NELLE STORIE

29 aprile 1992, Los Angeles: gli angeli bruciano ancora

Noti con l’etichetta di Rodney King riots, le sei intense giornate nella calda primavera di Los Angeles sono state ricordate e declamate con varie tonalità: rivolta sociale, sollevazione, conflitto interetnico, intifada nera, insurrezione popolare, dispiegamento multirazziale e interclassista di rabbia sociale, protesta democratica rivoluzionaria, rivolta per il pane postmoderna, disastro nazionale, tumulto distruttivo, caos di anarchici criminali, ribellione, catastrofe, sollevamento proletario.

Giornali e riviste hanno poi contabilizzato il clamore e snocciolato i dati: 55 morti, 2.383 feriti, 500 incendi appiccati, 17mila persone arrestate, 1 miliardo di dollari di danni, un migliaio di scritte “Kill the police” sui muri di South Central, cuore degli eventi.

Il casus belli è rintracciato in poco tempo: la brutalità della polizia contro un giovane nero, Rodney King, il 3 marzo dell’anno prima e l’assoluzione successiva dei poliziotti.

 

L’accaduto viene messo in scena tramite un video di 81 secondi, rimandato continuamente sui canali televisivi: una telecamera casuale riprende lui, il ragazzo nero, picchiato e muto. Muto adesso, muto durante il processo in cui non sarà chiamato a testimoniare. Per la prima volta gli Stati Uniti assistono pubblicamente e simultaneamente alla quotidiana violenza subita nelle strade per mano della polizia. Per una sorta di legge del contrappasso che la stessa scena della violenza richiede, i media statunitensi proiettano ancor più instancabilmente le immagini del fuoco che divora la città nei giorni successivi, con un’ossessione degna della cura Ludovico: il rumore delle fiamme e il silenzio del giovane nero.

Le ragioni della rivolta sono state individuate in molti fattori: le tensioni interrazziali, la crescita della miseria e della disoccupazione, il degrado ambientale, la violenza poliziesca e l’impunità di funzionari e poliziotti, la disgregazione sociale, l’economia cittadina in putrefazione, il deserto esistenziale che produce la cultura del consumo, la militarizzazione dei quartieri, il letargo politico della vita americana, il lavoro sottopagato e privo di garanzie, la distesa urbana in decomposizione, la guerra tra gang.

E poi la razza. Le destinazioni principali del fuoco non sono i poliziotti, le istituzioni, i quartieri in generale, ma i negozi coreani: 2.000 sono danneggiati, saccheggiati o distrutti. Un anno prima in uno di questi negozi, la quindicenne nera Latasha Harlins viene uccisa con un colpo alla nuca dalla proprietaria coreana per un diverbio su un succo di frutta. Eppure, la maggioranza degli arrestati non è affatto nera, sono invece messicani e salvadoreñi i maggiori protagonisti dei “saccheggi” e delle retate successive che gli abitanti della città subiscono.

 

Tutti si affannano a cogliere il senso dell’accaduto e individuare il problema. Risuona sempre nella mente la “domanda vera” a cui W.E.B. Du Bois avrebbe voluto rispondere: “come ci si sente a essere un problema?”

 

La razza sembra così essere il vero problema causa della rivolta, ma coloro che sono portatori di questo stigma, impresso da altri, sono raramente interpellati e risuona un ritornello nelle strade degli sconfinati Stati Uniti: “Se sei povero nessuno ti ascolta, bruciamo il nostro quartiere per farci ascoltare”.

Oltre al fuoco nelle strade, le armi tra le mani, il colore della pelle, vi è una metropoli arida, contaminata e in guerra. Una metropoli che affronta la recessione economica più dura dopo la Seconda Guerra Mondiale ed è considerata dalle amministrazioni come perduta, abbandonata da tutti tranne che dai poveri: “città al cioccolato e sobborghi alla vaniglia”. Una metropoli trasformata in riserva a compartimenti stagni basati sulla razza e sul possesso del passaporto, oggetto del sogno omicida neoliberale che vorrebbe una vita urbana priva di abitanti, costellata da recinti di proprietà e animata dalla fobia della sicurezza.

Tra le molte riflessioni sul significato del fuoco che inesorabile si è affacciato come un lampo in quei giorni di primavera, un’indicazione continua a risuonare ovunque: “prendersi cura della qualità della vita in comune”.

 

Spunti bibliografici

In rete si trovano centinaia di video relativi a quelle giornate, insieme ai documentari della CBS, CNN e del blogger Timothy Goldman: www.losangelesriots.info

Un romanzo noir di recente uscita in Italia è di Ryan Gattis, Giorni di fuoco, Guanda, Milano 2016.

Tra le pagine di questi saggi, molti articoli e paragrafi sono dedicati alla “sommossa di Rodney King”:

Senza illusioni. I neri negli Stati Uniti dagli anni Sessanta alla rivolta di Los Angeles, (a cura di Bruno Cartosio), Shake Edizioni, Milano 1995.

Geografie della paura. Los Angeles: l’immaginario collettivo del disastro, di Mike Davis, Feltrinelli 1999.

Città in rivolta. Los Angeles, Buenos Aires, Genova di Agostino Petrillo, ombre corte, Verona 2004.