dittatura militare.

Dalle otto di sera si sono tenuti decine di cacerolazos contro le politiche del governo Macri in tutte le città, e il presidio davanti alla sede delle Madres è diventato un punto in più di mobilitazione, connettendo così le lotte storiche con quelle attuali, un ponte che attraversa decenni di storia all’insegna della dignità e della giustizia. Centinaia di persone si sono poi fermate durante tutta la notte, a presidiare la sede delle Madres, simbolo vivente e corpo vivo e collettivo della lotta per i diritti umani, la dignità e la memoria che nessun atto di arroganza e di vendetta del potere, in mano alle destre reazionarie ed imprenditoriali, agli eredi politici, economici e culturali della dittatura genocida, potrà mai più permettersi di violare impunemente.

La foto di copertina è tratta dal sito La Vaca e la seconda foto da Notas.