NELLE STORIE

19 luglio 1943: il bombardamento di San Lorenzo

L’anniversario dell’attacco, che colpì un quartiere popolare, molto diverso da quello di oggi. Tra le bombe alleate, il Ranocchiaro all’angolo e le sassate a re Vittorio Emanuele III, il ritratto di un quartiere trasformato, ma che continua a resistere.

Lo spazioso viale alberato costeggiava lo scalo ferroviario per le merci di Roma costruito nel 1865. Al centro della via i binari della circolare rossa che con i tram E D e S – Esterna Destra ed Esterna Sinistra – facevano il giro di Roma, passando per lo zoo. Il binario a scartamento ridotto della STEFER, detta le vicinali, si chiudeva ad anello poco più giù nella zona oggi occupata da Largo Passamonti.

 

In quel punto, prima della costruzione del centro di smistamento meccanografico delle Poste, oggi di proprietà dell’Università, c’era la prestigiosa acciaieria Feram con i suoi 200 operai. Il lavoro si svolgeva in tre turni ed era scandito dal suono della sirena che riecheggiava in tutto il quartiere. Sotto l’acciaieria il deposito dei tram, uno dei più grandi di Roma. E poi la campagna.

 

Vicolo della Ranocchia, così detta proprio per le ranocchie, attraversava gli orti e i depositi di carbone a ridosso delle mura perimetrali del cimitero e incrociava Via di Malabarba che, ricalcando il tracciato della prima Via Collatina, da Porta San Lorenzo arrivava a Casal Bertone, dove il toponimo è sopravvissuto in via degli Orti di Malabarba.

Sulla destra del viale, dando le spalle a Porta Maggiore, la dogana di Roma. “Un grande movimento di merci, di mezzi di trasporto, di carretti trainati da cavalli e dai primi autocarri, persone molto affacccendate e vocianti, facchini, addetti all’imballaggio delle merci, dipendenti di ditte specializzate per la movimentazione merci, rappresentanti di spedizioni internazionali che avevano i loro uffici sul lato opposto (Gondrand, Zust, Ambrosetti, Danzas e tanti altri)” e, naturalmente, la Guardia di Finanza.

Di fronte alla dogana, la ditta di sedie Croppo con le macchine e le camere a vapore per la lavorazione e la curvatura del legno, contava circa 50 dipendenti. E poi una fabbrica di motori per ascensori, la OFEL, che impiegava circa 35 persone tra tecnici e operai, poi trasferiti altrove per lo sviluppo dell’attività. Ancora, una ditta importatrice di macchine e materiali per saldatura; appresso, i locali dove sostavano le merci doganali in attesa della distribuzione.

E poi Largo Talamo, l’incrocio tra via dei Campani, via dei Lucani e via dei Liguri, le botteghe degli artigiani e i negozi di prodotti industriali, un bar tabacchi che faceva da punto di riferimento telefonico per i trasportatori e una fumosa sala da gioco dove si giocava a zecchinetta. La birreria Wührer in via dei Sardi da cui si spandeva il profumo di luppolo per le vie adiacenti. La vetreria Sciarra del 1902, il Pastificio Cerere del 1905 e la fonderia Bastianelli del 1908 in Via dei Sabelli, quest’ultima recentemente demolita nonostante le proteste del quartiere e una sentenza tardiva del TAR, per far posto a una palazzina di miniappartamenti.

 

San Lorenzo nasce tra il 1884 e il 1888 proprio sulla speculazione edilizia diventando quartiere popolare per gli operai emigrati prevalentemente dall’Abruzzo, dalle Marche, dall’Umbria e dalla Romagna.

 

Manovali, muratori, ferroviari, tranvieri, netturbini e artigiani, e tra questi soprattutto quelli legati alle attività cimiteriali, abitavano nelle case a ringhiera sovraffollate e pericolanti, case costruite “per i poveri con materiali poveri”.

“Può darsi che la vita dei poveri sia una cosa, che qualcuno di voi, qui presente, non abbia mai considerato in tutta la sua degradazione. Può darsi che abbiate sentito la miseria della estrema povertà umana soltanto attraverso le pagine di qualche grande libro, o la vibrante voce di un grande attore. Supponiamo che in un certo momento una voce vi gridi: – Va’ e guarda queste case di miseria e della nera povertà. Poiché esse sono sorte, fra il terrore e le sofferenze, oasi di felicità, di nettezza e di pace. I poveri avranno una casa propria. […] Anche i piccoli hanno la loro “casa”.” (Dal discorso inaugurale di Maria Montessori alla Casa dei Bambini fondata nel 1907 a San Lorenzo in via dei Marsi 58).

