MONDO

If the women are united

8 Marzo – International Women’s Strike – New York City
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Mentre in Europa cala la notte e una grande giornata di mobilitazione per l’8 Marzo sta per finire, a New York City la protesta è solo agli inizi. Sotto l’imponente arco su cui, a intermittenza, viene proiettata la scritta “Women Strike”, si succedono gli interventi di tante donne: esponenti della comunità palestinese, Black Lives Matter, lavoratrici che operano nel settore del care work, migranti. Una pluralità di voci, di esperienze, di vite che si compongono assieme per formare quel nuovo femminismo intersezionale che, negli ultimi mesi, sta facendo tremare la terra nelle sue profondità.

La piazza inizia a gremirsi e a riempirsi di cartelli dai messaggi più disparati. Tutto sembra però essere tenuto assieme dalla certezza che solo un movimento femminista sarà in grado di spazzare via l’ondata razzista e xenofoba che l’elezione di Trump porta inevitabilmente con sé e che è diretta conseguenza di un sistema che fonda le sue radici nel patriarcato e nel neoliberismo.

Il primo elemento su cui riflettere è legato alle differenze con la Women’s March di Gennaio. Lo stesso cartello protagonista delle imponenti marce di contestazione al neo eletto Trump non ha infatti partecipato ufficialmente alla giornata di sciopero globale, se non con un sostegno generico tramite l’annuncio “A Day Without a Woman”. La dimensione totalmente autonoma ed autorganizzata del rally e dalla manifestazione di New York ha avuto il merito di portare in piazza contenuti radicali e trasversali che, facendo leva sulla dimensione globale della giornata, hanno messo al centro molteplici rivendicazioni: la questione dello sciopero dal lavoro produttivo e riproduttivo; il diritto universale alla salute e ad un sistema sanitario accessibile a tutt*; l’estensione dei diritti a tutte le soggettività, da quelle migranti a quelle LGBTQI; i temi della giustizia riproduttiva ed ambientale. Se il primo elemento è che la giornata dell’8 marzo ha spazzato via il fantasma delle liberal feminists che aleggiava nelle marce di inizio anno, il secondo è che lo ha fatto attraverso l’indizione e la pratica di uno sciopero globale. Tre interi distretti scolastici sono stati chiusi negli US, le attività in alcune università sono state riconvertite o sospese, molte donne hanno rinunciato non solo al lavoro salariato e precarizzato, ma anche a quello domestico e di cura. Lo sciopero ha così reso visibile il lavoro tradizionalmente invisibile e problematizzato non solo la giusta indignazione contro le politiche misogine di turno, ma lo snodo strutturale tra capitale, produzione e riproduzione che tutti i giorni incide sulla vita di milioni di donne, di uomini e di tutt*.

L’assembramento a Washington Square Park è divenuto un corteo di più di cinquemila persone che hanno messo in gioco i loro corpi non neutri e non collocabili nelle classiche linee del binarismo di genere, e imboccata la 6 avenue, arrivano fino a Downtown Manhattan, sede di Wall Street e luogo simbolo della finanza globale.

La consapevolezza della natura profondamente globale di questo movimento sembra crescere giorno dopo giorno, tanto che alla fine del lunghissimo corteo la domanda che sembra maggiormente investire le persone è proprio: what’s next? Cosa si fa adesso? Come si da continuità a questo slancio conflittuale, potente e gioioso di cui le donne sono protagoniste?

L’idea (almeno a NY) è fare assemblee itineranti tutte le settimane che coinvolgano le diverse aree della city per allargare quanto più possibile la partecipazione, provando a rilanciare una mobilitazione ancora più consistente in vista del May Day.

Il sole è ormai tramontato quando il corteo arriva a destinazione a Zuccotti Park, il parco nel cuore del Financial District, occupato nel 2011 dal movimento Occupy Wall Steet. Mentre la manifestazione volge al termine ci rendiamo conto che questo sciopero globale non è durato solo 24 ore: la sua spinta globale ha reso possibile alle donne del mondo di far risuonare il messaggio lungo tutti i diversi fusi orari del pianeta.

Questo però è solo l’inizio, l’atto primo di un’incredibile avventura che percorreremo tutte assieme.

If the women are united, they will smash gender violence!

* WOPS is a collective of activists, researchers and filmmakers documenting the work of grassroots movements and revolutionary subjectivities across the country. Our mission is to amplify their voices and act as a catalyst for social justice. The term wop originates from the Southern Italian dialect term guappo, meaning thug, pimp, or swaggerer. It was used as a pejorative slur referred to people of Italian descent in the U.S.A. at the beginning of the 20th century, as well as an acronym for “With Out Papers”, “With Out Passport” and “Working On Pavement.”

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