editoriale

Il 19 Ottobre e la saggezza della Roma ribelle

«A giovano’, sta mano po esse fero e po esse piuma. Oggi è stata ‘na piuma…»

Come si smonta uno schema che sembra destinato a lasciarti annaspare nella palude del già visto? Il campo di forze che ha costituito la narrazione del 19 ottobre e la strana coalizione di soggetti che si è ritrovata in piazza e ha stracciato la sceneggiatura dell’annunciato remake del 15 ottobre 2011 fornisce una risposta interessante a questa domanda.

Siamo nell’Europa della fine della socialdemocrazia: trionfano le larghe intese e le grosse koalition. Ci troviamo nel paese sciagurato in cui la principale forza d’opposizione parlamentare lavora quotidianamente per svuotare le piazze e deviare l’attenzione dei cittadini su questioni marginali, quando non velenose. Girovagando in mezzo alle macerie della sinistra qualcuno spera ancora che dalla crisi si esca riaffermando le vecchie regole invece che imponendone di nuove. Dal canto mio, ho vissuto il clima e le riunioni di preparazione, le chiacchiere di attesa per strada e gli articoli allarmistici sui mass media, in una strana condizione di sospensione. Il caso ha voluto che nei giorni che hanno preceduto l’evento mi sia capitato di dover chiudere, assieme agli altri tre autori, le bozze della Guida alla Roma Ribelle cui stiamo lavorando ormai da più di un anno.

Così sono sceso in strada inquietato dai fantasmi dell’allarmismo e sorretto dagli spiriti della rivolta romana, in preda a una specie di capogiro lisergico: Menenio Agrippa e i tribuni della plebe facevano capoccella dietro uno striscione sorretto da migranti, la maschera col pizzetto di Guy Fawkes mi appariva in mezzo ai baffoni dei militanti dei Volsci degli anni Settanta, le tende della acampada montate alla fine dello sciopero generale dei sindacati di base si mescolavano alle baracche dei calabresi venuti a Roma in fuga dalle fatiche contadine, i ritmi dei pink bloc della murga riecheggiavano le gesta del Tamburino che si lanciò contro le truppe di Napoleone III per difendere la Repubblica Romana del 1849.

Al netto di clamorosi casi di malafede, i giornalisti sono stati protagonisti di tragicomici numeri allarmistici prima e di assurde descrizioni guerrigliere e ci hanno messo qualche giorno a capire che il film che erano pronti a descrivere, che da qualcuno gli era stato promesso e che hanno continuato a girare sulle pagine dei loro taccuini, non è stato mai proiettato. Non era aria di rappresentazioni. Doveva essere la giornata dell’ «assedio» e della «sollevazione generale». Da mesi si annunciava il momento della Vendetta-con-la-V. In un certo senso tutto ciò è avvenuto, ma in forme felicemente inconsuete e probabilmente inattese per gli stessi protagonisti. Il 19 ottobre non è stato lo spazio d’inizio autunno dentro cui regolare questioni pendenti tra aree politiche. E non ci si è illusi di «fare giustizia» nello spazio di qualche chilometro di corteo. Al contrario, la saggezza della Roma ribelle sedimentatasi negli anni, quel misto di disincanto e senso di orgogliosa separatezza dalle beghe del potere che a volte viene scambiato per rassegnazione, ha trovato terreno fertile presso quelli che, nonostante il boicottaggio di Trenitalia e la crisi, hanno risposto alla chiamata dei movimenti di lotta per la casa di una città nella quale, come disse qualche anno fa a noi scolari diligenti un cattivo maestro, «si occupano le case fin dal tempo dei Gracchi».

Per costruire il frame si era parlato dell’arrivo dei No Tav a Roma, ma questa volta non c’erano fortini da accerchiare. Il potere, si sa, lavora più a fondo di una trivella dell’Alta Velocità, e i palazzi che ha ereditato come simbolo oggi sono vuoti, buoni giusto per archiviare faldoni e verbali compilati altrove. Così, in un gioco di inseguimenti semantici che ricorda i quadri di Escher più che le rappresentazioni statiche della guerra di trincea, man mano che il corteo avanzava e la città ribelle passava sotto i nostri occhi è diventato difficile capire davvero chi assediava cosa.

*Il testo è apparso sul blog dei Wu Ming Giap e qui potete finirlo di leggere e commentare.