Una descrizione cui fa eco Sibilla Aleramo in “Una donna”, scritto negli stessi anni:

“La prima volta che penetrai colla vecchia amica in alcune case del quartiere di San Lorenzo , sentii dovunque divampare improvviso, anche nel mio sangue, l’oscuro istinto della distruzione… Su la strada il cielo splendeva intenso: i colli tiburtini, in fondo, sorgevano come un paese di serenità. E negli ànditi dei portoni già si obliava il sole; si salivano delle scale, chiazzate d’acqua, buie; e ai lati dei pianerottoli s’aprivano corridoi neri, e da questi uscivano donne scarmigliate, il seno mal coperto da camicie sudicie, lo sguardo ostile… Da quali profondità di orrore sorgevano le tremende apparizioni? E le voci rauche non imploravano neppure, davano notizie di malattie, di nascite, di scioperi forzati, di ferimenti, con indifferenza.. […] Il dovere era là, nella mischia, in faccia a quella realtà spaventevole. E lì bisognava trascinare tutti quelli che godono della luce, dell’aria pura, delle cose belle, semplici o raffinate, necessarie o superflue; tutti quelli che passeggiano sorridendo tra i palazzi e le fontane, che si affollano agli spettacoli, che si pigiano al passaggio di qualche principe o all’inaugurazione di qualche statua vana. Trascinarli. E quando potessero ancora dimenticare, suonasse pure l’ora della catastrofe!”

I lavoratori immigrati erano accolti dal quartiere, beneficiandolo a loro volta, contribuendo alla sua economia. “Roma è capitale di chi non ha più un posto suo e dentro di lei si accampa” ha scritto Erri de Luca in Strade di Roma. Molte erano le osterie del quartiere convenzionate con le fabbriche dove si poteva mangiare un pasto portato da casa pagando un quartino di vino, la mezza fojetta. Le osterie sarebbero rimaste un importante luogo di ritrovo e di vita di quartiere anche durante gli anni ‘70, come racconta ancora Erri de Luca:

“Si andava all’osteria. Si riunivano tavoli, si stava li a discutere, a stendere il testo di un volantino, un manifesto, all’oste bastava venderci il vino, non per dovere di consumare, solo per far vedere, in caso di controllo di polizia, che per lui eravamo dei clienti. Anche gli artigiani e pensionati erano più che avventori. Coetanei della guerra mondiale, raccontavano e parlavano volentieri con una gioventù spiccia e curiosa di storia. Posso chiamare patria un’osteria perché c’erano padri e c’erano figli e stavano insieme senza parentela. L’osteria stava in via dei Piceni, nome di un popolo sconfitto.”

C’erano i negozi di alimentari e i venditori ambulanti di coppiette di carne secca di asino o di cavallo; c’era anche il ranocchiaro, il venditore di rane da fare fritte. Dallo Scalo i binari del tram giravano per via dei Reti passando all’angolo un laboratorio di scultura e mosaico. Poco più in là via dei Galli, oggi cancellata e inglobata dentro la proprietà di un privato, e via del Verano con i suoi marmisti, detta via dei Macellai forse per via di un piccolo mattatoio per ovini. E ancora fabbriche, la SMIF, una fabbrica di reti per letto, e la Debo Motor, con una trentina di dipendenti.

Il cielo sopra i binari dello Scalo San Lorenzo era ancora libero dal peso e dal rumore della tangenziale Est che sarebbe sorta alla fine degli anni ’60. Il tratto sopraelevato che va da Largo Passamonti a Viale Castrense e interseca la Tiburtina ebbe un impatto enorme sull’ambiente circostante, “tagliando” le case ed eliminando definitivamente la sottostante Via della Ranocchia.

 

San Lorenzo era in trasformazione. Via le fabbriche, spazio alle case. Non più produzione industriale ma sviluppo immobiliare. A San Lorenzo avrà inizio una nuova ondata di speculazione edilizia, ma torniamo indietro al 1943.

 

Il bombardamento.

In quel punto del cielo sopra lo Scalo San Lorenzo, da 6000 metri di altezza alle 11 e tre minuti del 19 luglio 1943 la prima bomba “alleata” cade su San Lorenzo centrando in pieno i binari, due vagoni e un capannone dello scalo merci. Il puntatore ha poco più di vent’anni e si chiama Owen Gibson e uno dei mitraglieri coinvolto nell’azione è l’attore Clark Gable. 4000 bombe da 250 chili atterrano su Roma, su viale dello Scalo San Lorenzo e viale del Verano, le due strade che costeggiano l’area ferroviaria, su Largo Talamo, via dei Liguri, via degli Enotri, via dei Piceni.

 

Sono almeno otto i palazzi centrati. Dopo San Lorenzo, saranno colpiti anche i quartieri del Tiburtino, Prenestino, Casilino, Labicano, Tuscolano e Nomentano. 662 bombardieri scortati da 268 caccia solcano i cieli di Roma sganciando 1.060 tonnellate di bombe. I morti saranno circa 3000 e i feriti 11.000, di cui 1.500 morti e 4.000 feriti solo a San Lorenzo.

