editoriale

Lo sciopero sociale va in Europa

Dopo l’assedio alla BCE della scorsa settimana, una riflessione sul Blockupy Festival e sulla prospettiva dello sciopero sociale europeo. Leggi anche Blockupy festival: assemblee e corteo, violata la sede BCE

Blockupy è un’esperienza nata dalla spinta dei movimenti contro l’austerity dopo il 2011, con l’idea di «portare la crisi nel cuore della bestia», avendo come obiettivo dichiarato l’organizzazione di una manifestazione internazionale contro l’apertura della nuova sede della BCE a Francoforte. Dopo mesi di attesa è uscita venerdì scorso la data di apertura del nuovo palazzo della Banca Centrale, che sarà il 18 marzo: 1.3 milioni di euro spesi per un nuovo enorme grattacielo per una istituzione che è tra i propulsori delle politiche di austerità e competitività europee (Qui trovate l’appello per la manifestazione del 18 marzo a Francoforte contro l’inaugurazione della BCE – Let’s Take Over The Party!).

Insieme alle manifestazioni è stato anche costruito uno spazio di discussione – il festival – per riuscire a far incontrare le lotte contro il regime delle politiche di austerità dell’Unione Europea e contro ogni nazionalismo e discutere anche oltre la preparazione di scadenze. Abbiamo portato in questa 3 giorni di festival il tema dello sciopero sociale, non solo raccontando il 14 novembre italiano, ma presentando l’esperienza dello sciopero come possibilità di organizzazione a livello transnazionale. Il tema è stato discusso nei diversi working group mattutini così come nella plenaria finale. Inoltre, come Dinamo Press e ∫connessioni precarie abbiamo promosso un workshop su «precarietà, governo della mobilità e sciopero transnazionale» con questa presentazione:

Dopo la discussione dell’alleanza di Blockupy a Bruxelles, lo sciopero sociale del 14 novembre in Italia e la giornata transnazionale di mobilitazione contro la precarietà, il workshop vuole discutere le sfide politiche poste dai regimi contemporanei di precarietà, sfruttamento e mobilità del lavoro. Discuteremo delle parole d’ordine legate alle lotte dei disoccupati, delle precarie, di migranti e studenti, come quelle che reclamano un welfare e un reddito europei e un salario minimo europeo, focalizzandoci sull’organizzazione delle lotte contro il workfare e il lavoro spazzatura e su come queste mobilitazioni possono assumere l’Europa come comune campo di battaglia, discutendo la prospettiva di uno sciopero sociale transnazionale.

Nonostante si sia tenuto la sera dopo la manifestazione e quasi in contemporanea con la prima assemblea verso il 18 marzo, il workshop ha riscosso un’attenzione che ci ha positivamente sorpreso, è stato tra i più partecipati di tutto il festival e in tanti si sono confrontati sulla possibilità e sulle difficoltà di pensare l’organizzazione di uno sciopero a livello transnazionale. Questo ci ha permesso di avviare una discussione che ci pare molto produttiva. Ciò che constatiamo è l’interesse diffuso nel riportare il lavoro all’interno della discussione e a considerare lo sciopero tanto come strumento di lotta in quanto tale, quanto come possibilità di organizzazione e comunicazione. Ciò ha fatto emergere domande ed esperienze concrete. Come si possono connettere le tante lotte sul lavoro, contro la precarietà, contro il workfare che avvengono in tutta Europa in una prospettiva espansiva e di allargamento, capace di parlare oltre i circuiti militanti? La domanda rimane aperta ma abbiamo iniziato a discuterne. Sia tramite lo scambio di esperienze locali – come ad esempio la lotta contro il Jobbridge e la precarizzazione delle fasce giovanili in Irlanda e le vertenze delle lavoratrici e dei lavoratori negli ospedali berlinesi contro la rinazionalizzazione e i tagli del welfare – sia affrontando il problema di che cosa sia concretamente lo sciopero sociale, che cosa si possa chiamare o non chiamare sciopero.

Con questa discussione si è aperto un processo di confronto e scommessa politica che speriamo possa continuare. Certo è stato un primo passaggio, non sufficiente, ma sicuramente è stato un ottimo primo passaggio, che ci fa comprendere ancora una volta quanto l’organizzazione delle lotte (almeno) a livello europeo non sia una questione secondaria, nel momento in cui la catena del valore si sviluppa sicuramente a livello globale ed esiste una dimensione compiutamente europea del regime del salario. L’indicazione che portiamo a casa è che parlare di lavoro e di sciopero, individuando rivendicazioni che possano unire, come quelle per un salario minimo, reddito e welfare europei riecheggiate anche nello sciopero sociale, può essere lo strumento per superare i limiti delle attuali forme di immaginare le lotte anche sul piano transnazionale.