 

Oltre allo scalo ferroviario di San Lorenzo l’obiettivo militare erano gli aeroporti del Littorio (oggi dell’Urbe) e quello di Ciampino, colpiti per bloccare il sistema di trasporti e i rifornimenti al sud Italia dopo lo sbarco alleato in Sicilia, avvenuto nove giorni prima.

Prima delle bombe, dal cielo erano piovuti volantini che avvertivano i cittadini dell’imminente attacco: “Romani! Abbandonate le vostre case se sono in prossimità di stazioni ferroviarie, aeroporti, caserme… Romani! Questo è un avviso urgente. Non credete alla propaganda di Mussolini. Mettetevi in salvo!”. Questo il primo volantino. Ne seguirono altri nei giorni prima del bombardamento firmati da Churchill e Roosevelt.

Si sarebbe trattato di un “attacco di precisione” per colpire determinati bersagli. Tuttavia la traiettoria delle bombe a caduta libera più che calcolata era indovinata, con il lancio di foglietti e la velocità del vento e dell’aereo. I bombardieri avevano l’ordine di mirare alle nubi di polvere e fumo che si alzavano a ogni passaggio degli aerei. A ogni lancio le nubi si andavano allargando sempre di più così che alcune bombe caddero fino a cinquecento metri di distanza dallo scalo ferroviario. Fu un milk run, nel gergo dei piloti, come il percorso del lattaio casa per casa, a investire in pieno il quartiere: furono parzialmente distrutte la basilica di San Lorenzo e piazzale del Verano, piazzale Sisto Quinto, piazza di Porta Maggiore.

“Al cessato allarme, nell’affacciarsi fuori di là, si ritrovarono dentro una immensa nube pulverulenta che nascondeva il sole, e faceva tossire col suo sapore di catrame: attraverso questa nube, si vedevano fiamme e fumo nero dalla parte dello Scalo Merci. Sull’altra parte del viale, le vie di sbocco erano montagne di macerie, e Ida, avanzando a stento con Useppe in braccio, cercò un’uscita verso il piazzale fra gli alberi massacrati e anneriti. Il primo oggetto riconoscibile che incontrarono fu, ai loro piedi, un cavallo morto, con la testa adorna di un pennacchio nero, fra corone di fiori sfrante. E in quel punto, un liquido dolce e tiepido bagnò il braccio di Ida. Soltanto allora, Useppe avvilito si mise a piangere: perché già da tempo aveva smesso di essere così piccolo di pisciarsi addosso.” (Elsa Morante, La Storia)

Pochi giorni dopo, nella notte tra il 24 ed il 25 luglio, il Gran Consiglio fascista approvò l’”Ordine del Giorno Grandi”, che imponeva a Mussolini il ripristino “di tutte le funzioni statali” e invitava il duce a restituire il comando delle Forze armate al re. Il giorno dopo, Mussolini venne deposto ed arrestato per ordine del re ed il governo passò nella mani del Generale Badoglio. Il 14 agosto 1943, dopo il secondo bombardamento di Roma, il Governo Badoglio dichiarò Roma “città aperta”.

 

“Eredità del fascismo” stava scritto fino a qualche anno fa sul muro ferito del palazzo bombardato tra via dei Latini e via dei Sabelli. La memoria storica di San Lorenzo, degli eventi che l’hanno vista protagonista, come la battaglia contro il fascismo prima nel ’21 e poi il 24 maggio del ’22 in occasione del trasporto al Verano della salma di Enrico Toti, è un filo rosso che lega rivendicazioni, battaglie, resistenze di ieri e di oggi che dialogano con grande continuità.

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Bibliografia

Alessandro Portelli, Il bombardamento di San Lorenzo, Podcast Laterza, Lezioni di Storia, Sulla scena di Roma, 2007

Le storie orali di Francesco Panuccio

Carlo Ribersani, Cronaca Industriale Artigianale Popolare di San Lorenzo, Il Mio Libro, Roma 2011.

Marcello Pazzaglini, Il quartiere San Lorenzo a Roma. Storia e recupero, Gestil Editrice, Roma 1994.

Cesare De Simone, Venti Angeli Sopra Roma, Mursia, Roma 1993.

Lidia Piccioni, San Lorenzo – Un quartiere romano durante il fascismo, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1984

Le citazioni tratte dalle opere

Erri de Luca, Strade di Roma – Via dei Piceni, «La Repubblica», 29 maggio 2005

Sibilla Aleramo, Una donna, 1906

Elsa Morante, La Storia, 1974

Maria Montessori, Discorso inaugurale in occasione dell’apertura di una “Casa dei bambini”, 1907

sono state raccolte dalla Libera Repubblica di San Lorenzo in occasione del 70° anniversario del bombardamento di San Lorenzo per l’iniziativa “Resisti, Ricorda, Libera” e l’itinerario delle resistenze di ieri e di oggi è stato realizzato con la creazione di mattonelle con artigiani e artisti del quartiere affisse nel luoghi della resistenza.

 

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